lunedì 27 luglio 2009

Ma dove sono finiti gli italiani?

Sembra che la frase di d'azeglio sia stata una montezumiana maledizione per la neonata nazione italiana.

A distanza di quasi 150 anni l'italia è divisa in zone il cui popolo pur modificando la propria identità non si sentono ancora oggi italiani.

Questo assurdo progetto politico di voler, a tutti i costi, unire sotto il massonico tricolore popoli appartenenti a culture diverse, oggi sta mostrando ancora più di 150 anni fa i propri limiti, questi amplificati dalla diffusione dei mezzi di comunicazione di massa, ci mostrano che gli italiani sono un puro prodotto di propaganda.

Nelle zone del confine nord, la popolazione ha mantenuto la propria lingua i propri ideali di terra non appartenente all'italia, gruppi politici che in ogni amministrazione eleggono i rappresentanti delle proprie terre al governo romano, quasi a sottolineare il loro status di colonia.

Poi ci sono le zone che hanno trovato enormi vantaggi economici e di sviluppo dall'unione nazionale, come il piemonte o la lombardia, che pur non avendo una storia identitaria precisa, oggi si elevano a nazione indipendente e trainante per la retrograda restante parte della nazione.

Ancora ci sono popoli che hanno conservato la propria identità, minacciata solo dalle necessità economiche imposte dal governo romano, questi come la Liguria, o il Veneto, conservano orgogliosamente la propria lingua e i propri stemmi, e mai si sentiranno pienamente italiani.

Poi ci siamo noi, i meridionali, gli abitanti dell'ex Regno delle Due Sicilie, che vittime della propaganda d'azegliana ci siamo imposti di essere italiani, rinunciando a secoli di storia, di indipendenza, rinunciando alla nostra lingua ed ai nostri stemmi, lo abbiamo fatto per volere massonico-romano.

Insomma, i valdostani sono valdostani, i veneti sono veneti, i liguri sono liguri, i trentini sono trentini, i lombardi sono padani, e noi meridionali siamo gli unici che DOBBIAMO essere italiani?

Capita che qualcuno si ribelli a questo senso di abbandono, alzi la voce per dire che si sente preso in giro da d'azeglio in poi, ma allora e SOLO ALLORA, i veneti, i lombardi, i valdostani diventano italiani, per dirci che non dobbiamo lavorare al nord, non dobbiamo avere un gruppo politico formato da gente del sud, non dobbiamo sempre e solo lagnarci per un po' di monnezza che loro ci regalano.

Se io mi devo sentire italiano, lo devo essere per volontà ferdinandea e non cavouriana, è una sottile differenza che avrebbe potuto invertire le sorti dell'italia, ma visto che così non è, io sono uno stabiese, un napolitano, ed un duosiciliano, o se preferite meridionale!

giovedì 23 luglio 2009

Unità o uniformità?

