lunedì 24 novembre 2008

Mercato a Chilomentri zero


L’attesa per chi aspettava il Mercato a Chilometro Zero di Castellammare di Stabia, è finita.
Domenica 23 novembre ’08, nei pressi della cassa armonica, sul locale lungomare, sono stati allestiti gli stand a cura della Fondazione Campagna Amica Coldiretti.
L’intento di questa iniziativa che trova consensi su tutto il territorio nazionale, è quello di rafforzare i legami con la pronta disponibilità e convenienza delle produzioni agroalimentari locali e rendere più funzionale e trasparente il percorso dal campo alla tavola, così come ha ribadito il presidente di Coldiretti Napoli, Mena Caccioppoli, “onorare il patto stipulato con i consumatori di garantire un alimentazione sana a prezzi giusti”.
L’organizzazione perfetta, tanto che ogni stand era provvisto del gagliardetto della Farmer’s Market, con indicato sopra il nome del produttore e la sua provenienza.
La provenienza.
Il mercato era organizzato e propagandato come mercato a Chilometri zero, mentre l’espositore più vicino a Castellammare di Stabia proveniva da Vico Equense (circa 16km), con un espositore che proveniva da Contursi Terme, (83 chilometri).
Questa è la risposta al mercato LOCALE.
In merito alla convenienza, Coldiretti dichiara un risparmio garantito del 30%, abbiamo acquistato alcuni prodotti:
Mela annurca € 2.60/kg.
Olio extravergine d’oliva € 7.90/Kg
Formaggio Pecorino € 25,00/Kg.
Questo è il risultato della CONVENIENZA.
Insomma una semplice fiera del gourmet.
È giusto ricordare a chi legge che Castellammare di Stabia è ricca di agricoltori che producono agrumi, olive, ortaggi e verdure, produttori che trovano spazio nel locale mercato ortofrutticolo, mentre nessuno di questi era presente alla manifestazione di domenica, lo stesso dicasi per i paesi confinanti, ricchi di realtà agricole perennemente minacciate dalla crisi economica, crisi lavorativa, eventi meteo, e dalla potenza economica del loro diretto concorrente che è la Grande Distribuzione Organizzata.
Senza entrare in merito alla modalità di assegnazione degli stands, è evidente che la manifestazione organizzata sul lungomare stabiese ha mancato tutti gli obbiettivi dello spirito dei farmer’s market: Ecologia, Economia, promozione della produzione locale.
L’iniziativa è lodevole, ma va organizzata diversamente, con interlocutori diversi, e magari sfruttando le strutture già esistenti sul territorio stabiese, tenendo presente che lo sviluppo e la crescita dell’economia locale passa attraverso la presenza fattiva delle istituzioni.
Non si può diventare concorrenti della Confcommercio, creando iniziative con produttori itineranti su ampie zone geografiche, si rischia di gestire una rete con costi logistici paragonabili a quelli della GDO, che ricadono come al solito sul consumatore finale.
L’economia locale, va alimentata dalla consapevolezza che ogni euro speso internamente alla zona di residenza, favorisce lo sviluppo dei produttori con conseguente aumento di energia del Corpo Sociale, energia che produce reddito, con conseguente aumento della capacità di generare lavoro, con conseguenti benefici sociali ed economici diffusi.
La speranza per i produttori locali e di tutti noi è quella che i consumatori recepiscano il messaggio che tali iniziative si prefiggono di diffondere.
Nello Esposito
CDS Castellammare di Stabia

Made in Sud - Paolo Caiazzo

Cartografia del Regno delle Due Sicilie

Il Referente dei Comitati Due Sicilie del territorio di Nola, Angelo D'Ambra, ha organizzato con l'associazione bruscianese Amici della Storia Patria, una mostra dal titolo "Napoli e il Regno delle Due Sicilie nella cartografia dal XVI al XIX secolo". Siete invitati a partecipare.


sabato 22 novembre 2008

SUD E CRISI

Gianni Letta sul mattino di napoli dichiarava che aiutare il
mezzogiorno significa risolvere la crisi che sta attanagliando
l'italia.
Vi rendete conto I proclami che si fanno pur di propagandare
l'assistenzialismo delle regioni del sud utile solo ad arricchire gli
industriali del nord. Purtroppo le regioni del sud subiranno per molto
tempo ancora le conseguenze della crisi, proprio perchè in tanti anni
si è preferito l'assistenzialismo alla creazione di realta produttive
radicate e favorevoli allo sviluppo del territorio. L'assistenzialismo
porta al colonialismo da parte degli industriali attirati dai solo
incentivi statali, che abbandoneranno capannoni e famiglie non appena
il periodo assistito economicamente dallo stato terminerà, questo
perchè non sono radicati al territorio che li accoglie, e se ne
fottono del disagio sociale che il loro colonnizzare ha provocato.
Naturalmente il breve periodo di agiatezza economica regalata dallo
stato dura poco, (in genere 5 anni) e per ottenere i migliori
risultati gli industriali sono capaci di tutto, ad iniziare dagli
accordi con la malavita locale.
Intanto, ci sono cambiamenti radicali dell'urbanistica locale,
mutamenti del tessuto industriale e produttivo locale, estinzioni
delle produzioni tradizionali, ragazzi che vengono indirizzati
all'impiego delle industrie, e artigiani o agricoltori che si
ritrovano senza monodopera perchè non possono competere con gli
stipendi che un industria statalmente aiutata può avere.
Quindi avremo tutte le colture di limoni sorrentini in pericolo di
estinzione, maestri d'ascia capaci di costruire un gozzo sorrentino in
legno inesistenti, pizzeria che trovano fortuna a tokyo e non a
napoli, ecc. ecc. ecc.
La soluzione della crisi non ouò partire dal mezzogiorno d'italia,
almeno finchè questo resterà d'italia.

mercoledì 19 novembre 2008

TERESA DEI SIO SU RAI3


Ricevo e pubblico dalla Brigantessa Teresa De Sio...

In anteprima Teresa presenta il nuovo video "O PARAVISO N TERRA"

Questa sera al TG3 NIGHT LINE da mezzanotte all'una Teresa sarà ospite del direttore Di Bella per presentare il nuovo video del singolo "O Paraviso 'n Terra" tratto dal CD "SACCO E FUOCO Edizione DeLuxe"
Il video, il primo in Europa realizzato ad IMPATTO ZERO, è stato girato con l'utilizzo di pannelli fotovoltaici (solari).

martedì 18 novembre 2008

La riforma Gentile e la pedata di Maresca

Ricevo e pubblico da Nicola Zitara...

Il quarto d'ora di ricreazione era avvertito come una liberazione dello spirito e del corpo. I muscoli volevano sgranchirsi, la mente spaziare sul casuale. La circolazione sanguigna pretendeva che il cuore pompasse più in fretta. Il mio compagno di banco, un bianchisano, stava quietamente degustando un ottimo panino e chiacchierando con un altro bianchisano. Quatto quatto mi avvicinai alle sue spalle e dall’alto di un gradino gli piazzai un gran ceffone tra capo e collo. Dopo di che, contento di me stesso, riportai il panino, che nel corso dell'impresa manesca avevo preso con la sinistra, nella mano destra. La mano destra lo riportò in bocca e addentai un gran boccone, un boccone degno di colui che s'era prodigato in un'alta opera di affermazione sociale. I denti, la lingua e la gola stavano compiendo la dolce opera di deglutire il boccone, allorché mi arrivò proprio in mezzo ai nutriti glutei un calcione ben mirato, l'educativo prodotto di una gamba indubbiamente energica.

