giovedì 15 luglio 2010

La famiglia, la classe, il partito

di Nicola ZITARA

Secondo la visiona sociale di Marx, allo sfruttamento capitalistico non è sottoposto il singolo lavoratore (maschio, femmina, fanciullo) ma la famiglia operaia nel suo assieme, il proletariato. Già da tempi preistorici, la famiglia contadina era la centrale della produzione e della riproduzione sociale. Alla famiglia si opponeva la proprietà - di regola il guerriero, il quale con la violenza delle armi si appropriava di una parte del prodotto, lasciando ai contadini il minimo vitale. Con la rivoluzione industriale i rapporti non sono cambiati se non dal lato delle armi. Il capitalista non possiede le armi ma la macchina, senza la quale l'operaio non potrebbe produrre per il mercato. Anche questo possesso ha il carattere della violenza.

Oggi viviamo in un mondo di afamilismo generalizzato. La macchina chiude la vita della famiglia. La famiglia si è indebolita come nucleo produttivo e lascia sempre più spazio al sopruso. La stessa riproduzione naturale è minacciata. Privi di prospettive, i giovani non si sposano o arrivano tardi al matrimonio. Questa regressione porta a spostare l'attenzione dalla politica sindacale alla politica familiare, come per altro già avviene in Francia e Germania. E' il cambiamento dell'ottica sociale. Invece che dire: "Termini Imerese non chiude", diciamo: "Quale destino prepariamo per le famiglie operaie di Termini Imerese?" Nasce da qui un bisogno di localistico, di comunale, di progettualità paesana che era di altri tempi.

Molti or sono furono ripubblicati gli Atti di alcune giunte provinciali della Calabria, il cui ricordo ancora mi colpisce per l'attenzione alle situazioni familiari. Si era ancora nel mondo contadino. Bisognava decidere sul posto, maggioranza delle famiglie da una parte e minoranza dall'altra, senza tentare d'accartocciare lo scontro spedendolo a un'istanza superiore. Bisognava aprire una discarica? non era possibile fare altrimenti per le famiglie? Si apriva la discarica con l'accortezza necessaria e sufficiente. Bisognava ripulire un luogo da un vecchio impianto? Lo si faceva nell'interesse delle famiglie. Bisognava dare lavoro alla gente? Si studiava come e dove, e si reperivano i capitali familiari in cerca d'investimento. Oggi i capitali viaggiano senza indirizzo per un qualunque posto del mondo e risultano assenti proprio dove sono prodotti.

L'impersonalità dell'impresa ha condotto a ritenere che il luogo d'incontro della famiglia sia il vicolo, la vineja. Invece, come avveniva nel mondo del mutualismo contadino, le famiglie si incontrano sul terreno della produzione. Dietro i centomila ferrovieri ci sono centomila coniugi e centomila figli. La famiglia è il sostegno che si ha sul luogo di lavoro, nel valutare e contemperare convenienze, nel creare luoghi di associazione.

La famiglia antica si raggruppava sul podere. L'uomo lavorava all'aratro, la donna nell'orto, i ragazzi a far pascere il bestiame minuto. Oggi l'uomo lavora in fabbrica, la donna insegna, i ragazzi vanno a scuola. Ci si incontra non più per il lavoro, ma per il consumo. Lo scontro tra capitale e lavoro prescinde dalla famiglia. Persino le imposte colpiscono il reddito della persona fisica e non il reddito familiare. Eppure il mondo continua a individuarsi per famiglie. Il padre provvede al figlio, la donna all'uomo, i giovani ai vecchi (o ridicolmente, viceversa, i vecchi ai giovani).