Il sogno di unità nazionale si è trasformato in voglia di uniformare, minacciando in150 anni le diverse realtà territoriali con false ideolgie nazional-partitistiche finalizzate esclusivamente ad arricchire i discendenti di chi sognava l'unità; si sono create false illusioni di benessere socio-economico come caratteristica peculiare delle regioni settentrionali, causa di un flusso migratorio di milioni di persone e di risorse economiche dal sud al nord.
I presupposti “Nittiani” di inizio secolo sono stati fagocitati dalla potenza-prepotenza delle industrie settentrionali (pezzenti arricchiti con l’inganno dell’unità nazionale) nel progetto di ulteriore colonizzazione del meridione, causando uno stato di persistente subordinazione delle popolazioni meridionali alla cultura dell’economia settentrionale vincente, propagandata a gran voce dal governo centrale.
La subordinazione del popolo ma soprattutto dei politici meridionali, che negli anni si sono succeduti al governo, ha portato alla ricerca di elementi di imitazione da riproporre nelle terre del Sud, causando, con la complicità della questione meridionale, disastri in ogni campo di applicazione:
- l’urbanistica del meridione è stata vittima della standardizzazione degli insegnamenti universitari; se in passato le nostre università non avevano rivali nel settentrione, oggi all’interno di esse si insegna a costruire parallelepipedi di ferro, cemento e vetro cloni di stili riscontrabili in tutta la penisola italica. Il primo caso di standardizzazione è visibile in Napoli con Galleria Umberto I, copia di quella milanese, bella da vedere, ma utile solo nella piovosa città lombarda, Napoli è la città del sole; L’associazione della perdita degli stili costruttivi con la politica speculativa delle aziende del nord, ha permesso la crescita amorfa delle città meridionali facendo perdere le tracce di quella che è stata la storia architettonica delle nostre terre.
- La cultura gastronomica del meridione, ancora resiste, ma è fortemente influenzata dalla presenza dei grandi centri commerciali che smerciano prodotti industriali in tutta la penisola. Un mio amico disse “magiare tutti i giorni al McDonald è un abitudine che mi torna utile quando viaggio all’estero, per sentirmi a casa, devo assaporare un McChicken” (!!!) questo deve far riflettere quando vedete un napoletano che si compra la pizza surgelata della Findus all’Auchan. La stessa lega del nord nel suo programma ufficiale, combatte l’espandere dei centri commerciali, che reputa minacciosi nei confronti delle piccole realtà che commerciano i prodotti locali, intelligente pensiero, ma che mal si associa con la programmazione espansionista della Grande Distribuzione Organizzata, che si vede costretta a concentrare il suo potere nelle regioni del meridione causando un gravissimo danno alle produzioni gastronomiche locali.
- L’industria del meridione, una volta fiorente, ha subito prima il saccheggio degli invasori, poi la necessità, in seguito alla depredazione, di investimenti provenienti dai ladri del nord; ed oggi tutte le grandi industrie presenti al sud, sono vittime delle minacce provenienti dalle direzioni filo-settentrionali (Fiat, Fincantieri, ecc.) questo, la Cig, la mobilità, il progetto SudNordSud, sono causa di un continuo flusso migratorio di chi per necessità si trasferisce al nord per continuare a garantire un tenore di vita rispettabile alle proprie famiglie.
- Le vie di comunicazione, realizzate in tuta la penisola con una struttura ad albero, favoriscono il continuo sviluppo economico del nord, che grazie agli investimenti, passati, presenti e futuri, vede garantito lo scambio di merce e forza lavoro in linea orizzontali, a differenza del sud a cui viene garantito esclusivamente una movimentazione delle ricchezze in direzione nord.
- La predominanza del potere economico settentrionale ha provocato l’estinzione degli istituti di credito meridionali. Questi operano con programmi di finanziamento differenti in base alla latitudine: mentre al nord si finanziano idee o progetti, al sud, per avere mille euro devi ipotecare qualcosa. Al nord programmi di sviluppo al sud di consumo. I finanziamenti statali per il rinnovo del parco auto, funzionano, nell’ultimo anno sono state vendute migliaia di auto (lo si può notare viaggiando in autostrada, la mia auto del 2001 è la più vecchia) questo ha portato ad una falsa percezione di ripresa dalla crasi economica, infatti oltre alle case produttrici, questo intervento ha giovato soprattutto le banche, visto che il 90% di queste auto sono state comprate accedendo a sistemi di finanziamento, indebitando ulteriormente il popolo meridionale costretto ad arricchire gli unici esistenti istituti di credito settentrionali;

Non esiste un campo in cui l’azione politica non abbia cercato di standardizzare o assoggettare la popolazione meridionale, e purtroppo questo è uno dei pochi programmi ben riusciti della politica. Oggi siamo solo noi meridionali a sentirci italiani. Nello Esposito

giovedì 16 luglio 2009

UN TRAGEDIA CHE DURA DA QUASI 150 ANNI

ricevo e pubblico dal compaesano Nicola Longobardi...




Un "caso unico in Europa" secondo il rapporto Svimez sull'economia del MezzogiornoScelgono di abbandonare il Sud soprattutto laureati "eccellenti" e "pendolari di lungo raggio"
I meridionali emigrano ancoraal Nord in cerca di lavoro
Napolitano: per vera ripresa bisogna superare divario tra nord e sud, le istituzioni facciano di più