Maresca aveva osservato la scena dalla finestra della presidenza posta a piano terra rialzato. Era uscito ed aveva esercitato alta e bassa giustizia secondo il suo stile. Un metodo educativo in uso qualche volta nelle scuole elementari, ma neanche allora al ginnasio e al liceo. Non me ne adontai. Per i ragazzini delle prime classi, Maresca era come se fosse Giove tonante, che manda i fulmini e il bel tempo. Incassata la botta, io e il mio compagno riprendemmo a mordere il panino confezionato con la squisita mortadella dei nostri verdi anni e affettata a fette spesse, a cura della moglie di don Ciccio Napoli - mezza lira cadauno.

Perduta l'enclave Ruga di Portosalvo, spaesato nel rango di studente, confuso fra altri ragazzini che non erano cresciuti con me, il Ginnasio, il fascismo, la patria in armi, il latino, il bidello Congiusta, Omero, i numeri frazionari, il panino con la mortadella, il fischio assordante/attraente di Nicolino col furgoncino, avevano l'identità di un Purgatorio comunemente detto Jeraci, ma che bisognava scrivere Locri. Questo Purgatorio era sovrastato da un Orco, detto Preside, il quale era severo, ligio, autorevole, solo qualche volta conciliante, umano, paterno; un uomo che, come ci venne spiegato, era rimasto solo con i suoi figlioletti per la recente vedovanza: una persona ben piantata sulle gambe, alta, il pizzetto sul mento, il nome ridondante: Umberto Sorace Maresca.

Per quanto mi sforzi di riandare con la memoria ai nomi che ho incontrato nel libri di storia, non ricordo alcun personaggio importante che avesse il nome di Umberto, tranne Umberto Biancamano, che poi non era propriamente italiano, ma un montanaro della Savoja arrivato a Torino e, se non ricordo male, elevato a conte dall'imperatore germanico. In Toscana ci furono (e forse ci sono) gli Uberti, quelli del famoso Farinata, ci fu anche un Uberto degli Uberti, che non mi ricordo chi fosse, forse qualche altra illustre personalità, mai degli Umberti. Il nome Umberto si è diffuso soltanto dopo l'ascesa al trono d'Umberto di Savoia, secondo re d'Italia, assassinato nel 1900 a Monza dall'anarchico Gaetano Bresci. Al tempo in cui Binda e Guerra si contendevano i giri ciclistici di Francia e d'Italia, e l'Inter si chiamava ancora Ambrosiana, incontrare una persona con quel regale nome non era cosa di tutti giorni. Ancora più esotico era quel Maresca del cognome. Maresca, amarena, ciliegia, marmellata. Cirio, Arrigoni. Ancora più spaesante era l'intitolazione del Liceo: Liceo-Ginnasio Ivo Oliveti. A girare tutta la Calabria, uno che si chimi Ivo sarebbe tuttora una ricerca vana. In effetti la Locri di Maresca si atteggiava (e in effetti era) il punto di congiunzione della molto periferica provincia calabrese con l'Italia metropolitana, con Piazza Venezia, il Duomo di Milano, le Campane di San Giusto e l'Enciclopedia Treccani. Era un prezzo da pagare in termini umani affinché divenissimo italiani: la rinunzia alle gare di equilibrio sul muretto della ferrovia, al gioco della singa, alla nostra identità originaria, a come ci aveva disegnati il natio borgo selvaggio.

Riflettiamo: il re d'Italia, asceso a Imperatore d'Etiopia, e il Duce, uomo del destino, sono una cosa, l'Italia che transita verso la modernità, mandando la larga massa dei suoi ragazzi a scuola, un'altra. Bisogna raccontare le cose per come stanno. Dopo la Prima guerra mondiale, lo Stato italiano era necessario, quasi inevitabile, diventasse la Nazione italiana; quella di cui, sessant'anni prima, Massimo d'Azeglio aveva stigmatizzato l'assenza: "L'Italia è fatta, adesso bisogna fare gli italiani". La Destra cavouriana non si era neppure messa all'opera, la Sinistra di Depretis aveva aggirato il problema con il Trasformismo parlamentare, Giolitti aveva impiegato le rimesse degli emigrati per innalzare il Triangolo industriale governando il Sud con il notabilato e i mazzieri; tutti i governi avevano adescato la mafia per tenere buoni i contadini, a cui il nuovo Regno aveva rubato i demani comunali e il diritto di pascolare e far legna da ardere. Durante la guerra la riforma agraria era stata promessa e ripromessa in cambio del sacrificio della vita. Finita la guerra, mantenere la promessa sarebbe equivalso a rinunziare al rilancio dell'industria di pace.

L'ipotesi era inaccettabile. L'Italia sarebbe sparita dal novero delle nazioni civili. Ma come normalizzare il Sud? Come realizzare uno suo sviluppo nazionalitario senza prima consentire la sua transizione all'industria? A quel punto dell'evoluzione del sistema di mercato, Mussolini non poteva controllare le aspettative contadine avvalendosi del padronato fondiario e della mafia, come avevano fatto i suoi predecessori. La guerra aveva piegato i baroni e li aveva sospinti sul viale del tramonto. La stessa massoneria meridionale si era ridotta a un cenacolo di vecchi impotenti e sdentati. Il potere dell'antica classe dei redditieri non superava più i muri del locale circolo di società - cosa narrata in molti romanzi e rappresentata in decine di film. L'agricoltura meridionale, bloccata a produrre grano, non traeva alcun beneficio dall'espansione demografica e dalla crescita dei consumi nelle città industriali. Milano e Torino non erano la Francia. Da parecchio era finito il tempo della grande esportazione mondiale di vino, di olio, di conserve alimentari. La classe media delle professioni e degli impieghi, che aveva pagato con la vita, le mutilazioni, il degrado di anni in trincea, per l'integrità territoriale della Padana e per la velleità milanese della Grande Nazione, ora, dimentica di sé e della sua appartenenza culturale e morale, invece di chiedere un compenso per il Meridione, come sarebbe stato giusto e corretto, invocò proprio l'opposto: d'essere assimilata all'Italia dominante.

Fu così che Mussolini poté ottenere la quadratura del cerchio. Benedetto Croce, Giustino Fortunato, Oriani, Gabriele d'Annunzio, nel bene o nel male, avevano fatto lievitare la nuova aspirazione di tipo idealistico o forse pseudoromantico, che aveva sotterrato lo storicismo napoletano, e persino il positivismo giuridico e medico che gli era succeduto durante gli ultimi decenni del XIX secolo. Giovanni Gentile, divenuto ministro della pubblica istruzione, fu l'artefice dell'impostazione dell'ideologia nazionale. Il passaggio centrale della riforma Gentile fu l'omologazione della cultura meridionale alla romanità e più che altro al Rinascimento, cioè l'omologazione dell'intellettualità meridionale alla storia culturale pan-toscana. Maresca fu un convinto paladino della toscopadanizzazione del Sud. Una persona perbene, un buon preside, anche se uomo di parte e certamente un campanilista. Un inneggiatore dell'odiosa Ara pacis e della resa dell'antica Locri a Roma schiavista. (La caduta morale della piccola borghesia sarebbe avvenuta molti decenni dopo, lui morto da tempo, con il democratico voto di scambio, il nuovo sistema adottato dalla Padana per irreggimentare il Sud.)

I libri scolastici, i professori, il cinema, le canzoni (Siamo un popolo d'eroi, son Renati i figli tuoi... Dangala a me biondina, dangala me, biondà...), i discorsi del Duce, le adunate promosse dal preside Maresca, i suoi discorsi nella sala a scalinate del Cinema Impero, rivolti a chissà chi, non certo a noi ragazzi, che neppure li ascoltavamo, ci volevano (e ci hanno fatti) italiani.

Locri era la capitale del circondario. Il Liceo-Ginnasio Ivo Oliveti era il forum di due o trecento ragazzi e giovanotti con speranze dottorali provenienti dai trenta o quaranta paesini, da Stilo a Brancaleone. C'erano due treni degli studenti, uno proveniente da sud e uno proveniente da nord. D'inverno sfornavano corpi di ragazzini intirizziti dal freddo, d'estate corpi assonnati di ragazzi madidi di sudore.