La grande depressione che sta attanagliando il mondo mette le popolazioni una contro l'altra. I cinesi non fanno alcun piacere agli italiani producendo abiti e computer a prezzi stracciati. La competizione internazionale sfonda le porte ed entra in casa senza alcun rispetto per la famiglia. L'aggressione viene purtroppo resa più violenta dal partito operaio, che tende a farsi esso stesso Stato operaio, falsificando le imprese come se fossero legioni destinate a far guerra a un nemico visibile o anche invisibile. Questa novità ha fatto scivolare il partito di classe e il sindacato alla condizione di nemico della classe e della famiglia che sta dietro le braccia del singolo lavoratore. Non è per niente detto che produrre altre automobili sia un vantaggio per chi non ha un lavoro, se poi il prezzo del lavoro si abbassa fino all'accattonaggio. In condizioni date di sovrapproduzione, se il lavoro riceve una bassa remunerazione, la sovrapproduzione aumenta e non il contrario. E qui, in questa contraddizione, finisce il partito che si è fatto Stato.

La fine del partito-Stato operaio, il ritorno alla famiglia, al localismo, all'esame freddo e analitico delle esigenze della comunità locale scaturiscono dalla contraddizione insita nello sviluppo della politica in grande, il cui risultato è lo Stato come Stato del capitale e dei capitalisti. La democrazia non ha che scarsi mezzi di difesa contro le concentrazioni capitalistiche. In effetti la verità è una danza che viene ballata sui giornali del grande capitale. E' ben difficile che venga fuori nuda. In opposizione al clamore giornalistico sta la morale sociale, che è una sedimentazione tradizionale tra il giusto e l'ingiusto, un rema che afflisse i grandi tragici dell'antica Grecia. Il giusto dovrebbe tradursi in diritto, in legge. "La legge agraria di Tiberio Gracco", che riordinò, con il podere contadino, il panorama sociale e agrario dell'antica Italia. La famiglia in opposizione alla proprietà senatoria! il diritto dei deboli che lavorano per tutti! Oggi la gens romana è soltanto un ricordo libresco? A me pare che l'accumulazione capitalistica le somigli parecchio. Emerge qui un inganno del sistema capitalistico. La famiglia si contrapporrebbe all'impresa perché fornisce il lavoro, mentre l'impresa, cioè il capitale, fornirebbe i mezzi per la produzione. Però le cose stanno in modo diverso. La grande massa del risparmio privato non è proprietà dei gruppi capitalistici, ma delle famiglie. Il capitale concentra questa massa nella Banca e la investe allorché si rende conto che può trarre profitto. In sostanza la Banca è un "senatore" che impiega i legionari per mettere in piedi una forza capace di sovrastare la massa dei suoi legionari, i quali insensibili ai propri interessi familiari prendono a combattere i propri simili e sé stessi.

Posso parlare solo di impressioni. Da quel che si vede in Europa e da quel poco che si capisce dalla Cina, la mia impressione è che il partito-classe abbia esaurito il suo ruolo storico di difensore del proletariato. In opposizione e simmetricamente viene in rilievo la famiglia, persino nella sua precisa articolazione di famiglia italica che si batte per la proprietà del podere. Un podere ovviamente inteso non come cosa ma come simbolo di un potere, di una libertà.

Il ritorno ai diritti della famiglia riapre anche gli occhi sulla condizione della comunità locale, oggi fin troppo mortificata da poteri sovracomunali e mette in primo piano quella novità del diritto che è la class action, che permette ai deboli di agire in giudizio contro i potenti.

le matrici della crisi identitaria - G. SALEMI

sono più che d'accordo con voi e non lo sono con quelli che si rizelano quando questi difetti nostri sono evidenziati .Le cose negative vanno corrette e renderle note, sempre nella giusta maniera, è cosa utile.

lunedì 12 luglio 2010

LE MATRICI DELLA CRISI IDENTITARIA - 3

NON GENERALIZZO, MI GUARDO ATTORNO

La rinascita dell’identità di un popolo, passando per la riscoperta della propria storia, mal si concilia con la strafottenza, la prepotenza, il bisogno si essere assistiti, ed il voler passare per furbi del popolo meridionale.

Sic et simpliciter.