ROMA - Non hanno più la valigia chiusa con lo spago, ma i meridionali continuano a emigrare al Nord. Fenomeno che fa del mezzogiorno italiano "un caso unico in Europa", in cui la carenza di domanda di professioni di qualità spinge i migliori "cervelli" a cercare fortuna al centro-nord. E' quanto segnala il rapporto sull'economia del Mezzogiorno 2009 dello Svimez, associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno. Napolitano: "Istituzioni facciano di più". Deve crescere nelle istituzioni, così come nella società, la coscienza che il divario tra nord e sud deve essere corretto e superato: lo afferma Giorgio Napolitano in un messaggio allo Svimez in occasione della presentazione del rapporto 2009. "La crisi economica rafforza il convincimento che una prospettiva di stabile ripresa del processo di sviluppo debba essere fondata sul superamento degli squilibri territoriali, necessario per utilizzare pienamente tutte le potenzialità del nostro Paese". Il lavoro della Svimez, prosegue il capo dello Stato, "offre un contributo importante allo sviluppo di un confronto nazionale". Italia divisa in due. L'Italia, si legge nello studio, "continua a presentarsi come un paese spaccato in due sul fronte migratorio: a un centro-nord che attira e smista flussi al suo interno, corrisponde un sud che espelle giovani e manodopera senza rimpiazzarla con pensionati, stranieri o individui provenienti da altre regioni". Inoltre, i posti di lavoro del Mezzogiorno, in particolare, "sono in numero assai inferiore a quello degli occupati. Ed è la carenza di domanda di figure professionali di livello medio-alto a costituire la principale spinta all'emigrazione". 700mila emigrati in 10 anni. Tra il 1997 e il 2008 circa 700mila persone hanno abbandonato il mezzogiorno. Nel solo 2008 sono oltre 122mila i residenti delle regioni del sud partiti verso le regioni del centro-nord a fronte di un rientro di circa 60 mila persone. Oltre l'87% delle partenze ha origine da Puglia, Sicilia e Campania. In quest'ultima regione si registra l'emorragia più forte (-25 mila), a seguire Puglia e Sicilia rispettivamente con 12,2 mila e 11,6 mila unità in meno.
Pendolari di lungo raggio. Da considerare anche il fenomeno dei "pendolari di lungo raggio" che nel 2008 sono stati 173.000, 23mila in più rispetto al 2007. Persone residenti nel mezzogiorno ma con un posto di lavoro al centro-nord o all'estero, "cittadini a termine", come li definisce la Svimez, che rientrano a casa nel week end o un paio di volte al mese. Si tratta di giovani con un livello di studio medio-alto: l'80% ha meno di 45 anni e quasi il 50% svolge professioni di livello elevato, il 24% è laureato. Cittadini a termine. "Non lasciano la residenza - sottolinea la ricerca - generalmente perché non lo giustificherebbe né il costo della vita nelle aree urbane né un contratto di lavoro a tempo. Spesso sono maschi, singles, dipendenti full time in una fase transitoria della loro vita, come l'ingresso o l'assestamento nel mercato del lavoro". Le regioni che attraggono maggiormente i pendolari sono Lombardia, Emilia-Romagna e Lazio. Le matricole scelgono gli atenei al nord. Rispetto ai primi anni 2000 sono aumentati i giovani meridionali trasferiti al centro-nord dopo il diploma che si sono laureati lì e lavorano lì, mentre sono diminuiti i laureati negli atenei meridionali in partenza dopo la laurea in cerca di lavoro. I laureati "eccellenti" abbandonano il sud. In vistosa crescita le partenze dei laureati "eccellenti": nel 2004 partiva il 25% dei laureati meridionali con il massimo dei voti; tre anni più tardi la percentuale è balzata a quasi il 38%. Fenomeno, quest'ultimo, che si spiega con il fatto che la mobilità geografica sud-nord permette una mobilità sociale. I laureati meridionali che si spostano dopo la laurea al centro-nord vanno infatti incontro a contratti meno stabili rispetto a chi rimane, ma a uno stipendio più alto. Il 50% dei giovani immobili al sud non arriva a 1000 euro al mese, mentre il 63% di chi è partito dopo la laurea guadagna tra 1000 e 1500 euro e oltre il 16% più di 1500 euro.
(16 luglio 2009)



Fonte http://www.repubblica.it/

venerdì 3 luglio 2009

Il declino del sistema bancario meridionale – Il caso del Banco di Napoli


lunedì 29 u.s., alle ore 17, nella Sala A del Centro Congressi dell'Università degli Studi di Napoli Federico II, alla presenza di un folto e qualificato pubblico, è stato presentato il libro di Emilio ESPOSITO e di Antonio FALCONIO dal titolo “Il declino del sistema bancario meridionale – Il caso del Banco di Napoli” , ed. E.S.I. - Napoli. Introduzione di Gennaro Improta (Dir.Dipertimento di ingegneria Economico-., realtori Guido Trombetti (Rettore università Federico II, Enzo Giustino (Presidente Banco di Napoli SpA) Adriano Giannola (Presidente Istituto Banco di Napoli – Fondazione) Mario Raffa (Assessore allo sviluppo , Comune di Napoli) Congresso coordinato da Alfonso Ruffo (Direttore de Il Denaro)


ESTRATTI dal Testo del Libro
“….resta a carico dei vinti la responsabilità di non far disperdere la loro esperienza e la loro visione dei fatti, ricercando, illustrando e mettendo in ordine e in relazione ogni documento che risultasse utile. I vinti hanno cioè il dovere di non farsi annientare sino al punto di dimenticare la logica e la “correttezza“ delle proprie tesi e di seppellirle, all’incalzare dei cori dei tanti cortigiani di turno. Diversamente, trascorso il tempo della cronaca e della propaganda, la storia non troverebbe elementi meritevoli di considerazione da contrapporre alle tesi dominanti.”

