venerdì 27 febbraio 2009

Neo-borbonismo zoppo


Di Nicola Zitara


Un popolo che ignora la propria storia non è un popolo ma soltanto un aggregato statistico. Tale è stato ed è il Sud nell'assetto statuale italiano. La retorica nazionale, massonica, falsamente giacobina, falsamente liberale, falsamente positivista, falsamente marxista, falsamente costituzionale, ha tentato di cancellare il passato ed è riuscita ampiamente riuscita nell'intento, fino al momento il cui, l'ostilità della partitocrazia, dei sindacati lavoristi, l'intrallazzo programmatico seguito al terremoto dell'Irpinia, non è stato innescato il risentimento patriottico dei meridionali.
La riscoperta del passato borbonico è partita dalle università e si è allargata. I giornali che veicolano la retorica cavourrista e persino la televisione di stato hanno scelto di accettare deroghe a tale retorica e di giocare sull'equivoco con ammissioni a mezza voce circa la sua infondatezza.
Sul terreno strettamente storico è intanto giusto e necessario ricordare che con la dinastia dei Borbone-Farnerse al Sud si ha una svolta di portata epocale. Svolta rispetto a che cosa? Sicuramente rispetto all'imbarbarimento di un paese estraneo al sistema feudale europeo, inaugurato dalla discesa a Napoli di Carlo d'Angiò. La sfortunata battaglia di Benevento, in cui i "liberi" comuni toscopadani, il papato del tempo, ben deciso a contrastare il cattolicessimo ortodosso e la tolleranza religiosa, trionfarono sui nobili ideali di Manfredi. Il Sud divenne una colonia retta da re stranieri e aperto alle usure dei banchieri genovesi, fiorentini e veneziani, e tale rimase sino alla devoluzione delle Due Sicilie alla dinastia dei Borbone di Napoli.
Soltanto la lettura degli infausti secoli che precedettero questo evento - che fu acostamento all'Europa ma senza negare il passato - può spiegare la sua positività e dare un significato alla parola "svolta".
Dopo centoquarant'anni, alla "svolta" seguì la controsvolta, cioè la restaurazione dell'egemonia europea sul Sud. Non si può certamente affermare che l'Europa del 1860 fosse la stessa dell'Europa del 1266, tempo dei re crociati e del contrattacco all'espansione araba, e tuttavia il sistema connesso alla rivoluzione commerciale e industriale, in cui le aree di sbocco per le merci di massa sono divenute vitali per le sviluppo, anzi la vita, dei paesi all'avanguardia non è foriero di libertà, ma foriero di colonialismo.
Il colonialismo interno inaugurato dal sistema cavourrista fa il paio con il feudalesimo angioino e le usure toscopadane imposteci dopo la sconfitta di Benevento. Benevento e Calatafimi sono la stessa cosa. E' nei fatti la negazione della passata indipendenza. Il venticello meridionalista, che è soffiato negli alti strati della coscienza meridionale per oltre un secolo, è risultato infecondo. La sua debolezza era l'accettazione dello Stato cavourrista, ma il movimento indipendentista e di liberazione nazionale deve impossessarsi delle ragioni critiche sollevate e trasformarle in motivo e argomento di aperta rottura.
Si può aggiungere che chi pretende di fare politica in questo nostro paese deve conoscere i suoi mali e le sue virtù.

venerdì 20 febbraio 2009

No global

Di Nicola ZITARA


Nello stesso momento in cui io scrivo le frasi che seguono e nel momento in cui voi, oggi o domani o un qualunque altro giorno di questi mesi, le leggerete il sistema produttivo italiano e mondiale - un capitale impiantato che vale decine e forse centinaia di migliaia di dollari - è assolutamente intatto. I capannoni sono dove erano prima, le catene di montaggio sono sempre al loro posto, il filari di ulivi si allineano sereni sotto il sole o la pioggia, le porte dei negozi e quelle delle botteghe artigiane sono aperte, le greggi pascolano, gli aerei decollano, i pescherecci calano e ritirano le reti. Eppure tutto questo immenso capitale sparso su 510 milioni di chilometri quadrati della superficie terrestre, e sotto terra e il alto nel cielo, non è in condizione di produrre ciò che ha prodotto un anno o due anni fa. La gente ha perso il lavoro, non riesce a pagare i debiti contratti, non ha danaro per mangiare, perde la casa che dovrebbe finire di pagare.

