martedì 29 giugno 2010

Alzare le vele della separazione

di Nicola Zitara

I Sud sta vivendo una situazione non sostenibile più a lungo. In effetti la demarcazione tra le due parti del paese italiano si fa sempre più pronunziata. Il reddito meridionale (quello effettivo, più di quello statistico) si è afflosciato al punto da far dire che il costo della vita al Sud è inferiore del 15% rispetto al Nord. Andando al reddito pro capite un lavoratore (eccezionalmente) occupato non riesce a realizzare più di ottocento euro al mese, il salario di una colf locale è appena sopra la metà del guadagno di un extracomunitario. Nonostante questa situazione permangono tariffe e prezzi pubblici settentrionali. Deve il mercato non opera le tariffe e i prezzi pubblici non si adeguano alla situazione meridionale. Un certificato del medico di base costa venticinque euro come a Milano, cioè un trentesimo di un salario mensile, mentre a Milano sarà pari a un sessantesimo. Guai poi ad imbattersi nella contravvenzione per un divieto di sosta o per un sorpasso irregolare. Se ne va la metà del reddito mensile. Le forniture di acqua, di elettricità, di gas subiscono tariffe più gravose di quelle comunemente correnti al Nord. La tassa sulla spazzatura toglie il fiato.

A fronte di questa situazione il vecchio personale politico sta in bilico se accettare o rifiutare la separazione in due Stati. Meglio sarebbe che si prodigasse a studiare le situazioni concrete per modificare l’unitarismo tariffario, portando la modificazione a livello di comuni, province, regioni e Stato. Il altri tempi la Lombardia ottenne un trattamento tributario diverso da quello nazionale asserendo i maggiori costi di un diverso assetto agricolo. La stessa cosa bisogna fare oggi visto che leggi di quel tempo non sono state cambiate, ma rafforzate.

Il discorso che si fa ai politici di caratura nazionale va fatto alla crescente quantità di persone che oggi vorrebbero impegnarsi per la separazione. Queste persone è bene che abbiano chiaro che la separazione sarà probabilmente la riunione di un consiglio di amministrazione nazionale avente per oggetto le obbligazioni e i dividendi e non certo lo scontro di due eserciti in armi. Su questo fatto bisogna cominciare a riflettere seriamente e rivedere per esempio “a chi va il gettito dell’IVA", se all’area di produzione ((Settentrione) o all’area di consumo (Meridione) perché questa particolare imposta è tale e quale un dazio di consumo. E si sa che il dazio di consumo è spettato sempre ai comuni e alle realtà locali in cui esso si verifica.

Quanto sopra è un’esemplificazione della preparazione mentale alla separazione in due Stati che autoregolano il loro rapporto corrente. Giuristi, economisti, statistici, amministrativisti debbono prepararsi a questa ginnastica mentale delle previsioni e dei conteggi, altrimenti la separazione si rivelerà per il Sud più un danno che un vantaggio.

lunedì 28 giugno 2010

LE MATRICI DELLA CRISI IDENTITARIA – 2

Ieri, mentre sfogliavo la mia raccolta di giornali (conservo i numeri di quotidiani che riguardano eventi particolari) sono arrivato ad un foglio degli anni ’90, in effetti l’articolo per cui lo conservavo non era più importante, ma … dietro al foglio c’era una pubblicità istituzionale della cassa per il mezzogiorno. Nel testo mi ha colpito principalmente una frase “…in 40 anni di gestione straordinaria del territorio del mezzogiorno…”

LA GESTIONE STRAORDINARIA CHE DURA DA 40 ANNI?

Incuriosito me ne vado in giro per gli anni passati, leggendo qualche notizia da internet, o da giornali di inizio secolo, quindi trascrivo alcuni scritti di Scarfoglio:

“… i tumulti di quell’anno mostrarono l’Italia vera, affamata, che cerimonie pubbliche, ampliamenti urbanistici, monumenti ed esposizioni tendevano a celare dando l’illusione di un paese felice, in crescita ed in serenità la cosiddetta Italia Umbertina…”

Questo dopo che il governo nel 1902, aveva varato una legge per ripianare i debiti milionari che la RISANAMENTO NAPOLI, aveva contratto con comune e banche in 17 anni di attività.