“….. la ricerca ha portato ad individuare, anche mediante lo studio degli atti parlamentari dell’epoca, una insospettata quanto lucida linea di pensiero, comune alle minoranze e alle maggioranze, sia alla Camera dei Deputati che al Senato, di diversi Parlamentari meridionali, protesa a difendere la “meridionalità” del Banco di Napoli e del sistema bancario, a mettere a nudo i soprusi subiti, a denunziare i rischi e le conseguenze della loro distruzione ed a sollecitare, ad ogni piè sospinto, l’intervento del Tesoro e della Banca Centrale per riequilibrare le forze.
Questa linea venne del tutto ignorata sia perché largamente marginale nel quadro politico nazionale sia perché le Istituzioni economiche, politiche e sindacali locali, fatta qualche rara eccezione, si disinteressarono completamente del problema. In pratica il Mezzogiorno non destava più preoccupazione per nessuno. Ormai cominciava a premere la “questione settentrionale”.”

“L’intera vicenda assume un rilievo emblematico nell’ambito del sistema bancario meridionale, il cui smembramento costituisce l’ultimo anello di una lunga catena di spoliazioni perpetuate ai danni del Sud, che stanno facendo sentire i loro effetti non solo in ambito economico ma anche sul piano sociale e culturale.”

“Le vicende del Banco di Napoli e dell’intero sistema sono… emblematiche di un progressivo scivolamento del Mezzogiorno che è stato vittima ancora una volta di politiche che lo hanno privato dei suoi centri decisionali, determinando la generale “desertificazione” e la conseguente caduta del tono socio-culturale, oltre che di quello economico, dell’intera area.
Questo processo è stato portato avanti sotto il vessillo della supremazia assoluta del mercato, in coerenza con il piano di dismissione delle partecipazioni statali. In effetti, oltre a risolversi in netto vantaggio di ben individuati gruppi economici, il processo si è concluso proprio alla vigilia di un fase in cui la crisi globale ha indotto perfino gli Stati più liberisti ad immettere ingenti risorse pubbliche nei traballanti colossi mondiali privati della finanza e dell’industria. Così, mentre il modello tutto italiano delle partecipazioni statali è stato completamente smantellato in nome del mercato, per ironia della sorte viene prepotentemente rilanciata la sua attualità a livello globale.”
“La verità è che l’odierno sistema bancario meridionale non riesce a restituire al territorio contributi apprezzabili per il suo sviluppo economico e socioculturale e, molto spesso, gli operatori e le stesse famiglie avvertono una grande distanza con le strutture bancarie e non riescono nemmeno ad individuare l’interlocutore in grado di verificare le loro esigenze ed eventualmente di sostenere i loro progetti.”

“…..mancano al Sud reali spinte concorrenziali ed esiste ormai una strutturale asimmetria tra i colossi bancari guidati dal Centro-Nord e il tessuto delle piccole imprese del Mezzogiorno, le quali non riescono ad attrarre sulle loro frastagliate esigenze l’attenzione dei grandi gruppi finanziari, tutti protesi invece sul versante della raccolta dei fondi delle famiglie e delle stesse imprese.”

“E’ innegabile che il sistema tecnologico e l’intero ambiente socio-culturale tragga notevoli benefici dalla presenza di un autonomo sistema bancario locale che di per sé favorisce la crescita di competenze professionali e manageriali e l’accumulo di capitale sociale e di progresso civile.”

“…il blocco dell’Intervento Straordinario, deciso per le crescenti difficoltà della finanza pubblica, fu una delle cause fondamentali del dissesto dell’economia e del sistema bancario meridionali, soprattutto tenuto conto del fatto che non venne sostituito da una nuova e organica progettualità per il Mezzogiorno.
Per giunta il Banco di Napoli…… era stato incoraggiato da Tesoro e Bankitalia
a sostituirsi allo Stato negli interventi pubblici, attraverso l’accreditamento delle imprese che avevano ottenuto delibere di contributi dell’Intervento Straordinario…”

“Tutto ciò spiega anche l’enorme dimensione della crisi e perché essa esplose all’improvviso e, in definitiva, rende giustizia ad una gestione del Banco che in precedenza era sempre riuscita, sia pure in un contesto non facile ed in presenza di una sottocapitalizzazione ormai cronica, a tenere sotto adeguato controllo la situazione.
Ma se questo era il contesto, che al Sud assumeva toni veramente drammatici, perché criminalizzare a tutti i costi e in maniera indiscriminata il Banco di Napoli, tutti i suoi amministratori e chi onestamente vi lavorava, dal momento che proprio il Banco aveva svolto costantemente un ruolo di supplenza in favore del Mezzogiorno che era abbandonato sempre più a se stesso da parte dei poteri centrali?”

“Sicuramente, anche nel Banco, come in tutte le umane realtà, c’erano errori, ma ciò che va riconosciuto è che questi errori non erano diversi o più gravi di quelli che si commettevano nelle altre grandi banche del Paese. In definitiva, se il Banco non era migliore degli altri grandi Istituti di Credito, certamente non era peggiore.