La presenza di un potenziale produttivo intatto e la inettitudine a farlo muovere come prima è un'incongruenza, una irrazionalità, una illogicità, un'asocialità, un sopruso che carognescamente viene definito CRISI. In crisi sono semmai coloro che vi prestano credito. Il problema vero è che l'assetto liberista mondiale non ha né gli strumenti né la volontà di far fallire le banche che dovrebbero fallire in conseguenza dello stato d'insolvenza in cui versano. Si tenta anzi di salvarle rifinanziandole, cioè facendo pagare due volte ai cittadini (ai sudditi monetari, i produttori) gli errori altrui e le altrui malefatte.

Per risanare il sistema qual oggi è, c'è solo un modo rapido: innalzare in tutto il mondo il livello dei salari e degli stipendi di un terzo all'anno. Ciò creerebbe inflazione. Ma l'inflazione, se distribuita equamente secondo i valori e i potenziali esistenti luogo per luogo, mentre darebbe fiducia e prospettive alle famiglie, si risolverebbe in un apparente aumento dei prezzi. Aumenterebbero infatti i segni monetari spesi (la cifre stampate sulle banconote) ma non cambierebbe il bilancio familiare. Avevo 1000, e per una bistecca spendevo 10. Oggi ho 1500 e per la stessa bistecca spendo 15.

Tuttavia non sta nel nostro potere cambiare gli altri. Sarebbe, invece, nel nostro potere cambiare la nostra condizione attuale. Nella buriana finanziaria globale e stranieri in patria siamo un fragile vaso di coccio. E' ormai vitale pensare alla difesa, mettendo un lucchetto alla porta.

Il Sud ha bisogno di tornare indipendente, in modo che il nostro prodotto non fluisca gratis a Milano, la quale, ce lo restituisce in parte, e questa parte con la lesina e gli interessi.

Il Sud ha bisogno di ricostruire la sacralità dello Stato attraverso una monarchia regnante. Ha bisogno di sospendere la votocrazia per un periodo non inferiore a cinque anni. Ha bisogno di una classe dirigente consapevole dei problemi del paese. Ha bisogno di una burocrazia efficiente e pulita. Deve fondare un sistema di economia mista, in cui stiano in equilibrio il settore pubblico, le banche, le maggiori industrie, i servizi classici e l'agire privato. Ha bisogno di riportare al lavoro i giovani e alla ricerca gli studiosi.

Ha bisogno di libertà. Viva il ricordo di Ferdinando II.

giovedì 19 febbraio 2009

L'UNIONE FA LA FORZA!