“…la legge speciale, dava a Napoli il porto franco, l’energia del Volturno, molte agevolazioni alla nascita di grandi imprese, ma il sospetto che tali facilitazioni, trovando perplessa e timorosa la classe imprenditrice locale, finissero per favorire insediamenti di gruppi industriali già operanti al Nord…

l’indomani nel 1904 nasce il polo industriale di BAGNOLI.

La gestione straordinaria, quindi, non è durata solo 40 anni, ma ha semplicemente mutato la sua forma.

Inizialmente i regi decreti (quelli sabaudi) erano repressivi su tutto il territorio meridionale, lotta al brigantaggio, soppressione degli ordini religiosi, estradizione dei malfattori verso la Spagna ecc., poi, in seguito, le azioni furono diversificate, mantenendo l’azione violenta nelle campagne e nelle terre lontane come nelle Puglie o in Sicilia, dove per esempio Crispi ottenne l’autorizzazione allo stato d’assedio per favorire le richieste dei grandi proprietari terrieri, mentre nella Capitale dell’ex Regno delle due Sicilie, si cambiava registro, sfruttando il pagnottista pensiero del popolo napolEtano.

Così iniziarono le grandi opere, Risanamento Napoli, la realizzazione di monumenti come galleria Umberto, portavano fondi nella città, garantendo un lavoro a tante persone. Questo per i napoletani, significava sopravvivere, e dovendo scegliere se alimentare la famiglia o la cultura napolItana scegliavano, o erano costretti a scegliere, la famiglia.

Erano poche le persone che si accorgevano della grave crisi che l’unità d’italia aveva portato nel meridione ed a Napoli, ma questi o erano intellettuali, il cui pensiero difficilmente era ascoltato dal popolo, o erano etichettati come anarchici filo-borbonici e per questo processati.

Le due grandi guerre poi, furono un momento propizio per la definitiva estinzione del pensiero NapolItano.

Immediatamente dopo, le crisi, l’emigrazione, l’emergenza sociale, favorirono il continuo distacco della gente nei confronti dell’amore per propria patria.

Lo stato italiano, marciando sulla eterna crisi occupazionale, e per scongiurare un allarme sociale che avrebbe favorito il rinascere di moti indipendentisti, mai sopiti del tutto, continuavano, e continuano ancora oggi a favorire gli investimenti degli industriali padani nel sud italia, per portare lavoro e finto benessere, per dare potere d’acquisto anche all’ultimo scugnizzo rimasto.

D’altronde, nell’opera di anestesia identitaria del meridione, lo stato è stato affiancato da quelli che dovrebbero essere i rivali, e cioè i sindacati.

Nati in gran segreto, come rappresentanti dei lavoratori, più volte repressi (vedi il partito socialista dei lavoratori a fine ‘800), si sono trasformati prima in antipadrone, poi in istituzioni vere e proprie capaci (per diritto) di gestire le vite, non le volontà, di milioni di lavoratori.

Chi ne trarrebbe vantaggio se tutti i problemi dei lavoratori dovessero essere risolti? Avrebbe ancora senso l’esistenza di un sindacato, in un paese dove un azienda nasce locale, investe sul territorio, e crea ricchezza per il popolo locale, mantenendo il contatto con essa?

L’importante non è risolvere i problemi, ma creare i presupposti per una eterna dipendenza da qualcuno.

Lo stato italiano continua la sua politica cerchiobottista, mantenendo il popolo del meridione in un eterno limbo, in bilico fra allarme sociale e momenti di normale dramma occupazionale, per poter gestire, in questo modo, tramite la propaganda di cultura standardizzata fatta di tette e talk show, l’ancora attuale e pericoloso sentimento meridionalista, acquisendo, per diritto, l’esclusività anche di tali argomenti.