Le ragazze di regola non viaggiavano. Stavano in pensione presso le suore o una famiglia del luogo. I ragazzi venivano da paesi lontani, ore di biroccio, più ore il treno. E c'erano anche, anzi c'erano soprattutto, le biciclette. Erano pedalate di ore, da Roccella, da Gioiosa Superiore, da Grotteria, da Bovalino, da Benestare, da Sant'Ilario, da Gerace. Noi di Siderno eravamo i più fortunati e anche i più numerosi. I due primi anni di Ginnasio viaggiai in carrozza con altri ragazzi e due studentesse liceali - due 'signorine', in un tempo in cui il tu si dava all'altro sesso soltanto in età infantile.

Ci portava Zagaré con il suo vecchio landò, tirato da un vecchio cavallo. Portare era, poi, il più delle volte un modo di dire, perché di regola era un correre accanto alla carrozza in quotidiane gare a chi era più veloce, e a fare a cazzotti e a sassate con i ragazzi della pluiricasse della Basilea che al nostro apparire prendevano a urlare: vavalaciari. La Juventus di Siderno gareggiava con la Fortitudo di Locri. Il portiere Minniti subì l'infamante accusa d'essersi venduto, Pietro Gratteri, passato al Siderno Serie C, quella di traditore, la professoressa di Ginnastica fu causa di una rissa perché uno dei Carnuccio le rimproverò di portare le mutandine azzurre (la maglia del Siderno). I terzaliceali sidernari reagirono. Capuleti e Montecchi se le suonarono di santa ragione. Intervennero i carabinieri che usarono le bandoliere come sfollagente.

La carrozza di Zacaré entrava a Locri per la Strada del tribunale. Altre vie d'accesso allora non c'erano. L'edificio a tre piani, imponente per quel tempo, con le sue grandi vetrate che riflettevano i raggi del sole, mi suggeriva l'idea di una maestà urbanistica di cui Siderno non godeva. Locri era più fascista di Siderno - cosa assolutamente normale, in quanto c'erano i comandi dei carabinieri e delle guardie di finanza, il tribunale e gli uffici fiscali - e quindi più italiana. Essendo più italiana, era anche più fascista. O se vi piace di più, l'inverso. In effetti le cose restano le stesse. Il problema è un altro: il compito che lo Stato, teso a diventare Nazione, assegnava alla borghesia locale. Sappiamo dal bel saggio di Salvatore Futia sulle Officine Meccaniche Calabresi, che Michele Bianchi, quadrunviro mussoliniano, le aveva aiutate a nascere. Ma

le Officine non ebbero lunga vita. La Grande Crisi sopravvenuta impose a Mussolini dure scelte. Furono nazionalizzate e messe in salvo le grandi banche e le grandi industrie di Milano, Genova, Torino e Trieste. Al Sud i fallimenti non si contarono. Affondò la Banca di Gerace, le rimesse degli emigrati lì depositate andarono perdute. Affondarono anche le OMC.

A partire dal terzo anno ebbi una bicicletta da grande.

Nelle belle giornate d'inverno e di primavera, una passeggiata mattutina in bicicletta. A sinistra, la scarpata della ferrovia coperta dal verde tenero di un'erba spontanea e già a febbraio da un tappeto violaceo di fiorellini dal gambo grasso e dai cento petali, una varietà di macchia mediterranea oggi completamente estinta (almeno così credo).

Oltre la scarpata, il mare celeste al primo sole, e a tagliare l'orizzonte Capo Bruzzano. A destra gli agrumeti e le vigne, Gerace lontana, battuta in fronte dal sole basso, il Tre Pizzi di Antonimina, l'Aspromente innevato.

Sono passati settant'anni da quel tempo, e il ricordo mi fa sembrare bello persino lo stivale di Maresca.

lunedì 17 novembre 2008

Rìo Mayo


Recentemente, il mio Amico Nicola Bruno, mi ha invitato a riflettere sulla notizia data al TG1 in merito alla spazzatura presente nella Napoli sotterranea.

Devo ammettere che è una notizia che mi è sfuggita come mi capita da una settimana a questa parte, ma la cosa mi fa arrabbiare tanto.

Mi è venuto in mente un passo di un bel libro che lessi tempo fa “Patagonia Express” del mitico Luis Sepulveda:

“[…] Rìo Mayo è una piccola città della Patagonia argentina, perennemente spazzata da un forte vento che arriva dall'Atlantico e che al suo passaggio sulla pampa trascina arbusti di calafate, ciuffi di graminacee con le radici e tutto, e tonnellate di polvere. Normalmente nelle strade di Rio Mayo il polverone nasconde il marciapiede di fronte. Nel 1977, durante la dittatura militare argentina, a un colonnello del reggimento Fucilieri del Chubut venne un'idea geniale - genialità militare, si intende – per evitare riunioni cospirative nelle strade. A ogni angolo, sui pali dell'illuminazione pubblica, installò degli altoparlanti che bombardavano la città con musica militare - scusate se la chiamo musica -, dalle sette del mattino alle sette di sera. Quando l'Argentina tornò alla normalità di un governo civile, le nuove autorità si astennero dal togliere gli altoparlanti per evitare problemi con i militari, e gli abitanti di Rìo Mayo continuano ancora oggi a subire dodici ore al giorno di bombardamento sonoro. Dal 1977 gli uccelli della Patagonia evitano di volare su Rio Mayo e la maggior parte degli abitanti ha problemi uditivi. […]”

La cosa buffa è che nelle Due Sicilie, quegli altoparlanti li abbiamo installati noi con il pagamento del canone RAI e con l’acquisto dei vari quotidiani di matrice sabauda.

In ogni angolo delle nostre strade, in ogni casa ascoltiamo e leggiamo ogni giorno la propaganda diffusa dallo stato invasore, pronta a denigrare, ANCORA OGGI, quella che una volta era la capitale della cultura, e tutto quello che rientra nei confini del Regno ormai scomparso.

Caro Nicola, non credo che dobbiamo lamentarci della musica che trasmettono gli altoparlanti, ma protestare per la loro presenza, fino a che gli uccelli delle Due Sicilie tornino a volare liberi sopra le nostre terre, e lottare affinché il popolo Duosiciliano torni a godere del senso dell’udito, liberi di ascoltare la verità che fino ad oggi gli è stata negata.

martedì 11 novembre 2008

momenti di gioia

Consentitemi il piacere di condividere con voi tutti la mia gioia di esser diventato papà per la seconda volta.
Vi presento Lorenzo

lunedì 10 novembre 2008

Le vasche di drenaggio borboniche

Ricevo da Virginia Lalli la seguente lettera

Carissimi,
ho letto un articolo qualche giorno fa su Avvenire che mi ha lasciato a dir poco basita.Forse voi sapete come sono andate le cose.
Titolo: "Le vasche di drenaggio borboniche bloccate da tonnellate di sedimenti e l'alluvione del 1998 non ebbe freni".
"Il bacino del Sarno per le sue caratteristiche idrogeologiche è sempre stato al centro di numerosi interventi di natura idraulica sotto gli accorti Borbone: lo dimostrano le vasche da questi fatte costruire per incanalare le acque piovane che scendevano dal versante orientale del Vesuvio ed evitare così gli allagamenti delle campagne e delle cittadine oggi invece frequentissimi.Le stesse vasche che i tecnici hanno trovato soffocate da 400mila tonnellate di sedimenti,ormai incapapci di drenare e la cui occlusione fu una delle cause principali della tragica alluvione del 1998 e degli allagamenti di oggi.
Tutto da pulire tutto da rifare per poter incanalare 800 mila tonnellate d'acqua provnienti dal Vesuvio e dai monti circostanti e ridare sicurezza agli abitanti".
Come si è arrivati a questo punto? E come sanare questa situazione?
Ciao Virginia Lalli


Cara Virginia, il recupero delle vasche di drenaggio borboniche è inserito nelle priorità del Commissario per l'emergenza del fiume Sarno, ed in Generale Iucci ha più volte parlato del loro recupero, sottolineando la paternità dell'opera ai Borbone.
Pertanto rientrando nei compiti assunti dallo stesso Generali Iucci, sono minacciate dalla mancata riconferma dello stesso nel ruolo di commissario dell'emergenza, infatti a dicembre scadrà il mandato che il governo diede al Generale.

sabato 8 novembre 2008

BRAVO ENZO. 30 E LODE

Ricevo dal mio amico Enzo Meglio questo interessante spunto di riflessione sulla canzone le radici ca tieni dei Sud Sound System.