“In realtà, le manchevolezze e gli errori riscontrati nel Banco di Napoli non erano per nulla diversi da quelli delle altre banche, per cui il Banco non era di certo la pecora nera e appestata del sistema bancario italiano, da abbattere a tutti i costi.
E se la sua lunga storia doveva pure sfociare in una più vasta aggregazione, così come i tempi mutati imponevano per consentire al sistema bancario italiano di competere meglio a livello globale, ciò poteva avvenire, come per altre banche, con
il riconoscimento dei suoi alti valori aziendali, senza gratuite criminalizzazioni, ma, con l’onore delle armi, nel pieno rispetto del ruolo di storico supporto dell’economia meridionale.”

E’ fuor di dubbio che le vicende del Banco di Napoli assumono rilievo emblematico nell’ambito dell’intero sistema bancario meridionale, la cui scomparsa costituisce l’ultimo anello di una lunga catena di spoliazioni perpetrate ai danni del Sud, vittima di politiche che hanno portato ad una generale “desertificazione” del territorio e alla conseguente caduta del tono socio-culturale, oltre che di quello economico, dell’intera area.
Si tratta purtroppo di risorse irrimediabilmente perdute per il Sud e per giunta portate via sotto il vessillo della supremazia assoluta del mercato - in concomitanza con il piano di dismissione delle partecipazioni statali - proprio alla vigilia dell’inversione di rotta degli Stati più liberisti che, ai nostri giorni, non esitano ad immettere ingenti mezzi pubblici nei traballanti colossi privati della finanza e dell’industria, pur di salvarli.
E così gli zelanti, sommi sacerdoti nostrani della supremazia assoluta e dell’integrità del mercato, invece di razionalizzare quanto già c’era, si sono alacremente dedicati a smantellare l’originale modello tutto italiano delle partecipazioni statali e ci sono brillantemente riusciti, per giunta a netto vantaggio di ben individuati gruppi economici, proprio mentre a livello mondiale si sta assistendo – ironia della sorte - all’ingresso massiccio degli Stati nell’imprenditoria privata, sia pure con intenti dichiarati (ma tutti da verificare) di temporaneità.

Le vicende del Banco di Napoli sono emblematiche anche perché sono ricche di sfaccettature che l’uomo comune non riesce ancora a capire. Vogliamo ricordarne solo alcune che toccano l’operato del Ministero del Tesoro, del suo Advisor e della Vigilanza della Banca d’Italia…..
Sono soltanto alcuni dei punti oscuri di questa complessa vicenda, ma l’elenco potrebbe diventare lunghissimo. Ci fermiamo qui, con la speranza che almeno su di essi anche l’uomo comune, avendone peraltro il pieno diritto, possa finalmente capire qualcosa.










ESTRATTI dalle Presentazioni


dalla Presentazione di Guido TROMBETTI:

“Il lettore si ritrova tra le mani un lavoro molto istruttivo. Un libro che ci aiuta a comprendere perché il territorio meridionale non sia riuscito a percorrere sino in fondo la strada dello sviluppo economico e sociale.
Emilio Esposito e Antonio Falconio ripercorrono con precisione le vicende che negli anni ’90 portarono alla liquidazione del Banco di Napoli. Una vicenda intricata, che gli autori hanno saputo trattare con rigore metodologico, preferendo far parlare i fatti e i numeri che hanno contrassegnato lo svolgersi dell’intera operazione.”

“Il libro di Emilio Esposito e Antonio Falconio ci dice come sia stato possibile che una classe dirigente abbia consapevolmente scelto di eliminare dalla scena un soggetto economico di così enorme rilevanza per la crescita della società meridionale.”

“Senza il “vecchio”Banco di Napoli oggi il Sud si presenta più debole nei confronti della crisi. Le istituzioni meridionali sono più isolate. Le imprese meridionali hanno difficoltà a trovare un partner finanziario che possa ascoltarle.
Manca, infine, un soggetto che promuova grandi progetti di sviluppo culturale e sociale, come avviene nelle aree del Centro –Nord.”


dalla Presentazione di Adriano GIANNOLA:

“La vicenda del “Banco di Napoli” è qui analizzata in un crescendo di cinque capitoli con una sequenza che affronta premesse, conseguenze e vari aspetti delle drammatiche vicende del triennio 1994-1996.”