Nordisti piu' bravi dei Sudisti ( Lega Nord docet)
di Mario MOCCIA

Non Sapevo di essere un meridionalista, finché non ho incontrato i “Comitati DueSicilie” fondati da Nello Esposito, divenuto prima mio compatriota e poi mio amico. Come d'altronde quel Fiore Marro, valente segretario di questo dinamico movimento cui hanno aderito tanti valenti giovani (e meno giovani) meridionali. In Italia e all'estero. E da questo sano “seme” che è nata la mia pianta di velleitario “rivoluzionario” ( in realtà, per cultura e per temperamento, io sono un evoluzionario e, come per ka Cecoslovacchia), pavento una “rivoluzione di velluto”. Quello che è certo, è giusto da parte dei tanti, continuare ad esporre il nostro rammarico su come stavamo meglio quando eravamo lo Stato sovrano delle Due Sicilie, sottolineando a dove ci ha condotti questa dannata idea umitaria che non si è mai saputo realizzare acausa degli appetitui famelici delle regioni del Nord; regioni che hanno “prodotto” un uomo, un'icona che ha avuto la capacità di unire i borbottii nordisti, per farne un movimento politico che nonostante le numerose minacce secessioniste, è riuscito ad arrivare al Governo della Nazione Italia. Qual è stata l'arma vincente? Soldi, armi? No. La coerenza e l'effettiva volontà di un cambiamento, tutti dietro – sempre – ad un solo uomo (come un sol uomo), al signor onorevole Bossi unico uomo al mondo che dai proclami di Pontida su una fantomatica Padania, è riuscito a giungere veramente in quella “Roma ladrona” tanto vituperata, continuando a minacciarla. Perché tanta forza? Da dove gli viene? La risposta è semplice. Dalla coesione di un popolo! Quella coerente coesione che non riesco a ravvisare negli attivisti meridionali che molto più della Padania, avrebbero tutte le ragioni lunghe 150 anni di colonizzazione, per fare più e meglio della Lega Nord che però – ripeto – è stata coesa quello che non sono capaci di fare i miei compatrioti per i quali il sottoscritto, nato da una costola dei Comitati due Sicilie, gli unici che mi hanno seriamente ispirato, ha sviluppato e messo in essere un' idea Politica per risolvere il nostro problema di sudditi colonizzati di un paese allo sbando, dal quale, per salvarci, possiamo solo che staccarci. Ecco lo scopo del sito web da me messo in “cantiere” e che chiunque può visitare, cercando di darmi una mano.
Il presente Sito, mira a ricompattare tutti quei meridionali che vorrebbero essere attivi, ma non sanno a quale movimento votarsi. Troppi sono i movimenti culturali (mai abbastanza, nel contempo), che si stanno trasformando in partiti e partitini o si alleano addirittura con i partiti italiani. Insomma, il solito casino all'italiana e la gente, sopratutto i giovani, vanno in confusione. Ma lo scopo nostro più politico che culturale, è anche quello di ricompattare e rendere più coesi proprio quei movimenti che da anni si muovono con grosso dispendio di energie per raccogliere torno alla nostra causa il maggior numero di duosiciliani, per poi, dopo tanto sudore versato e parole dette – tante - li lasciano scappare, come sono scappato io e qualcun altro che si è lamentato proprio con me. Ma perché ad esempio l'ottimo movimento neoborbonico di De Crescenzo, non la smette di litigare con gli altrettanto ottimi Comitati due sicilie di Fiore Marro? Perché non si ricompattano, magari confluendo attorno alla nostra idea pratica, che mira ad una soluzione di grande praticità e immediatezza? Loro, beninteso continueranno ad esistere e a fare l'opera meritoria di aggregazione e di informazione verso tanti altri che potrebbero confluire verso i nostri sforzi di riconquista delle nostre terre sopratutto se vedono che siamo un corpo, un'anima! Cominciamo a riprenderci la nostra Nazione, formiamo ilnostro Stato legittimamente, e quando sarà, ci sarà posto per tutti i giovani capaci e i meno giovani non intrigati però con la vecchia amministrazione italica, gente di cui io personalmente che sto facendo questo sforzo non voglio sentir parlare! IO STESSO, NON SONO INTERESSATO A COMANDARE NULLA. Io sono uno del Popolo che si batte per la sua Terra, per il suo popolo! Senza tornaconto.Non sono interessato a diventare onorevole, dacché il mio onore di antico nobile duosiciliano, mi basta e avanza! Checché ne possa pensare chi cerca un posto al sole, a me basterà un grazie dal mio Popolo. Certo, guiderò la riconquista della nostra terra, finche l'avremo riconquistata. Poi indirò elezioni democratiche e verrà eletto chi meriterà di condurre il nostro popolo verso nuovi, fiorenti successi.Scusatemi se vi parlo di me, ma mi viene in mente un episodio a proposito di voglia di comandare: “ quando ero nei paracadutisti, fui invitato dal mio capitano di compagnia a diventare caporale istruttore; ero bravo nei diversi sport. Risposi di no, motivando con queste parole: “signor capitano, prima di comandare bisogna saper ubbidire e io da quanto le risulta dai miei continui CPR ( camera punizione rigore), non so ubbidire.il risultato fu che mi beccai altri 5 giorni di CPR. Mangiandomi una licenza già promessa.In 18 mesi di ferma, andai a casa una sola volta e solo perché durante un lancio, mi ero distorto una caviglia.Con questo mi auguro capiate di non dover temere la mia leadership per il futuro. No, io a servire la nostra Nazione, voglio gente capace e sinceramente meritevole. E quella si vede da subito! Ed io sono un esperto in questo. Fatevi avanti con sincera volontà di servire il Paese che rivogliamo,tirate fuori le vostrecompetenze, e la carriera è assicurata.
Soltanto così. Intanto, fatevi avanti con coraggio, stringetevi attorno alla Reggenza e le Duesicilie torneranno ad essere nostre. In breve tempo! Non è quello che tutti vogliamo? O no?! Per cominciare leggetevi tutto quello da me postato in questo sito. Tanto per capire delle cose che sicuramente non sapete.