Questa canzone è veramente bella e significativa, ma non sempre è facile riconoscersi in queste parole. Difendere la mia terra, spesso, mi fa sentire come l'avvocato di un delinquente colto in flagrante e reo confesso. Come si fa a difenderlo??? Ecco, forse, il motivo per cui in molti rinnegano le proprie origini, quasi come se fossero per loro un precedente penale. "Sei della Napoli descritta da Saviano? Sei della Gioia Tauro vista su La7? Sei della Sicilia mafiosa?" ecc. ecc. ecc. Come si fa a dargli torto? Come si fa a difendere questo assassino colto in flagrante e reo confesso??? Di fronte a tutta questa evidenza, quali gli alibi e le attenuanti?
Due soltanto: la nostra storia e la nostra cultura.
"Me la difendu, la tegnu stritta cullu core (la difendo, la tengo stretta nel cuore)
la cultura mia rappresenta quiddru ca é statau e ca ha benire (la mia cultura rappresenta quello che è stato e che sarà)
Intra stu munnu, a du nu tene chiui valore (in questo mondo, dove non ha più valore)
Ci parla diversu o de diversu ede culure! (chi parla diverso o è di diverso colore!)".
Rinnovo, a questo punto, il mio invito a lasciar perdere i partituncoli di riferimento. Piuttosto, organizziamo eventi e stands nelle piazze per dare alla gente motivo di credere che la speranza di vedere frutti nel futuro deriva dalla solidità delle nostre radici...

venerdì 7 novembre 2008

LE RADICI CA TIENI

Il mio amico Enzo Meglio mi ha segnalato questa bellissima canzone,

giovedì 6 novembre 2008

Ciano:"Siamo repubblicani e unitaristi, non contro i Savoia e con i Borbone. Ma il nostro Paese ci tratta da nemico sconfitto..."

dal blog Rarika di Orazio Vasta

Posto da "La Stampa.it" di oggi,ringraziando della segnalazione l'amico Natale Cuccurese del blog http://partitodelsud.blogspot.com/ .
Si tratta di un'intervista di Pino Aprile al coordinatore nazionale del Partito del Sud,Antonio Ciano. I contenuti dell'intervista,sicuramente,faranno discutere "l'area". Io stesso mi propongo un intervento mirato. Ma,posso già dire,a"sangue caldo", che NON CONDIVIDO assolutamente questa voglia affannosa dell'amico Ciano di dichiararsi "unitarista". Qual'è il "PAESE" dell'amico Ciano? Il mio Paese è questa Terra di Sicilia,Nazione occupata e cancellata....Orazio Vasta
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Pagate Savoia!
Gaeta lancia il controassedio
La città pretende 500 milioni
di risarcimento
per i bombardamenti
«piemontesi»del 1861
PINO APRILE
GAETA (LATINA)Per i 150 anni dell'Unità d'Italia, la città di Gaeta chiederà ai Savoia il risarcimento dei danni dell’assedio del 1861: 500 milioni di euro, pari a 2 milioni di lire dell'epoca. Vittorio Emanuele ed Emanuele Filiberto volevano 260 milioni per i 54 anni di esilio subìto. Noi, per migliaia di morti e la città distrutta ci teniamo bassi. Gaeta non aderì mai al Regno d'Italia; potrebbe pretendere l'autonomia, non applicare le leggi varate durante il regno dei Savoia; riprendersi i beni demaniali incorporati da questo Stato. Divideremo il risarcimento con le altre città "eccidiate" dai Savoia: decine».

Antonio Ciano, 61 anni, assessore al demanio a Gaeta, autore di «I Savoia e il massacro del Sud» e «Le stragi e gli eccidi dei Savoia», ex comunista, fondatore del Partito del Sud, sostiene l'iniziativa, confortato da legali e giuristi.
*Per leggere tutto,clicca il link:http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200811articoli/37953girata.asp

mercoledì 5 novembre 2008

Enzo Riccio su 350 Bande

Sono in gran parte d'accordo con l'amico Orazio...ma permettetimi un commento più ampio.
Trovo che la lettera dell'amica calabrese, e molti commenti simili che anch'io raccolgo in giro, sia importante e un segnale del fatto che il nostro popolo non ci capisce.
Non solo a noi del Partito del Sud ma anche ai Comitati delle Due Sicilie e agli altri partiti e movimenti...noi tutti dovremmo riflettere su questo.

Giusto per precisare la nostra posizione, fatemi pure aggiungere che noi del Partito del Sud non ci siamo MAI alleati con la Lega ma siamo solo in fase di TRATTATIVA con Alleanza Federalista per la nascita di un soggetto politico autonomista MERIDIONALE per un eventuale accordo ELETTORALE PER LE EUROPEE ...per me solo con un simbolo meridionale potranno andare un buon fine queste trattative. NIENTE E' STATO GIA' DECISO!

Poi se non mi sbaglio anche l'MPA e' alleato nelle elezioni nazionali della Lega e cosa ancor peggiore, soprattutto in Campania e' espressione della vecchia politica clientelare democristiana...vogliamo cambiare qualcosa con Enzo Scotti??? Per non parlare del Cuffarismo in Sicilia...ha vinto le elzioni regionali si...ma a quale prezzo? E cosa sta facendo per la Sicilia? E cosa sta facendo per il SUD che ha inserito all'ultimo momento nel suo simbolo elettorale?

Io sogno un partito meridionalista libero, che non si schiera ne' col centro-destra ne' col centro-sinistra...per arrivare a questo, con le difficoltà delle leggi elettorali attuali, credo che si possano e debbano sondare alleanze elettorali, definendo per bene gli accordi e quali sono i programmi.

Intanto riflettiamo sull'invito all'unità...noi già ci abbiamo provato in passato senza successo, chi vuole andare con Mastella o niente e chi vuole andare con Lombardo o niente...credo che ci dovremo riprovare in futuro.
Enzo Riccio

martedì 4 novembre 2008

TUTELA DEL PATRIMONIO STORICO CULTURALE


Questo è il testo della mail inviata al Sindaco di Castellammare di Stabia, in merito alla tutela del patrimonio storico culturale della cittadina stabiese.

Ill.mo Sig. SINDACO

Questa volta Le scrivo per collaborare fattivamente al continuo buon vivere cittadino che Lei sta garantendo con la sua politica.

Non Le chiederò l’ennesima targa da apporre chissà dove, ma una modifica ad un regolamento ritenuto importante per la conservazione della storia di Castellammare di Stabia.

È superfluo ricordare che Castellammare di Stabia ed in suoi illustri concittadini hanno influito su eventi storici di livello mondiale, e la storia si fa in luoghi che noi ben ricordiamo e che le amministrazioni sono tenute a salvaguardare.