“L’esposizione che Esposito e Falconio propongono dell’intricata matassa, ha pregio della linearità e della chiarezza; il che deriva dalla analiticità di un metodo che opportunamente sceglie di stare il più possibile adente ai fatti. Fatti che si commentano da soli e dai quali discende una chiave di lettura che ha una indubbia robustezza e che augurabilmente potrà contribuire a dissipare molti luoghi comuni nei quali questa vicenda è tuttora avvolta.
“Completa il lavoro, una documentazione, soprattutto proveniente dall’attività parlamentare, che rivela le preoccupazioni, gli allarmi ed il disagio – ma implicitamente anche gli assordanti silenzi, per non dire delle mancate risposte – che si manifestarono in quel breve arco di tempo rispetto a quegli eventi, accuratamente incapsulati in un vuoto pneumatico tuttora duro a morire.”

“Il volume oltre a rappresentare un contributo che invita ad una quanto mai necessaria “operazione verità” sul Banco stimola qualche riflessione - in un provocatorio parallelo tra”locale e globale” – sul dramma del credito che si sta consumando oggi col “melting down” patrimoniale delle nostre banche più reputate.”

“Il disastro di oggi sembra solo più moderno di quello di allora e l’esperienza di allora ben si presta a qualche considerazione sul presente.”
“La meccanica della crisi fu allora ben chiara per chi voleva vederla;ma ciononostante tutto fu dominato e condizionato dalla litania della “mala gestio” recitata con una interessata ansia di circoscrivere la vicenda in questo rassicurante, pedestre recinto.
Oggi il liquefarsi di tanto reputati campioni nazionali, prospetta come reale il rischio che si replichi la meccanica devastazione, vissuta dal Banco a seguito del collasso nel quale fu precipitata nel 1992 l’economia del Sud. Era comodo nel 1994-1995 invocare la lotta all’inefficienza e al clientelismo per coprire gli effetti dell’irresponsabile conduzione della liquidazione dell’intervento straordinario. L’economia del Sud fu spinta nel baratro, senza paracadute,con arrogante incuranza del rispetto dei patti, contratti e delibere già prese e formalizzate;condannando a morte decine e decine di imprese e, con loro, molte banche meridionali e, soprattutto, il Banco. Quando, dalla sera alla mattina, l’Agenzia del Mezzogiorno chiuse, rimasero “appesi” 20.000 mld di investimenti ammessi a contributo e di norma prefinanziati in attesa delle erogazioni che non ci furono. Ecco un decisivo “fatto esogeno”(ben noto e documentato in letteratura) che spazza via molti pettegolezzi e rimette con i piedi per terra questa vicenda.”

“Se allora ci si accanì con azioni di responsabilità di ben scarso fondamento, ora per coerenza dovremmo deportare a Guantanamo un bel gruppo di banchieri non fosse altro per aver intossicato i nostri campioni con quelle “relazioni pericolose” delle quali andavano così fieri o – forse – per aver contabilizzato nella frenetica corsa al “consolidamento” immobilizzazioni immateriali per decine di miliardi di euro che oggi rappresentano una quota ben consistente del patrimonio utile ai fini di vigilanza. Se si applicasse, ora, meno della metà della severità “Bancocida” di ieri, per andare a “vedere” se esiste e di che consistenza sia un bluff patrimoniale, forse alcune banche dovrebbero ritrarsi a precipizio, lasciando a secco tante imprese, e destinandole ineluttabilmente all’incaglio e al naufragio.
Il disastro dell’economia, come insegna l’esperienza, a sua volta trascina le banche in una silenziosa o fragorosa discesa nel Maelstrom.
Una differenza non di poco conto è che “allora”, la slavina fu provocata esogenamente , “ora” la regia del magnifico epilogo è firmata, per così dire, dall’Unione Mondiale dei banchieri – imprenditori.”

“Spogliata, per le note vicende, del patrimonio essa [la Fondazione Banco di Napoli] non ha più modo di sostenere – come fanno le altre Fondazioni – il proprio territorio, cioè il Mezzogiorno. E questo è per sempre, con buona pace delle teorizzazioni sulla sussidiarietà e sulla missione del “privato sociale” che affida alle Fondazioni di matrice bancaria il ruolo di attive protagoniste. In realtà – quale che sia l’azione della banca – su questo versante si è da allora attivato un meccanismo di divaricazione Nord – Sud, ancora poco percepito, potente e socialmente insidioso.
Di questi tempi, con gli sconvolgimenti che si profilano all’orizzonte di domani, non di secoli a venire (che prospettano salvataggi imponenti sotto mentite spoglie), “capire” in tutte le articolazioni il problema, è una condizione indispensabile per riaprire ed aggiornare un discorso interrotto, importante per mezza Italia e sul quale finora si è messa una pesante pietra tombale.
Liberare il discorso del Banco dai consolidati luoghi comuni, potrà contribuire - e non è poco – a far scendere dal piedistallo l’equivoco monumento eretto alla “questione settentrionale”, un’ ossessione alla quale fa eco da Sud lo sciocco intento di “abolire il Mezzogiorno”: un obiettivo finora perseguito con un certo successo ed al quale la conduzione di questa vicenda ha dato un decisivo contributo.”



dalla Presentazione di Enzo GIUSTINO:


“…ho sempre considerato la vita del Banco di Napoli speculare a quella del Mezzogiorno ed alla sua economia. Con le sue luci e le sue ombre…..nelle congiunture positive come in quelle negative.”