Commento di Nello Esposito:
Carissimo Mario, come tutti sanno, naturalmente i Comitati dei Sicilie non sono stati fondati da Nello Esposito, ma comunque ti ringrazio per avermi affidato un onore così grande.
Permettimi di esprimere però la mia personale opinione su quanto da te scritto:
Il percorso che porta alla conclusione di un progetto, qualsiasi esso sia, deve essere chiaro, limpido, e soprattutto diviso in obbiettivi, step by step. Bisogna individuare i passi da percorrere, ed il primo di tutti questi è la condivisione di ideali, a prescindere dai simboli o dalle sigle.
Il paragone fra la lega e noi, può essere fatto solo su alcuni punti di vista, visto che in padania esistono movimenti e partiti che esulano da tutto quanto concerne il progetto Lega, quindi non è stata creata l'unità di un popolo, ma solo la prevalenza di chi ha saputo vendersi alle attenzioni economiche degli sponsor.
Ma ora pensiamo a noi, popolo duosiciliano, è chiaro che esistono vari, forse troppi, movimenti/partiti, l'immobilismo che da 30 anni distingue il mondo meridionalista, è dovuto proprio al continuo confronto cercato dai vari leaders per "marcare il territorio".
Nei miei cantieri, c'è chi comanda e chi esegue gli ordini, ma entrabe le figure sono necessarie alla realizzazione dell'opera, quindi non vedo la necessità di fare questa distinzione, maestro muratore lo diventa chi lo merita.
Un ultimo appunto, io ho una mia identità, sono Nello Esposito, e sono diventato un elemento dei comitati, non sono nato da una loro costola, perchè ti auguri una unione dei movimenti, per poi crearne un altro?
Con immutata stima,
Nello Esposito

mercoledì 18 febbraio 2009

PERCORSI



ARTICOLO INVIATO AL SITO DUESICILIE

Perseguire la strada del dominio economico su territori esterni ai propri confini, sfruttando le risorse che i territori in questione offrono ed imponendo la commercializzazione dei propri prodotti/servizi, significa estendere la sovranità di una nazione su un'altra cioè, colonialismo.

A conferma della tesi che i territori rientranti nei confini del Regno delle Due Sicilie, siano una colonia dell’ex stato sabaudo, vi è la situazione politica italiana.

I vari governi che negli ultimi 148 si sono succeduti, si sono concentrati sull’espansione del dominio economico del settentrione della penisola italica, posizionando nel parlamento romano esponenti politici dediti alla realizzazione della volontà del governo stesso, questo ci pone davanti ad una constatazione drammatica quanto ovvia, quando un paese è governato da persone che non rappresentano gli interessi di un popolo, questo non può definirsi una nazione ma una COLONIA.

Se l’identità di un popolo viene smarrita nella selva dei problemi quotidiani, e la storia dimenticata dall’incalzante e diffusa propaganda unitarista, può un popolo definirsi ancora tale?

Un popolo che perde le sue caratteristiche sociali, dimentica la storia, e viene diviso dall’emigrazione, perde gli elementi associanti che lo caratterizza, e viene così trasformato in cittadino italiano.

Chiara a tutti l’esistenza di un settentrione assoggettante, potrebbe stupire l’apatia dei colonizzati!

Non vi è colonia al mondo al cui interno non vi siano organizzate resistenze riunite in movimenti ufficiali o clandestini, che lottano contro gli invasori, e noi del Sud italia come ci siamo organizzati?

Il singolo deputato che nelle camere del parlamento romano lancia il suo grido disperato per una terra dimenticata, per quanto di spessore possa essere la sua personalità, resta inconsistente e muta davanti ai parlamentari occupati a servire il potere economico del paese.

Ma se dal parlamento in 148 anni non sono arrivate concrete azioni volte al miglioramento della qualità della vita nel meridione d’italia, vuol dire che all’esterno ci si è organizzati in veri e propri movimenti che almeno tengano viva l’identità di un popolo.

Da ormai qualche decennio, ci sono meridionalisti che rievocano le gesta che furono dei briganti, rispetto a 148 ani fa hanno dalla loro una più agevole propaganda, alimentata dalla fulminea presenza sul territorio assicurata dai moderni mezzi di trasporto, e dall’accesso ai canali di diffusione, quali internet o televisione, su cui i nostri avi non poterono contare.

Ma la sostanziale differenza fra le due figure che lottano per il bene delle nostre terre ne pregiudica i risultati. La differenza che c’è fra i briganti e gli attuali meridionalisti è semplice. I briganti non lottavano per l’indipendenza, ma per la salvezza di una nazione, non potevano essere meridionalisti in quanto non esisteva la sensazione di essere meridionali a qualcuno, e liberavano le terre dai piemontesi al grido di VIVA ‘O RRE, figura fondamentale nella loro nazione.

Oggi parte dei meridionalisti, vuole rendere indipendente il “nulla economico”, cercando di diffondere il “nulla politico”, progetto vuoto per definizione e programma, che fa capo non ad una sola persona, fondamentale per la restaurazione di un Regno, ma ad una serie di movimenti, che precludono la strada politica, privilegiando l’aspetto accademico e culturale del movimento.