Noi abitiamo a Sud, dove il clima benevolo favorisce lo sviluppo e lo svolgimento degli eventi sociali all’aperto, è questo il vantaggio che hanno trovato i molteplici artisti che dipingevano, componevano e scrivevano le loro opere sfruttando le bellezze di Castellammare di Stabia, va ricordato che lungo il viale alberato della villa comunale Luigi Denza (1846 – 1922) fu ispirato e compose la celebre Funiculì,Funicolà.

Molti sono invece gli esercizi commerciali STORICI che hanno donato alla Nostra città momenti di felicità, condivisa con personaggi di alta valenza storica, voglio ricordare l’esempio de IL GRAN CAFFE’ NAPOLI.

Tra gli assidui frequentatori del “bistrot” Spagnuolo ricordiamo personaggi singolari come il principe di Molitemo, il principe di Sant’Antimo, il senatore Guglielmo Acton, il barone Toscano Mandatoriccio, la contessa Coppola, il marchese Pellicano, l’archeologo Giuseppe Cosenza, l’architetto Eugenio Cosenza, il giornalista Michele Salvati, lo scrittore e critico d’arte Piero Girace, il pittore Vincenzo D’Angelo, l’ideatore dei caratteri dell’insegna del Caffè e lo stesso Luigi Denza.
Mentre tra i forestieri illustri si segnalano Eduardo Scarfoglio e Madide Serao, Jane Grey, pseudonimo di delia Pellicano; Enrico De Nicola, Benedetto Croce, Vittoria Aganoor Pompilj,

Ma tutti questi ricordi da chi sono tutelati?

Esiste a Castellammare di Stabia un albo delle attività commerciali storiche? Viene garantito il divieto di trasformazione della destinazione degli esercizi commerciali storici?

Ho dato una veloce lettura al SUAP di Castellammare di Stabia, e non ho trovato traccia di tali accortezze, quindi in un domani, non tanto prossimo, potrei vedere anche il Gran Caffè Napoli trasformato in una BANCA!

E se la politica espansionista delle banche (le ricordo che non esistono banche i cui proprietari siano residenti nel mezzogiorno d’italia) lo riterrà opportuno, nulla potrà vietare di OCCUPARE uno degli ultimi monumenti storici ancora funzionanti della nostra città, ultimo ritrovo della gente per bene di Castellammare che la domenica mattina ama ripercorrere i passi di Raffaele Viviani o di Luigi Denza.

Illustrissimo Onorevole Salvatore Vozza, agisca ora per il bene della sua città prima che gli eventi prendano il sopravvento.

Con stima

Aniello Esposito

MAFIA = CAMORRA = MERIDIONALI

Questo è un commento ricevuto al post Mafia di Nicola Zitara:

Ho inviato questo commento al blog di Orazio,considerato che avete trattato lo stesso argomento,mi sono permessa d'inviarlo anche a lei.Daniela
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Un argomento che mi sta molto a cuore è appunto la mafia. A cuore non perchè favorevole bensì perchè persone ignoranti paragonano la Sicilia alla parola mafia offendendo quindi anche me. In particolare vorrei parlare di "Cosa nostra" e "Stidda", le due mafie più potenti presenti in Sicilia. Cosa nostra è un'organizzazione criminale di stampo mafioso nata in Sicilia la cui origine si fa tradizionalmente risalire agli inizi del XIX secolo ed è messa in relazione all'antico fenomeno del brigantaggio. Con il termine, "Cosa nostra", oggi ci si riferisce esclusivamente alla Mafia siciliana. La Stidda ,invece, è un'organizzazione criminale ramificata in Sicilia, e particolarmente vicino ad Agrigento, Catania, Gela e Siracusa. Le origini della Stidda possono essere fatte risalire allo stesso periodo di quelle di Cosa Nostra, poiché sono comuni a entrambi i gruppi criminali la ragione e il motivo della nascita nell'ambito rurale. A differenza di Cosa Nostra, però, la Stidda controlla territori ristretti e circoscritti e la sua organizzazione interna sembra essere quella di una confederazione di più cosche, senza un rigida struttura verticistica. Mentre Cosa Nostra si evolveva e si modificava, evolvendosi, la Stidda e gli stiddari (o stiddaroli) rimanevano più o meno gli stessi (con poche regole ed una gerarchia semplicissima). Tutto questo finché i corleonesi non salirono ai vertici di Cosa Nostra. La Stidda, per questo, è considerata la quinta mafia.
Attenzione però...nessuno ha detto che essere siciliani vuol dire essere mafiosi!!!
E allora perchè riceviamo insulti da tutta Italia, perchè ci paragonano a quella gentaglia che ha ucciso tanti magistrati? (i 2 che mi stanno più a cuore sicuramente sono Falcone e Borsellino). Come ho detto prima la parola mafia nasce nel XIX secolo. Già allora volti conosciuti (o meglio dire nomi conosciuti) cominciarono a prendere potere nella nostra terra. Se dico Lucky Luciano e Vito Genovese vi viene in mente qualcosa? Purtroppo si! Boss mafiosi che da sempre sono stati difesi e ai quali è stata data l'immunità per insuffienza di prova come per Bagarella, Provenzano e Totò Riina (il boss dei boss). Per parlare di questo fenomeno forse ci vorrebbero anni e anni di studio e centinaia di migliaia di parole. Ma noi siamo solo essere umani, ci limitiamo ad esprimere la nostra opinione (quando ce lo permettono) e siamo i primi a tirarci indietro se sentiamo puzza di bruciato. Noi siamo persone umane, Falcone, Borsellino e chi come loro sono i veri eroi. Persone che hanno combattutto e hanno messo a rischio la propria vita proprio per noi siciliani. E non lamentiamoci se veniamo rappresentati da 3 oggetti sotto forma di statuette con la coppola in testa con su scritto:"Non vedo", "non sento", "non parlo". Non lamentiamoci se un detto nostrano dice:"niente saccio, niente vitti e niente voglio sapiri (non so niente, non ho visto niente e niente voglio sapere). Ma i siciliani non sono mafiosi e lo affermo sempre di più. Non paragonateci agli esseri schifosi che hanno ucciso chi ci difendeva. I siciliani sono persone perbene, come sono perbene i calabresi, i napoletani e i pugliesi. E allora perchè avere paura di noi? Noi combattiamo ma in silenzio, noi cerchiamo di fare qualcosa per migliorare questo paese ma il più delle volte non possiamo. Credetemi quando dico che siamo brave persone.
Daniela

Cara Daniela, io da parte mia avrei mandato a ciclo continuo le immagini di Voi siciliani quando avete manifestato la vostra gioia all'arresto di Brusca, Riina e Provenzano, (ad iniziali piccole perchè i loro nomi non rappresentano niente), invece le emittenti televisive finanziano serie televisive e reality privi di qualsiasi morale, paghiamo il dott. Vespa per la sua continua propaganda di regime.
I media sono sempre stati usati dal vero potere per la propaganda e la contropropaganda di quello che più fa comodo al regime, quindi noi appariamo per quello che lo stato italiano vuole farci sembrare.
Nello Esposito

lunedì 3 novembre 2008

MAFIA - DI NICOLA ZITARA

SU SUGGERIMENTO DELL'AMICO NICOLA LONGOBARDI PUBBLICO L'ARTICOLO DI NICOLA ZITARA

La mafia

Dal sito www.eleaml.org

Un giornale mi ha posto la seguente domanda:

Che lettura dai del sistema mafioso? Questo sistema di accumulazione illegale di capitale, come s'intreccia, nell'era dell'euro con il sistema legalizzato di accumulazione capitalista? E che problemi porrebbe ad un processo sudico di liberazione?