“…credo sia importante anche ricordare perché le vicissitudini del nostro maggiore Istituto di credito siano state nel tempo sempre rappresentate con una letteratura più riconducibile ai luoghi comuni che ai fatti.
E tra i fatti va ricordata la eccezionale e positiva reazione sul mercato delle strutture del Banco quando, con il consolidamento dei debiti degli enti locali di cui al decreto Stammati, eravamo nel ’77, l’Istituto fu costretto a dover affrontare il mare aperto della concorrenza….recuperò rapidamente negli anni successivi, mostrando così di avere strutture e capacità per conquistarsi quote di mercato…”
“…la vitalità del Banco a si è potuta verificare anche successivamente. Cioè quando, venduto per sessanta miliardi,….è stato poi rivenduto per ben seimila miliardi. Per cui delle due l’una:…o era stato svenduto prima o è stato sopravvalutato dopo.”
“….uno dei motori che aveva indotto l’Istituto a finanziare quella iniziativa [la costituzione della partecipata “Innovare Spa”, nel 1986] era soprattutto quello di creare le condizioni affinché i protagonisti del ruolo della ricerca e quelli dell’industria , qui nel Mezzogiorno, si parlassero. Affinché gli sforzi degli uni e degli altri potessero sommarsi. La Banca avrebbe secondato questo processo…”



dalla Presentazione di Alfonso RUFFO:

“Ha un nome il killer del Banco di Napoli ed è il “principio della massima prudenza”. Quello che ha indotto gli amministratori di allora a contabilizzare perdite molto al di là del dovuto (come la cronaca si è poi incaricata di scrivere) e quello che, ancora, ha suggerito alle classi dirigenti del periodo di non inimicarsi una politica dominata dall’astro nascente della Lega e un apparato burocratico statale piegato alle ragioni del Tesoro e della Banca d’Italia.
“Per calcolo, paura o ignoranza……….. l’intero società napoletana e meridionale non volle o non seppe difendere il suo bene più prezioso, che da cinquecento anni fungeva da agente di sviluppo nell’area più povera del Paese, facendosi anche carico di problemi che il governo centrale non riusciva a risolvere….

L’intero sistema creditizio meridionale è ridotto ad un mucchietto di cenere….e all’attenzione dell’agenda politica torna la proposta di realizzare una nuova banca con il compito di fare proprio quello che al Banco di Napoli si è imputato di aver fatto. Ammesso che si riesca a ricostruire lo strumento, si troveranno anche uomini che ricordino che di “massima prudenza” si può anche morire?”

“Il volume di Emilio Esposito ed Antonio Falconio copre un vuoto d’informazione enorme e colpevole.”


Napoli, giugno 2009

mercoledì 1 luglio 2009

LA FUORVIANTE SEGNALETICA

Il mio amico, Maurizio, mi ha inviato una appassionata mail, con un link.
Maurizio mi sono permesso di ricopiare il tuo articolo/denuncia, perchè reputo quantomai inverosimile l'attenzione che gli amministratori regionali hanno nei confronti di Castellammare, tanto da non sapere neanche come si scrive;
Non voglio aprire nessuna polemica, ma immaginare che fra un anno siederà alla poltrona del primo cittadino una nuova persona, che qualunque sia il suo orientamento politico, dipenderà da una dirigenza regionale, i cui interessi sono rivolti a mantenere pulito il mare di sorrento e capri, è interessata a spendere milioni di euro per il waterfront napoletano, dimenticandosi del più grande parco naturale che comprende appunto anche Castellammare di Stabia.
E pensare che ci sono politici che sono stati artefici della vendita di una buona superficie di Monte Faito alla FINTECNA (società che possiede anche la finacantieri).
Continuando a SVENDERE il nostro territorio, o facendolo amministrare da persone che non conosco neanche il nome della nostra città, ed infine tendono a CANCELLARE LA NOSTRA STORIA, il popolo stabiese (come identità) è destinato all'estinzione!
Grazie Maurizio per quello che fai.