La preclusione, dettata dalla paura che la politica distorta e corruttrice punti ad impossessarsi delle idee (?) dei movimenti meridionalisti, comporta una mancata crescita economica; resta infatti assodato che l’unico modo per far si che l’ex Regno delle Due Sicilie ritrovi un indipendenza economica necessaria, passa per l’azione politica.

Ma come già detto, oggi il popolo duosiciliano, non è rappresentato da nessuna forza politica, è dunque d’obbligo costruire una struttura politica che persegua gli obbiettivi di crescita ed indipendenza economica del Sud Italia, necessaria, più della dignità, al recupero dell’identità ed alla trasformazione da cittadini italiani a popolo duosiciliano.

La dignità non consiste nel possedere onori, ma nella coscienza di meritarli (Aristotele).

Nello Esposito, CDS Castellammare di Stabia

domenica 15 febbraio 2009

Gaeta 14 febbraio 1861

Generali, uffiziali e soldati di Gaeta. La sorte della guerra ne separa. Combattuto insieme cinque mesi per la indipendenza della patria, sfidando e sofferendo gli stessi pericoli e disagi, debbo in questo momento metter fine a'vostri ero ici sacrifizii. La resistenza divenuta era impossibile. Se il desio di soldato spingevami a difendere con voi l'ultimo baluardo della monarchia, sino a caderne sotto le mura crollanti, il dovere di re e l'amore di padre oggi mi comandano di risparmiare tanto generoso sangue, la cui effusione or non sarebbe che l'ultima manifestazione d'inutile eroismo. Per voi, miei fidi compagni, pel vostro avvenire, per premiare la vostra lealtà e costanza e bravura, per voi rinunzio al bellico vanto di respingere gli ultimi assalti d'un nemico che questa piazza difesa da voi non avrebbe presa senza seminare di cadaveri il cammino. Voi da dieci mesi combattete con impareggiabile coraggio. Il tradimento interno, l'assalto di rivoluzionarii stranieri, l'aggressione d'uno Stato che dicevasi amico, niente v'ha domato, nè stancato. Tra sofferenze d'ogni sorta, passando per campi di battaglia, affrontando tradigioni più terribili del ferro e del piombo, siete venuti a Capua e a Gaeta, segnando d'eroismo le rive del Volturno e le sponde del Garigliano, sfidando per tre mesi in questé mura gli sforzi d'un nemico padrone di tutta la potenza d'Italia. Per voi è salvo l'onore dell'esercito delle Due Sicilie; per voi il vostro sovrano può tenere alto il capo, e nella terra dell'esiglio dove aspetterà la giustizia di Dio, il ricordo della vostra eroica lealtà gli sarà dolcissima consolazione nelle sventure. Sarà distribuita una medaglia speciale che ricordi lo assedio ; e quando i miei cari soldati torneranno in seno delle loro famiglie, gli uomini d'onore s'inchineranno al loro passaggio, e le madri mostreranno a'figliuoli come esempio i prodi difensori di Gaeta. Generali, uffiziali, soldati, io vi ringrazio ; a tutti stringo le mani con affetto e riconoscenza ; non vi dico addio ma a rivederci. Serba temi intatta la lealtà, come eternamente vi serberà gratitudine e amore il vostro re Francesco"

giovedì 12 febbraio 2009

Napolitano, la Costituzione, il Sud

di Nicola ZITARA

Il mio personale rapporto con Napolitano è vecchio di oltre cinquant'anni. E' stato il legame di bandiera tra un militante socialista e un dirigente nazionale del PCI; lui sul podio a insegnare, io in piazza a imparare; lui al centro dell'assemblea, a presiederla, io su una sedia dell'ultima fila a essere presieduto. Adesso lui è sotto i riflettori e di fronte alle telecamere e io dall'altra parte del video, a vedere e a cercare di capire. Gli anni e l'esperienza gli hanno conferito una scioltezza d'eloquio, una sicurezza oratoria e una comunicativa politica che da giovane non aveva. Cioè hanno costruito una personalità nuova o inespressa. Dalla mia parte gli anni hanno portato il senno che mi mancava. Mi sento più esperto, so le cose che le delusioni politiche mi hanno insegnato. Certo da giovane egli si trovava a dover sottostare a dei superiori che gli facevano la pagella, mentre oggi, per il prestigio che si è conquistato in due soli anni, sta più in alto di ogni altro uomo della sinistra. I suoi giudici sono la sua coscienza personale, la sua responsabilità di uomo di Stato, gli italiani che consentono o dissentono, le grandi potenze mondiali a cui l'Italia è collegata. E questo è un gran passo avanti.

