“Se ne dicon di parole”, recita il testo di una canzone e tante ne stiamo ascoltando noi comuni mortali sulla crisi finanziaria che sta mietendo vittime illustri in mezzo mondo.
Per strada si può ascoltare gente che ha paura per i pochi risparmi che ha accumulato in banca, altri che si disperano perché il datore di lavoro minaccia licenziamenti per mancanza di commesse, addirittura si rispolverano vecchie frasi tipo “addà passa a nuttata”, il salumiere che diventa economista dichiarando ai propri clienti che la crisi durerà uno, forse due anni.
Negli ultimi periodi l’argomento crisi ha monopolizzato l’attenzione di tutti noi, rendendoci spettatori e vittime finali di un dramma scritto dalle persone più incapaci del globo.
Senza entrare nel merito del cosa ha portato la più grande potenza economica del mondo a distruggere l’economia globale, e del perché i governatori ed i banchieri delle superpotenze usano la politica di premiare i colpevoli, è meglio concentrare l’attenzione su quello che più interessa la nostra vita, i risvolti riguardanti la nostra quotidianità.
L’economia mondiale sta viaggiando ormai sulla difensiva, di conseguenza incrementeranno le vendite in blocco di società/azioni cercando in questo modo di rimediare agli enormi dissesti finanziari, questo comporterà irrimediabilmente ad una riduzione degli investimenti nella produzione globale.
Verranno privilegiati i clienti VIP delle banche (o dei governatori) selezionando e centellinando le esigue risorse a disposizione dell’alta finanza.
Il rallentamento dell’economia, come accennato prima, comporterà una riduzione di investimenti nel settore produttivo, fonte su cui si basano le maggiori potenze europee, per logica conseguenza le grandi fabbriche dovranno ridurre i costi fissi e superflui.
Cresceranno, quindi le joint venture con aziende con sede in paesi che godono di manovalanza a basso costo, sistema già largamente usato dalle maggiori aziende italiane (fiat, chicco, findus, ecc.); se questa è una delle soluzioni per garantire la continuità di una marca, rappresenterà sicuramente la fine di molte fabbriche site nell’area G8.
Nel caso in cui la produzione non può essere delocalizzata in nazioni low cost, come per esempio nel settore costruzioni, la riduzione dei costi porterà a nel migliore dei casi a licenziamenti in massa.
Perché questo è il migliore dei casi?
Esaminiamo l’esempio di una società di costruzioni navali che acquisisce una commessa per la costruzione di una nave-traghetto.
La concorrenza con i cantieri cinesi (a cui si rivolgono molti armatori italiani) porterà la nostra industria di costruzioni navali a ridurre il prezzo finale del prodotto.
Considerando che il ricavo dell’industria navale serve a garantire l’esistenza della stessa, la società cercherà di non modificare la sua percentuale rispetto al prezzo finale del prodotto;
Considerando altresì che la costruzione del prodotto viene effettuata per il 70% da ditte subappaltatrici dell’indotto, che saranno costrette, per non scomparire, ad accettare un subappalto con prezzi a base di gara ridotti;
si ricava che la ditta subappaltatrice dovrà garantire la stessa forza lavoro per consegnare nei tempi previsti il lavoro affidatogli, cercando di tagliare i costi superflui.
Tali costi che non possono essere identificati nell’acquisto delle materie prime e di consumo occorrenti alla realizzazione del prodotto subappaltato, ricadranno in tutti quei costi che non sono necessariamente legati al sistema produttivo della ditta.
Quali sono i costi non strettamente legati alla produzione di un bene?
Il controllo della produzione e della qualità, (biglietto da visita del made in italy), ma prima di tutti verranno ridotti le somme di denaro che le ditte investono (solo perché obbligate dalla legge) nella sicurezza dei lavoratori.
Quindi se per l’operaio la migliore delle ipotesi era il licenziamento, la peggiore sarà quella di morire sul posto di lavoro.
La crisi economica mondiale, porterà sicuramente (speriamo che mi sbaglio) ad un aumento delle stragi sul lavoro, conseguenza dei tagli dei costi di produzione.
Nello Esposito
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