Facendo seguito ad una segnalazione del naturalista stabiese Ferdinando Fontanella, cogliamo l’occasione per condividere e commentare con tutti gli affezionati lettori, alcuni “strani” comportamenti di quella che dovrebbe essere la più importante istituzione di protezione della natura e promozione turistica del nostro territorio, ossia l’Ente Parco Regionale dei Monti Lattari.
A molti sarà noto che tra i comuni dell’Ente Parco, Castellammare con circa 65.000 abitanti, è quello più grande. Appurato ciò, vediamo però, qual è il livello di considerazione che i “Dirigenti” del Parco hanno per la celebre “Città delle Acque”.
La prima delle incongruenze/disattenzioni, è facilmente verificabile direttamente nel sito ufficiale: www.parcodeimontilattari.it, dove nella rubrica interna denominata “I Comuni del Parco”, la città di Castellammare di Stabia è annoverata con una sola “m” (Castellamare); qualcuno potrà pensare ad una banale distrazione, ed è esattamente ciò che gli autori del portale stabiese www.liberoricercatore.it (tra cui lo stesso Fontanella) pensarono prima di prendersi la briga di segnalare, a più riprese, il suddetto errore alla redazione del sito del “Parco”, ma tali missive e ogni qualsivoglia ulteriore tentativo di comunicazione fatto per amore di Castellammare e del giusto, purtroppo, ad oggi è rimasto tristemente inascoltato… che pensare quindi: “Noncuranza, mancata ottemperanza lavorativa o più semplicemente beata ignoranza?!”
Ma non è stata certamente questa “banale” distrazione ortografica, che ci ha spinto ad impaginare il presente articolo/denuncia, veniamo quindi alle nuove, strabilianti iniziative dell’Ente Parco che ci dimostrano quanto questa neonata Istituzione, sia presente, conosca e abbia veramente a cuore la tutela del vasto patrimonio storico/naturalistico di Castellammare. Ecco i fatti: da qualche giorno all’ingresso di via Quisisana (per intenderci la salita che conduce ai rinomati boschi di Quisisana e al viale degli Ippocastani del Palazzo Reale), campeggiano in bella mostra due nuovissimi cartelli stradali, appositamente studiati dal Parco Regionale dei Monti Lattari per segnalare due importanti realtà del territorio stabiese.
Il primo di questi cartelli segnala che da Castellammare è possibile prendere una strada per il Faito, e fin qui tutto bene (Castellammare è collegata al Faito), peccato solo che appena pochi tornanti più su, questa strada, che per anni ha deliziato gli amanti del "verde", oggi risulta essere pericolosissima per la mancanza di un costone franato, che ha ristretto o meglio dimezzato la carreggiata, particolare questo, assolutamente da non trascurare che ne pregiudica la normale percorribilità: facciamo notare che poco distante dalla frana è stata inopinatamente divelta e spostata sul ciglio della strada la transenna di sbarramento, sulla quale vi è un cartello che attesta che la strada dovrebbe essere chiusa al pubblico passaggio, così come disposto da ordinanza comunale. Immaginate quindi un povero turista o un qualsiasi altro sventurato che seguendo le indicazioni dell’Ente Parco tenta di salire al Faito da Castellammare e di punto in bianco, magari proprio in un momento di distrazione o di rilassamento, si trova a dover affrontare il tratto di strada franata…
Il secondo cartello invece indica che a Quisisana esiste un fantomatico “Albergo Reale”. Chi vive a Castellammare e conosce tutte le strutture ricettive, sa bene che questo albergo non esiste, e che il cartello verosimilmente fa riferimento al “Palazzo Reale di Quisisana” (peraltro ancora in ultimazione di restauro); con ogni probabilità, chi ha commissionato il cartello ha confuso, o meglio ha erroneamente messo in risalto l'aspetto meno importante della lunga e decorosa storia del Palazzo, prendendo a riferimento un aspetto marginale che ha caratterizzato per un breve periodo questa struttura, quando in un certo periodo del ‘900 il Palazzo Reale di Quisisana (originariamente residenza estiva dei regnanti di casa Borbone e polo attrattivo di tutta la nobiltà d'epoca), è divenuto sul calare della sua "Reale" esistenza, albergo Royal.
Mettetevi però, nei panni dell'ignaro turista ed immaginate l’effetto fuorviante che la suddetta cartellonistica può sortire, se il turista è interessato ad un pernottamento. Alla luce dei fatti esposti, le conclusioni risultano più che chiare: l’Ente Parco Regionale dei Monti Lattari ha impiantato i nuovi cartelli (ciò è lodevole), ma non si è affatto preoccupata di approfondire la conoscenza, le attuali problematiche e le esigenze del territorio stabiano.
La cartellonistica, che risulta essere inesatta o quanto meno inadeguata e non attendibile, potrebbe rivelarsi addirittura pericolosa per la pubblica incolumità, si fa pertanto appello ai responsabili dell’Ente Parco e agli Amministratori cittadini di rimuovere quanto prima i fuorvianti cartelli prima che si verifichi l’irreparabile. Si attende quindi con fiducia un pronto intervento risolutore.