L'avversario di Napolitano è Berlusconi. Ma cosa rappresenta l'uno e cosa rappresenta l'altro?

Nei primi anni Novanta, l'Italia, per non essere esclusa dal sistema monetario europeo dei cambi fissi, vigente in Europa, e da quello in preparazione della moneta unica europea (Euro), fu costretta ad adottare alcuni provvedimenti di carattere sociale, negativi per i lavoratori e in genere per le famiglie proletarie. Dovette inoltre procedere a smantellare il sistema delle banche e delle industrie di Stato. Questi provvedimenti, che modificavano profondamente il precedente corso interclassista, il più che trentennale Stato sociale, vennero adottati con il consenso dei sindacati e dei partiti di sinistra. Bisogna aggiungere che il più delle volte la realizzazione della svolta sociale fu affidata proprio a governi diretti da uomini di sinistra.

Con questa delega, che aveva la funzione di fare inghiottire il rospo alle masse, si santificava un negozio politico - un patto tra sinistra e Confindustria - per cui la sinistra restava titolare di eseguire direttamente il contratto o comunque di vigilare sulla sua esecuzione ad opera di altri. In buona sostanza, per la sinistra si trattò d'accettare una svolta a destra - liberale, liberistica, capitalistica, antisindacale - che veniva imposta alla società italiana dalle forze capitalistiche dominanti in USA e in Europa, con il patto tacito, però, che sarebbe stata essa stessa a dirigere o collaborare alla svolta come forza di governo in carica o come forza capace di condizionare e vigilare sul governo in carica, in modo che il passaggio non fosse eccessivamente duro per i lavoratori.

L'ingresso di Berlusconi sulla scena politica italiana va bene interpretato (al di là del temperamento e della morale dell'uomo) come un risveglio delle classi del capitale a realizzare da sé, in modo determinato, convinto e rapido, la restaurazione liberista e antisindacale, scavalcando la mediazione della sinistra.

Le forze del capitale non sono uno strato uniforme del mondo produttivo. Ci sono i piccoli, i grossi, i medi, gli autonomi. Ciascuno di questi strati ha una sua storia, una sua condizione, degli interessi precisi nella geografia del mercato interno e internazionale, dei rapporti diversi con il fisco e la burocrazia statuale. In Italia, la grande industria è stata sempre protetta dallo Stato in modo aperto o sottobanco. Il suo rapporto con il fisco si fonda sulla più ampia autonomia, in quanto essa è in pratica libera di scegliere se dichiarare o non dichiarare in bilancio il profitto o le perdite. Il suo rapporto con la pubblica amministrazione è, poi, di assoluta supremazia. Non così l'impresa media, piccola, autonoma e persino quella medio-grande. Il popolo che Berlusconi ha scelto come base e sostegno della sua ascesa politica va dal pescivendolo che gira di porta in porta a chi dirige una fabbrica con diecimila o ventimila operai. Non pagare le tasse, ottenere libertà di manovrare i prezzi, pagare bassi salari. E' sotto gli occhi di tutti che Berlusconi ha stravinto. In corso d'opera, si sono schierati con lui vecchi e meno vecchi esponenti del consociativismo che hanno intravisto nella nuova formazione partitica una rapida possibilità di ascesa. In sostanza Berlusconi è riuscito a unificare sotto il suo simbolo partitico la parte commerciale della borghesia nazionale e molti detriti della patitocrazia. Lo ha fatto su una linea arretrata, ma è riuscito in un'impresa che ha due soli precedenti, il trasformismo di Depretis e il fascismo. Qualche sporadica resistenza si è avuta da parte della Fiat e delle altre industrie super avvantaggiate del Piemonte e dell'Emilia. Il Sud ha ceduto su tutta la linea. Lo stesso autonomismo o federalismo siciliano di Raffaele Lombardo è un cedimento di fatto alla linea antioperaia di Berlusconi, che nessun meridionalismo a parole può nascondere.

Il congiunto operare dello spiazzamento sociale a sinistra e dell'aggressività padronale ha ridotto il popolo lavoratore in mutande. E molto spesso anche senza quelle. Sans culottes. Al contrario il popolo delle partite IVA gongola.