Nello Esposito

ah Mannaggia Calibarde!


brano tratto da "?o pezzente 'e San Gennaro"
di
Ferdinando RUSSO
29 Agosto 1898
'O CUVERNE 'E TALIANE
NCE HA ARREDUTTE PELLE E OSSA!
QUANTE 'E VUIE, QUANN'E' DIMANE,
SE CAGNASSERO CU MME!
AH MANNAGGIA CALIBARDE!
FRANCISCHIELLO, FRANCISCHIE'!

lunedì 21 giugno 2010

20 ANNI NEL FANGO - andiamo per esclusione

come è tradizione per le terre settentrionali, la festa per i separatisti (loro si definiscono così, ma in effetti sono 20 anni che rubano i soldi dalle casse romane) è stata celebrata per il 20° anno (non consecutivo) in una pontida infangata.
In 20 anni sono cambiate molte cose, ora festeggiano in 50.000 (quasi l'intera popolazione settentrionale), ora hanno di diritto rubato un opera inventandosela come inno, si sono inventati eroi e storia, combattono per i diritti del popolo padano, eppure...
... eppure sembra che la loro unica rivendicazione riguardi una palese appartenenza ad un popolo, che per ora non esiste, ma pur di capire chi sono vanno per esclusione, per ora hanno capito di non essere napoletani!

venerdì 18 giugno 2010

LE MATRICI DELLA CRISI IDENTITARIA - 1

Stamattina, diversamente da tutte le altre mattine, ero ben sveglio e, camminando per andare al lavoro nella calma delle 5.30 del mattino, ho avuto modo di osservare la mia città, in provincia di Napoli: ogni buon tifoso aveva ben esposto sul suo terrazzo, balcone o finestra, la bandiera tricolore dell’italia.

Semplici tifosi o, come diceva Cannavaro, patrioti uniti per orgoglio di essere italiani?

Niente di questo, sono semplicemente ignoranti che sentono il bisogno di sfogare le loro passioni verso una pezza tricolore, e nel mio caso, napolEtani.

Perché equiparare i napolEtani ad ignoranti?

Qualche politico asserisce che lo scarso senso di patria deriva dallo storico malgoverno dei territori, storico come quello del periodo francese o borbonico, ma la cosa non è così generica.

La popolazione napolEtana, quella che rinnegò persino San Gennaro in favore di Sant Antonio da Padova, non ha mai avuto una identità, ed è il malgoverno ben contribuisce a questa disunità.

Fortunatamente non si può generalizzare sul sentimento di disagio identitario del popolo napoletano, né ora né in passato, ma sicuramente attribuire un atteggiamento apatico alla maggioranza del popolo.

Ma da dove deriva questo disagio?

I POLITICI.

Forse dai politici nostrani, che da buoni parassiti pagati da un governo tosco-padano si definiscono PER CONVENZIONE patrioti ed italiani ed infondono, per buona pace dei favoritismi politici, tale atteggiamento (che loro chiamano sentimento) anche al popolo VOTANTE. Ma i politici sono per legge eletti a rappresentare il popolo, quindi riflettono il pensiero di questo?

Così oggi su repubblica, si legge l’intervista ad un politico PIEMONTESE (di famiglia SICILIANA) di vecchia generazione politica, Giuliano AMATO.

Il giornale “la repubblica” si meriterebbe il premio Pulitzer, per aver chiesto ad un politico se esiste il senso di patria.

In primo luogo perché proprio i politici di vecchia generazione hanno da poco festeggiato i 64 anni di perdita di contatto con il popolo, quindi i loro discorsi e le loro indagini, sono basati su teoremi da salotto; poi avete mai chiesto all’acquafrescaio com’è l’acqua? E’ fresca!!!

Nei prossimi post parlerò delle concause matrici del disagio identitario, come la camorra, il lavoro, disagi che impediscono al popolo napolItano di pensare con la propria mente, prendendo, per comodità, i pensieri patriottici dagli standard costituzional-propagandistici (ecco il motivo per cui Bossi vuole candidare un sindaco leghista a Napoli)

Nello Esposito