La prepotenza dei piccoli gesti di un popolo, come il non saper stare in fila, o voler parcheggiare in sosta vietata, o voler costruire una casa abusiva, caratterizza la vita di tante persone.

Chi commette un atto incivile, come chi lo subisce, che deve sottostare, con le conseguenze del caso, alla prepotenza altrui, ricavandone perdite di tempo, di diritto e di civiltà diffusa, nonché l’etichettatura da parte dell’intera nazione italiana, di “popolo incivile che bisogna educare”.

Esempio di sfruttamento di un etichetta, sono le assicurazioni RCA.

Il meridione è posto fra l’incudine ed il martello.

Da una parte le compagnie di assicurazione toscopadane, che sfruttando dati statistici ormai superati, hanno catalogato il popolo del meridione come truffatore, e per tanto lo punisce, indistintamente, con tariffe proibitive.

Dall’altra i truffatori, i prepotenti, quelli che si svegliano la mattina per farsi i giri degli ospedali in cerca di feriti a cui proporre l’affare, essere ufficialmente “investiti” per riscuotere il risarcimento danni.

Altro capitolo sono invece, tutti quei falsi lavoratori, che trovano posto nelle imprese fantasma, lavatrici della camorra, quelle create per attingere dalle emergenze del meridione. Il lavoratore, solo ufficialmente, visto che continua a fare il parcheggiatore abusivo, percepisce una parte della busta paga emessa dall’impresa della camorra, l’altra parte va nelle tasche del clan, soldi puliti.

Di meridionali truffatori, l’italia intera ne è piena. Cercare un modo di guadagnare SENZA LAVORARE (ma parliamo di poche migliaia di euro, perché per la categoria MILIONI TRUFFATI nessuno batte i padani) è sintomo di mancanza di identità, strafottenza del territorio e di un popolo.

Perfino la gioventù, quella che dovrebbe essere il nostro domani, è fiera di portare un coltello, o fare da pony express delle armi per la camorra, che gli garantisce un “fisso” mensile solo per fare il palo nei quartieri ghetto.

Migliaia di contadini che dismettono la coltivazione tipica della propria famiglia e della propria terra, per accedere ai fondi comunitari, si ritrovano poi con un pezzo di terra economicamente improduttivo, costretti quindi a mettere a reddito, tramite l’abusivismo edilizio, il loro pezzo di terra.

Ancora l’assistenzialismo forzato, cioè tutti quei lavoratori che, schiavi di un padrone, fanno parte della squadra di operai di un azienda improduttiva, che magari fino a ieri hanno prodotto videocassette, ed oggi si trovano ad affrontare la crisi per colpa di chi non ha investito nella rigenerazione e riconversione della produzione. Pretendono che lo stato risolva il loro immobilismo.

Pure i professionisti, i colletti bianchi, gente che per 30 anni sono stati a capo chino sui libri di scuola per diventare, avvocati, architetti, commercialisti. Anche loro vivono ancora nell’idea che si è più bravi si hanno le conoscenze giuste nel posto giusto. Purtroppo è così! In un quartiere si da il permesso per costruire un palazzo architettonicamente orrendo, mentre chi vuole costruire una semplice scala riceve un secco diniego. È veramente squallido passare una giornata sull’ufficio tecnico comunale, vedere i dipendenti in divisa da fancazzista, accerchiati da viscidi professionisti intenti ad accaparrare qualche favore o qualche “distrazione”.

Il resoconto di una giornata tipo di un meridionale, lo si può leggere nella favola della gazzella e del leone, “non importa tu chi sei, basta che inizi a correre”, che tu sia una vittima o un carnefice del disagio del popolo meridionale, sei costretto a sopravvivere, arrancare per arrivare a fine giornata, quindi non ti biasimo se storci il naso quando senti parlare di rinascita di identità meridionale, hai altro a cui pensare.

Naturalmente per ogni punti evidenziato, ci sono centinaia di voci che possono affermare il contrario, ma vi assicuro che ho solo tristemente descritto la maggioranza della gente che mi circonda.

Nello Esposito