Conseguentemente la sinistra si trova a difendere le scelte liberiste ai danni delle masse e contemporaneamente a invocare il consenso di queste masse non più sul piano sociale ma, miserevolmente, sul piano costituzionale, o meglio su un piano anteriore alla Costituzione del 1948 e del tutto settecentesco, qual è la divisione della sovranità nazionale in tre poteri distinti e indipendenti. Ma quando le masse hanno la pancia vuota, la democrazia (cioè il patto di convivenza tra datori di lavoro e lavoratori) rischia d'essere dimenticata, come avvenne tra 1922 e gli anni del disastro concatenati della guerra e della guerra civile. Nell'attuale situazione socio-politica di forte egemonia padronale, la funzione codina, elettoralistica, votocratica e clientelare della sinistra in Meridione non ha più alcuna prospettiva, tanto più che quelle frazioni toscopadane del proletariato che riescono ancora a pagare le bollette sono divenute scioviniste e parteggiano per lo stronzobossismo. C'è del tutto una corrente politica della sinistra toscopadana che immagina un proprio partito in competizione stronzobossistica con la Lega.

Napolitano è assurto a leader della resistenza democratica, costituzionale, europeista. La difesa di questi valori è importante, forse vitale, per la formazione sociale toscopadana, ma non serve a noi. Non serve perché non serve una Costituzione che è rimasta deliberatamente inapplicata nella norma che contempla il diritto al lavoro (art. 4), una norma fondamentale per noi, essendo il lavoro la base della convivenza civile in una società in cui ormai si vive di soli scambi di mercato e non più di autosostentamento. Se la tutela del lavoro è assicurata soltanto nei luoghi in cui la domanda è spontanea, il patto costituzionale d'unità nazionale è cancellato alla radice. I voli pindarici dei nostri intellettuali liberal-democratici sono la palla di piombo al piede che inabissa il proletariato meridionale. L'illusione che la nazione giacobina sabauda fascista resistenziale, cara all'intellighenzia napoletana, siciliana e in genere meridionale (Croce ci ha descritto i Savoia come i soli possibili salvatori del Mezzogiorno) possa bastare come base alla civile convivenza equivale a una castrazione dell'intelligenza e al rifiuto di ascoltare la storia; degrada l'idea di nazione a una truffa. Cercare qui il consenso in modi più o meno corretti con lo scopo reale di sostenere lo sviluppo altrove - come si va facendo sin dal tempo di Turati - lascia aggrovigliato il nodo più vistoso del contesto unitario.

La democrazia meridionale (cioè l'incontro tra capitale e lavoro) può essere interna al Meridione. L'ipotesi che debba essere esterna è fallita molte volte nel corso di centocinquant'anni di unità. Il ritorno al quadro di un'Italia divisa in più Stati rientra e collima con il sistema europeo. La recente separazione tra Ceki e Slovacchi ha giovato a entrambi i paesi e s'inquadra benissimo nel processo di unificazione europea.

lunedì 9 febbraio 2009

DOPPIA VELOCITA'