Suppongo che la risposta possa interessare i lettori di Fora…

Prima dell'ultima Guerra Mondiale, nella Sicilia occidentale e nel reggino calabrese, la mafia (sinteticamente per malavita contadina) aveva uno spazio sociale e lavorativo nelle guardianie dell'acqua per l'irrigazione dei preziosi agrumeti - preziosi non solo per i proprietari, ma anche e forse soprattutto per l'economia nazionale, essendo arance, limoni e mandarini la voce più importante delle esportazioni nazionali. Al tempo del fascismo la mafia era soltanto un problema criminale. Un problema sociale - e non solo nelle zone mafiose- era semmai la netta separatezza tra mondo urbano e mondo contadino. Gli urbani, non solo volevano che i contadini avessero una condizione sottomessa, ma una parte di loro - la piccola borghesia impiegatizia e commerciale - inclinava anche a emarginarli, a tenerli fuori - i forisi.

Nel Dopoguerra il problema criminale diventa secondario. Con la democrazia politica si fa spazio una cultura criminale più tollerante. Cresce invece, nelle zone agricole, la frizione sociale, in quanto il mercato nero, prima, e la più efficace penetrazione dell'economia di scambio nelle campagne, poi, spingono intere falangi di contadini a inurbarsi, per inserirsi nel piccolo commercio. I nuovi orientamenti politici nazionali portano infatti all'eliminazione degli impedimenti precedentemente frapposti alla penetrazione dei contadini nel territorio degli urbani; quelli legali voluti dal fascismo e quelli classisti - invisibili legislativamente, ma molto forti - dell'epoca anteriore. Il nuovo conflitto è alquanto rispecchiato, nello schieramento politico, dalle formazioni estreme: la destra monarchico-fascista a favore degli urbani e il partito comunista a favore dei contadini. Dal canto loro i partiti intermedi - democristiani, socialisti, repubblicani, liberali, socialdemocratici - accettano l'esodo contadino e cercano di mediare le frizioni che esso provoca, con parecchia tolleranza per l'aspetto criminale.

Alla genesi dello Stato repubblicano bisogna riportare anche la rinascita del vecchio clientelismo prefascista. Sul piano elettorale i contadini meridionali hanno lo stesso diritto al voto dei veri cittadini. Anzi negli anni del Dopoguerra sono persino politicamente rappresentati da due partiti: i comunisti, che fanno immaginare la fine dei padroni-redditieri, e la democrazia cristiana che offre i mezzi per la formazione di una la classe di coltivatori diretti. Ma nel corso della Ricostruzione cosiddetta nazionale l'immaginario comunista sfuma, mentre sul versante della formazione della piccola proprietà coltivatrice il processo è lentissimo.

Al Sud, altro non c'è. Di conseguenza, quando l'arcaicità del progetto comunista diviene chiara, i contadini perdono almeno uno dei due punti di riferimento aventi carattere endogeno, essendo, gli altri, delle formazioni politiche nordiste, calate al Sud con programmi fatui ed esotici. Siamo nei primi anni cinquanta. A questo punto comincia la farsa. Il PCI ripiega senza una vera resistenza; la D.C. incalza, ma nel frattempo il suo progetto ruralista viene superato dai fatti, cioè dalla fuga dalle campagne in seguito alla più penetrante diffusione delle merci settentrionali. Messo in difficoltà, il partito cattolico risuscita il modello giolittiano e clientelare di governo del Sud, e lo estende alla campagna.

L'espansione della mafia ha le sue radici in tale passaggio. Per il candidato - regolarmente un urbano - i contadini sono difficili persino da raggiungere; e se raggiunti, contestano, perché l'interessata intrusione d'un urbano fa riemergere l'antica sfiducia e i temi del permanente conflitto. Comprare il consenso del capobastone contradaiolo diventa, allora, per il candidato, un passaporto terragno per ottenere il voto contadino.

Il risultato è positivo (ovviamente per la D.C.) cosicché, dove la mafia è assente o ha una debole presenza, l'eletto fomenta i capibastone perché si prodighino a suscitare imitazione intorno al voto di scambio. I nuovi adepti vengono accarezzati, coccolati. Nel reggino, i gruppi mafiosi che avevano complessivamente la dimensione di qualche migliaio di adepti, passano ad averne decine di migliaia.

Ma cosa riceve il boss campagnolo dal politico? Certo non terra, non siamo più all'assetto feudale. Il candidato può donare solo Stato, spesa pubblica. La sanità ospedaliera non è ancora nata e la Cassa per il Mezzogiorno è solo al decollo. D'altra parte il sistema centrale, se incoraggia il malaffare a livello locale, a livello centrale ha ancora qualche pudore. E', quindi, sui bilanci dell'ente locale che finisce per gravare il costo elettorale. Le opere pubbliche comunali e provinciali diventano la merce di scambio, il premio per i servigi resi. Il piccolo borghese mugugna e mugugnando porta il suo voto alla destra. Il mondo contadino - precipitato in crisi, senza che, però, il sistema offra altra alternativa che l'emigrazione - invece apprezza. Un salario settimanale, per una fatica molto meno pesante di quella agricola, rappresenta un passo avanti, schiude la strada all'inurbamento.

Fatto il primo passo verso i commerci e la cultura del profitto, diventa facile per il boss campagnolo capire l'affare delle bionde, che qualche confratello arrivato dall'America offre. Poi, negli anni sessanta i suoi orizzonti mercantili si allargano. La Cassa per il Mezzogiorno, gli ospedali, le strade che vengono aperte per una più agevole penetrazione delle merci settentrionali, si coniugano meravigliosamente con il voto clientelare. Il partito vincente non è una formazione politica ma il notabile elargitore di appalti. Intanto matura un'altra generazione. Gli appaltini truccati, i subappalti concessi dal grande appaltatore, sempre padano, che si adatta al sistema pur di far quattrini, , mercé l'interessamento del deputato locale, il commercio delle bionde, non bastano a impiegare tutti. Le nuove leve scalpitano; le gerarchie, che in campagna avevano il valore di regole tradizionali, entrano in crisi. Un carattere saliente del mondo borghese, la mobilità sociale, penetra nelle arterie contadinesche. In termini mafiosi siamo ai sequestri di persona, al racket all'americana, alla polverina. La mafia, uscita penosamente dalle riserve contadine di giolittiana e mussoliniana memoria con i buoni uffici del clientelismo politico, arricchisce. Complessivamente il budget è consistente, ma individualmente non va al di là di una ricchezza locale. I boss sono ancora dei paesani. La loro ambizione è d'ottenere il rispetto dei borghesi. Si mettono, così, ad acquistare terre e vi piantano vigne e oliveti; si fanno costruire palazzi signorili, aprono alberghi, spesso lussuosi. I loro figli andranno a scuola per diventare medici e ingegneri. Insomma i figli di Drake, il corsaro, diventano baronetti.

Sulla soglia degli anni Ottanta, quando è ancora vivo fra i contadini il bisogno sociale del riconoscimento borghese, con un po'di sapienza politica - forse - il processo capital-mafioso avrebbe potuto essere rovesciato e - forse - azzerato: il boss proprietario di oliveti, il figlio medico ospedaliero. Alla fine, la cosa sarebbe stata digerita dai borghesi, tanto più che si era verificato un ribaltamento del predominio culturale. La mafiosità, cioè la prepotenza e l'incivismo mafiosi, si era diffusa, come stile negoziale, fra i ceti borghesi. Avvenne invece che il PCI di Berlinguer - non mordendo più nelle campagne, anzi in tutto il settore meridionale del lavoro - decise di cambiare la classe di riferimento. Abbandonato il popolo alla sua secolare dannazione, passa ad amoreggiare con la piccola borghesia.. Dopo la Rivolta di Reggio le sue chiacchiere ventennali non incantano più. Ma cosa portare in dono a una borghesia allo sfascio e senza più ideali? Se non il PCI poteva dare in positivo, poteva dare in negativo. Il numero vincente sulle ruote di Napoli e di Palermo è il disagio dei borghesi sopraffatti dai rustici, la profonda avversione degli urbani verso il contadino invasore.