Il 28 febbraio 2003 il Presidente del Consiglio dei Ministri ha dichiarato lo stato di emergenza nel settore del traffico e della mobilità di Mestre-Venezia.
In meno di un anno vengono effettuate tutte le operazioni burocratiche di studio preliminare, studio per l’impatto ambientale approvato nello steso anno dal Comitato Interministeriale di Programmazione Economica.
Il 25 febbraio dell’anno successivo la commissione di gara ha aggiudicato il bando alla Società di Progetto Passante Mestre S.C.p.A, nella qualità di contraente generale, che dovrà Redarre la progettazione definitiva ed esecutiva e realizzare con qualsiasi mezzo i lavori per la realizzazione dell’autostrada A4- Variante di Mestre-Passante Autostradale ed espletamento della direzione lavori.
La società di Progetto Passante di Mestre S.C.p.A., ATI formata dalle più grandi imprese di costruzione italiane, Impregilo, Grandi Lavori Fincosit, Fip Industriale, Cooperativa Muratori e Cementisti, Consorzio Cooperative Costruttori, Consorzio Veneto Cooperative, Serenissima Costruzioni, il giorno 11 dicembre del 2004 inizia i lavori per la realizzazione di complessivi 32,3 Chilometri di strada, con 8 gallerie, 4 viadotti, 14 attraversamenti fluviali, 15 sovrappassi, 22 sottopassi, 3 interconnessioni con rete autostradali, 3 barriere all’incrocio con tratti autostradali e 3 caselli intermedi, utilizzando 864.261.413,00 Euro.
Il giorno 8 febbraio 2009, quando mancavano pochì giorni allo scoccare del 6° anno dalla dichiarazione di stato di emergenza da parte del governo, il Presidente del Consiglio dei Ministri, On. Silvio Berlusconi, è in prima linea alla cerimonia di inaugurazione del passante di Mestre.
Questa è l’italia che funziona.
O forse sarebbe meglio dire, questa è una parte dell’italia che funziona.
La ramificazione dei collegamenti autostradali presenti al nord, consento una libertà di movimenti della merce unica a livello nazionale.
I trasportatori hanno la possibilità di percorrere molte centinaia di chilometri, unendo i due estremi dell’italia settentrionale, su un autostrada a tre corsie, toccando tutti i centri e le città, nonché le zone industrializzate.
Passata la frontiera meridionale dello Stato pontificio, il nulla.
Esistono solo due tronconi di strada che non si congiungono fra loro, che uniscono il Sud al Nord, la Bari-Bologna, e la Napoli-Milano.
Il resto è un continuo stato di emergenza, sono circa 30 anni che si cerca di costruire la Salerno-ReggioCalabria, ed oggi ancora stiamo cambiando i progetti realizzati nella metà del secolo scorso.
Addirittura festeggiamo quando Ennio Cascetta, assessore delle Regione Campania, va ad inaugurare l’apertura del casello autostradale di Fratte, è praticamente l’inizio della SA-RC.
Abbiamo, anzi, lo stato ha creato immense aree industrializzate nel sud italia, sperperando e regalando agli industriali del nord svariati milioni di euro, dimenticandosi di realizzare la base delle infrastrutture, ed oggi possiamo vedere in giro per il Sud italia tanti scheletri industriali, regali di una promessa di sviluppo mai decollata per volontà politica. E poi danno la colpa alla mafia o camorra che sia.
L’italia è divisa in due, due velocità di sviluppo, una parte viaggia a tutta velocità su una tre corsie, l’altra a piedi e su una strada sterrata, e questo è dovuto ad un'unica caratteristica, la politica italiana è concentrata solo sullo sviluppo di una parte della nazione.
Ma, esiste una classe politica nel meridione?
Certo, esiste per avallare le ingiustizie e amministrare le emergenze, ma funziona al 50%!
Nello Esposito

martedì 3 febbraio 2009

Giuseppe Gatì è morto

di Giovanni Mustafa
Giuseppe Gatì è morto




"Stamattina Giuseppe Gatì (il ragazzo che contestò Vittorio Sgarbi ad Agrigento - NdR) è morto.

Incredibile, vero? Noi l’abbiamo visto con i nostri occhi e ancora non ci crediamo.

Giuseppe è morto mentre lavorava: era andato a prendere il latte da un pastore ed è morto fulminato mentre apriva il rubinetto della vasca refrigerante del latte. E’ morto dentro una bettola di legno, sporca.
E’ morto un amico, una persona pulita, con sani principi. Chi ha avuto modo di conoscerlo sa che raro fiore fosse.

Voleva difendere la sua terra, non voleva abbandonarla, era rimasto a Campobello di Licata, un paesino nella provincia di Agrigento che offre poco e dal quale è facile scappare. Lavorava nel caseificio di suo padre, con le sue “signorine”, le sue capre girgentane, che portava al pascolo. Era un ragazzo ONESTO, con saldi principi volti alla legalità e alla giustizia. Aveva fatto di tutto per coinvolgere i dormienti giovani Campobellesi, affinchè si ribellassero contro questa società sporca e meschina.

Era troppo pulito per vivere in mezzo a questo fetore e a questo schifo.

Aveva urlato “VIVA CASELLI! VIVA IL POOL ANTIMAFIA!” era stato anche criticato per questo, ma aveva smosso queste acque putride e stagnanti che ci stanno soffocando.
Era un ragazzo dolcissimo, dava amore, desiderava amore.

Suo padre oggi ha detto, distrutto dal dolore, in lacrime: “Sono sempre stato orgoglioso di mio figlio, anche se a volte ho dovuto rimproverarlo, solo perchè mi preoccupavo per lui. Ma sono orgoglioso di lui per tutto quello che ha fatto”. Giuseppe questo lo sapeva.

Anche noi, Alessia, Alice e tutti i suoi amici siamo orgogliosi di lui. Non sappiamo come esprimere il nostro dolore. Ancora non riusciamo a crederci.

Vi lasciamo con le sue parole:

“E’ arrivato il nostro momento, il momento dei siciliani onesti, che vogliono lottare per un cambiamento vero, contro chi ha ridotto e continua a ridurre la nostra terra in un deserto, abbiamo l’obbligo morale di ribellarci”.