Quando il PCI decide di passare dall'altra parte, diventa immediatamente il paiolo in cui l'antico odio sociale può cagliare una nuova fermentazione. E' difficile dire se fu una deliberata scelta della direzione centrale, oppure l'insipienza dei quadri periferici - il tema merita approfondimento - fatto sta che l'offensiva contro la mafia si trasformò nell'imputazione di delinquenza alla cultura contadina. Il fatto che la quasi totalità dei magistrati venisse dal mondo urbano, e nutrisse verso i contadini l'avita avversione, fece il resto. Con tutte le morbidezze che partiti e magistratura avevano avute con il malaffare, che coinvolgeva contemporaneamente mafiosi e politici, sparare sulla mafia soltanto - assolvendo pregiudizialmente i notabili e il sistema politico e amministrativo - dette l'idea di una caccia alle streghe, di un'operazione hitleriana, di una notte di San Bartolomeo giudiziaria (i cui nefasti lasciti divennero peraltro nazionali nel caso di Tangentopoli). E infatti molti non accettarono l'idea d'invertire le colpe: di assolvere la politica e di sparare a zero su tutto il mondo rurale e di origini rurali.

Uno di questi spari - la Legge Rognoni-La Torre, ebbe la portata di un disastro sociale. Infatti i mafiosi cessarono d'investire in roba al sole, in piccole cose che in sostanza rianimavano lo stanco spirito d'impresa meridionale. La mafia piantò le sue tende a Milano. L'allarme di Piero Bassetti, al tempo presidente della Regione Lombardia, non allarmò né la banca, né la borsa, né il governo. Pecunia non olet. Quei soldi servivano all'economia nazionale, completamente piegata.

Con Milano come base, i mafiosi hanno impiegato meglio i loro danari, abbandonando ideali familiari appartenenti a un mondo antico, per ideali amerikani. I loro figli non studiano più da medico e da ingegnere, ma imparano le tavole dell'economia bostoniana.

Però la mafia ha bisogno di uomini. Essendo una potenza economica pari a dieci volte la FIAT, usufruisce al Sud di un possesso degli uomini simile a quello della Chiesa, che vince le sue battaglie senza schierare una sola divisione. A entrambe basta condividere il territorio con lo Stato italiano. E' supponibile che Stato e mafia intrattengano un tacito concordato, il quale prevede ciò che la mafia deve dare e ciò che le è concesso in cambio. Il pentitismo, i morti, non sono finzioni, anche se allo Stato servono da alibi; a coprire inconfessabili vergogne, come il berretto a sonagli di Pirandello. Ma la guerra non c'è, ciò che vediamo sono scaramucce. La mafia è ben più vasta. Essa ha copiato il sistema capitalistico di comando, che usa la democrazia come un ballo dei pupi. Non siamo più all'onorata società, gerarchizzata, di sessant'anni fa - un corpo immobile e immobilistico - ma una dinamica ONU del malaffare, con un Consiglio di Sicurezza composto da multinazionali senza sede visibile e con un marchio ignoto (o non noto alla gente comune). Lascia quindi che la plebe mafiosa si sfoghi con i mitra e con i bazooka.

Non le interessa uno scontro con uno Stato italiano, che, volente o nolente, le mette a disposizione le economie esterne necessarie alle sue attività, a cominciare dai clienti, dai committenti, dalle scuole, dai servizi, per finire ai porti, agli aeroporti e alle reti telematiche.

Con l'incalcolabile potenza economica di cui dispone , essa comanda (nel significato che Adam Smith dava alla parola: paga un lavoro a) milioni di meridionali. Oggi tutto il Sud è mafia, e la mafia è tutto quel che il Sud può essere. La sovranità statuale sul Sud non le serve. Ma, se per ipotesi decidesse d'averla, l'avrebbe nel corso di una sola notte. Perché è certamente in condizione di mettere assieme, in ogni paese e città, un plotone di arditi disposti a tutto. Più un corpo di riservisti allargato ai componenti di sette/ottocentomila famiglie. Sicuramente molto, ma molto più delle camicie nere che il 28 ottobre del 1922 marciarono su Roma. Certo, mille plotoni non fanno un esercito. Per avere un esercito bisogna che ci sia la tenda del generale, l'accampamento per i militi, le vettovaglie, un sistema di comunicazioni, la polveriera, la torre con le sentinelle, lo stendardo, ecc. Ma più d'uno ha il dubbio che abbia già provveduto a queste cose, magari stanziando all'estero tutta la sua logistica.

***

Tutto ciò premesso, rispondo alla domanda. Se l'Europa ha accettato l'Italia, vuol dire che ha accettato anche la mafia. Con le sue attività illecite, la mafia tiene legato economicamente, socialmente, militarmente, il Sud all'Italia. La sua funzionalità per l'esportazione delle armi serve a tutti i grandi paesi di Maastricht. I dollari che incassa rappresentano una voce attiva nella bilancia europea dei pagamenti, specialmente in una fase di euro calante. Semmai, per l'Europa, il pericolo è che essa cambi banche. Ciò ulteriormente chiarito, va da sé che, se il Sud vuole liberarsi dalla mafia, deve liberasi dall'Italia e dall'Europa. Eliminato il doppio gioco, sarà possibile, anche se non facile, battere la mafia. Come? Se provocata, la mafia è pronta alla guerra, quindi non c'è altro mezzo che la guerra.

Nicola Zitara

BRIGANTI A ORTA NOVA

RICEVO DA RETE DUE SICILIE...


BRIGANTI A

ORTA NOVA

Mostra e Conferenza

Sabato 8 novembre 2008, alle ore 16.00, presso il Palazzo ex Gesuitico di Orta Nova (FG), su iniziativa dell’Associazione Culturale “ Le Nove Muse ” e con il patrocinio del Comune sarà allestita la Mostra Itinerante sul Brigantaggio. Alle ore 19.00 si terrà una conferenza sull’argomento secondo l’unito programma.

Tutti i compatrioti ed interessati sono invitati.

Cap. Alessandro Romano



domenica 2 novembre 2008

I NOSTRI PRODOTTI

Pubblico con vero piacere la lettera segnalatami da Orazio Vasta e scritta dall'amico Corrado Vigo

aro Ministro Zaia
sono una agronomo, ma al contenpo un agrumicoltore, e discendo da famiglia di agrumicoltori.
Faccio la professione da 24 anni, e da 29 coltivo arance, le tanto bistrattate arance siciliane, che tutti amano, ma che ci stanno portando economicamente alla rovina, perchè nonostante gli elevati prezzi di vendita al consumo, a noi vengono pagate a prezzi irrisori.
L'anno scorso anche fra i 5 ed i 7 centesimi al chilo.
Sì ha letto bene! 5-7 €urocent al chilo.
Mi rammarico, però, del fatto che Lei sia poco attento alla questione, ma la vedo assai impegnato, invece, nella tutela (come è anche giusto che sia) dei prodotti della Sua terra.
Vorrebbe, per favore,dare un pò più di "conto e retta" alle problematiche di noi agricoltori del sud?
Corrado Vigo
Trecastagni,2 novembre 2008
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A mio modestissimo parere, quello che può sembrare una manna piovuta dal cielo, la GDO (Grande distribuzine organizzata) è la vera rovina dei produttori, non solo le arance ma anche le mele o le patate che per avere una resa migliore ed un ciclo più breve vengono trattate con i diserbanti, tutto questo per poter meglio servire la GDO che ti impone i prezzi di acquisto in un mercato caratterizzato dall'oligopoilio di poche centrali d'acquisto.
Bisogna ridurre le esposrtazioni verso le grandi società, riattivare e/o investire nei mercati cittadini, (vero polmone dell'economia nelle citta europee), e diffondere la cultura della periodicità dei prodotti dell'orto, argomento quest'ultimo in cui potrebbe essere utile il lavoro di Corrado Vigo

IL FRIGO VECCHIO? PUOI BUTARLO PER LE STRADE DELLA TOSCANA!

Da una segnalazione inviatami dal mio amico Niola Longobardi


Via libera al decreto legge sui rifiuti
Bertolaso: «Arresto per chi li abbandona»

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ROMA (31 ottobre) - Chi abbandona rifiuti “ingombranti” (lavatrici, materassi, ecc) se colto in flagrante potrà essere arrestato: lo prevede il decreto approvato oggi dal Consiglio dei ministri che vale però solo per la Campania.

Lo ha annunciato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Guido Bertolaso. «Con questa norma - ha spiegato - chi abbandona rifiuti pesanti in strada rischia da 6 mesi a 3 anni di reclusione e, se colto in flagrante, può essere arrestato».

Commento :

“Da loro lo statuto albertino e da noi la legge pica”

Nicola longobardi

Cds sezione C/mare di Stabia.

sabato 1 novembre 2008

ODIO RAZZIALE???!!!

Dal Bolg Rarika


Riprendo dal blog http://loradelvespro.blogspot.com/ ....
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Sulla tanto decantata dominazione araba in Sicilia Dal blog A Rarika, riporto un analisi storica "contro corrente" della dominazione araba in Sicilia. Analisi realizzata e pubblicata da Forza Nuova Palermo:
La dominazione araba in Sicilia
Qui riporterò solo un passaggio:
Esemplare fu l’uccisione del siracusano Niceta di Tarso, acerrimo nemico del Profeta di Allah e dei suoi seguaci. Catturato con molti altri nella chiesa del San Salvatore, fu scorticato dal petto in giù e gli venne strappato il cuore quindi si accanirono ulteriormente su di lui finendolo a morsi e a colpi di pietra...
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In seguito alla mio post con il documento storico in questione,ho ricevuto-l'ha ricevuto anche il blog che l'ha ripreso-questo "commento":
"E' veramente vomitevole la pubblicazione di questa "analisi storica contro corrente".
Ma come fate,"L'ora del Vespro" e Orazio Vasta,a propagandare l'odio razziale-non è un caso che la pubblicazione in questione è di Forza Nuova-contro gli arabi per il solo fatto che sono islamici e non cattolici?
E'vomitevole!
Francesca Rapisarda"
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Francesca Rapisarda,come dici di chiamarti nell'anonimato dell'e-mail,su una cosa siamo perfettamente d'accordo:
E'vomitevole!
E'vomitevole accusarmi di "propagandare l'odio razziale"!
Ma,tu mi conosci?
Hai mai letto quello che scrivo?
Hai letto il documento storico che liberamente ho deciso di pubblicare sul mio blog.
Oppure,ti è bastato sapere che era stato realizzato da Forza Nuova per bollarmi con l'infame marchio di razzista anti-arabo?
E'vomitevole questo atteggiamento irrazionale,isterico,
perdente,colonizzato di chi pretende di sentenziare verdetti finali senza sapere di che cosa stiamo parlando!
Ma la conosci la storia della Sicilia,tu che,da come ti firmi,dovresti essere figlia di questa Terra?
Hai mai sentito parlare della dominazione araba in Sicilia? Sai che significa DOMINAZIONE?
Ho pubblicato il documento di Forza Nuova perchè è un contributo per capire quel periodo storico della mia Patria-la Sicilia,ovviamente!-con una storiografia,fin troppo "di parte",che ha trasformato la DOMINAZIONE araba in una sorta di EDEN per la Sicilia e i Siciliani.
E' vomitevole che,invece di discutere il documento,Francesca Rapisarda,liquidi me e "L'ora del Vespro" con la bolla dell'odio razzistico!
E' vomitevole!
Orazio Vasta
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Fino alla lettura della mail di Francesca Rapisrda, non avevo ancora avvertito un pericolo di diffusione di senso di odio razziale. dunque mi chiedo chi è che diffonde odio razziale?
Le fazioni destra e sinistra, rosso e nero, sono stupide mentalità diffuse da chi vuole creare odio e gestire senza distrazioni i propri progetti di accrescimento del potere. Finchè ci saranno persono pronte ad offendere e mettere in cattiva luce un proprio fratello perchè appartenente o simpatizzante di una opposta fazione, non ci potrà mai essere una crescita sociale.
Questo è il mio parere.
Nello Esposito

VASTA SU 350 BANDE

RICEVO E PUBBLICO DA ORAZIO VASTA...

Prima di tutto,per essere chiaro e chiari,sgombriamo il dibattito dalla presenza delle S.a.r. borboniche,perchè la storia del Sud,della sua oppressione e della sua resistenza,non dev'essere confusa con la storia del "Regno".
Idem per la sua rinascita.
Anche perchè non bisogna dimenticare o omettere che il rapporto dei popoli meridionali e del popolo siciliano con il "Regno" non è stato tutto baci e abbracci.
La Sicilia,che ha sempre rivendicato la propria indipendenza,è stata teatro di repressioni feroci da parte dei borboni...
Ciò,ripeto,per chiarire che la NOSTRA storia,la storia dei meridionali e dei siciliani, non è la storia dei borboni...
Ammesso che siamo d'accordo su questa "separazione" oggettiva della storia,mi permetto di esprimere il mio pensiero sull'intervento di "Praia a Mare",che sintetizzo in questa (sua)frase:"In cosa hanno fallito i Briganti? Forse proprio nel coordinamento unitario? Forse nella più squallida forma di individualismo e sete di potere? Forse nella filosofia del meglio un uovo oggi che una gallina domani?" .
"In cosa hanno fallito i Briganti?"
Perchè i Briganti credevano realmente di vincere la battaglia conto l'invasore savoiardo?
Pensiamo realmente che i Briganti,dai capi all'ultimo combattente,credevano di riuscire a liberare il Meridione?
I Briganti non hanno fallito,per il solo fatto che sono stati un atto di ribellismo.
I Briganti sono stati,fra mille contraddizioni,un movimento armato così eterogeneo,che non poteva mai avere un "coordinamento unitario".
Oltretutto,i Briganti erano dei ribelli,non erano dei rivoluzionari.
Non rispondevano a nessun Cln.
Non erano politicizzati.
I Briganti erano il ribellismo sociale fine a se stesso,altro che "fallimento".
In un certo senso,oso dire che i Briganti sono stati dei kamikaze,che usavano il loro corpo come una bomba,coscienti,senza saperlo,che l'unico atto per non essere cancellati dal dominatore italico era quello di morire come Brigante.
E questo è fallire?
No,i Briganti non hanno fallito.
Hanno vinto!
Quei ribelli hanno segnato con il loro martirio il confine fra chi a Sud sta sempre e ovunque dalla parte del potere - "CAMBIARE TUTTO PER NON CAMBIARE NIENTE" - e chi non accetta di perdere la propria "faccia" e non sposa mai "la filosofia del meglio un uovo oggi che una gallina domani" .
Cordialità,Orazio Vasta

Alla fine anche Il mio amico Orazio ha risposto, se pur attenendosi alla sola parte storica della domanda, ma ha risposto.
Cercavo risposte da tutti i meridionalisti, ma forse sono impegnati a preparare discorsi o cercare il miglior ritorno dagli apparentamenti politici.
Ma comm a vulimm vincere sta guerra!
Grazie ao Orazio, Nicola, i CDS (che sono gli unici che hanno risposto) e a quanti questi post hanno dato almeno modo di pensare.

Carmine Spera a Verdinote


Sono fiero di avere fra i miei amici Carmine Spera, che si impegna constantemente per la realizzazione di piccoli momenti di felicità dedicati ai bambini.
Il video della canzone scritta da Carmine Spera presentata al festival Verdinote tenutosi a Battipaglia (SA)