mercoledì 8 settembre 2010

III Congresso dei Comitati delle Due Sicilie

Caserta 3 ottobre 2010

Si terrà presso l'Hotel Pisani, viale Carlo III, città di San Nicola La Strada (CE).

Tel.: 0823/421204; FAX: 0823/422348

Programma

  • Ore 09.00: Apertura del Congresso
  • Ore 09.10: Insediamento dell’ufficio di Presidenza e della Commissione per lo scrutinio.
  • Ore 09.30: Saluto delle Autorità e convitati
  • Ore 11.30: Relazioni dei Coordinatori Regionali, Provinciali e zonali dei Comitati Due Sicilie
  • Ore 12.30: Relazione del Presidente nazionale, dei Vicepresidenti nazionali, del Segretario nazionale e del Tesoriere nazionale uscenti
  • Ore 13.30: Pausa lavori
  • Ore 15.30: Continuazione Interventi
  • Ore: 16.30: Spoglio
  • Ore: 17.00: Proclamazione degli eletti

I soci potranno ritirare la scheda elettorale al momento della presentazione della propria tessera CDS, farne richiesta e ritirarla anche domenica mattina 3 ottobre.

Il Direttivo nazionale CDS


Per ulteriori informazioni:

  • Tel: 3314067037 - 3383104367

Per chi volesse muoversi da Castellammare di Stabia:

329 41 38 423

giovedì 15 luglio 2010

La famiglia, la classe, il partito

di Nicola ZITARA

Secondo la visiona sociale di Marx, allo sfruttamento capitalistico non è sottoposto il singolo lavoratore (maschio, femmina, fanciullo) ma la famiglia operaia nel suo assieme, il proletariato. Già da tempi preistorici, la famiglia contadina era la centrale della produzione e della riproduzione sociale. Alla famiglia si opponeva la proprietà - di regola il guerriero, il quale con la violenza delle armi si appropriava di una parte del prodotto, lasciando ai contadini il minimo vitale. Con la rivoluzione industriale i rapporti non sono cambiati se non dal lato delle armi. Il capitalista non possiede le armi ma la macchina, senza la quale l'operaio non potrebbe produrre per il mercato. Anche questo possesso ha il carattere della violenza.

Oggi viviamo in un mondo di afamilismo generalizzato. La macchina chiude la vita della famiglia. La famiglia si è indebolita come nucleo produttivo e lascia sempre più spazio al sopruso. La stessa riproduzione naturale è minacciata. Privi di prospettive, i giovani non si sposano o arrivano tardi al matrimonio. Questa regressione porta a spostare l'attenzione dalla politica sindacale alla politica familiare, come per altro già avviene in Francia e Germania. E' il cambiamento dell'ottica sociale. Invece che dire: "Termini Imerese non chiude", diciamo: "Quale destino prepariamo per le famiglie operaie di Termini Imerese?" Nasce da qui un bisogno di localistico, di comunale, di progettualità paesana che era di altri tempi.

Molti or sono furono ripubblicati gli Atti di alcune giunte provinciali della Calabria, il cui ricordo ancora mi colpisce per l'attenzione alle situazioni familiari. Si era ancora nel mondo contadino. Bisognava decidere sul posto, maggioranza delle famiglie da una parte e minoranza dall'altra, senza tentare d'accartocciare lo scontro spedendolo a un'istanza superiore. Bisognava aprire una discarica? non era possibile fare altrimenti per le famiglie? Si apriva la discarica con l'accortezza necessaria e sufficiente. Bisognava ripulire un luogo da un vecchio impianto? Lo si faceva nell'interesse delle famiglie. Bisognava dare lavoro alla gente? Si studiava come e dove, e si reperivano i capitali familiari in cerca d'investimento. Oggi i capitali viaggiano senza indirizzo per un qualunque posto del mondo e risultano assenti proprio dove sono prodotti.

L'impersonalità dell'impresa ha condotto a ritenere che il luogo d'incontro della famiglia sia il vicolo, la vineja. Invece, come avveniva nel mondo del mutualismo contadino, le famiglie si incontrano sul terreno della produzione. Dietro i centomila ferrovieri ci sono centomila coniugi e centomila figli. La famiglia è il sostegno che si ha sul luogo di lavoro, nel valutare e contemperare convenienze, nel creare luoghi di associazione.

La famiglia antica si raggruppava sul podere. L'uomo lavorava all'aratro, la donna nell'orto, i ragazzi a far pascere il bestiame minuto. Oggi l'uomo lavora in fabbrica, la donna insegna, i ragazzi vanno a scuola. Ci si incontra non più per il lavoro, ma per il consumo. Lo scontro tra capitale e lavoro prescinde dalla famiglia. Persino le imposte colpiscono il reddito della persona fisica e non il reddito familiare. Eppure il mondo continua a individuarsi per famiglie. Il padre provvede al figlio, la donna all'uomo, i giovani ai vecchi (o ridicolmente, viceversa, i vecchi ai giovani).

La grande depressione che sta attanagliando il mondo mette le popolazioni una contro l'altra. I cinesi non fanno alcun piacere agli italiani producendo abiti e computer a prezzi stracciati. La competizione internazionale sfonda le porte ed entra in casa senza alcun rispetto per la famiglia. L'aggressione viene purtroppo resa più violenta dal partito operaio, che tende a farsi esso stesso Stato operaio, falsificando le imprese come se fossero legioni destinate a far guerra a un nemico visibile o anche invisibile. Questa novità ha fatto scivolare il partito di classe e il sindacato alla condizione di nemico della classe e della famiglia che sta dietro le braccia del singolo lavoratore. Non è per niente detto che produrre altre automobili sia un vantaggio per chi non ha un lavoro, se poi il prezzo del lavoro si abbassa fino all'accattonaggio. In condizioni date di sovrapproduzione, se il lavoro riceve una bassa remunerazione, la sovrapproduzione aumenta e non il contrario. E qui, in questa contraddizione, finisce il partito che si è fatto Stato.

La fine del partito-Stato operaio, il ritorno alla famiglia, al localismo, all'esame freddo e analitico delle esigenze della comunità locale scaturiscono dalla contraddizione insita nello sviluppo della politica in grande, il cui risultato è lo Stato come Stato del capitale e dei capitalisti. La democrazia non ha che scarsi mezzi di difesa contro le concentrazioni capitalistiche. In effetti la verità è una danza che viene ballata sui giornali del grande capitale. E' ben difficile che venga fuori nuda. In opposizione al clamore giornalistico sta la morale sociale, che è una sedimentazione tradizionale tra il giusto e l'ingiusto, un rema che afflisse i grandi tragici dell'antica Grecia. Il giusto dovrebbe tradursi in diritto, in legge. "La legge agraria di Tiberio Gracco", che riordinò, con il podere contadino, il panorama sociale e agrario dell'antica Italia. La famiglia in opposizione alla proprietà senatoria! il diritto dei deboli che lavorano per tutti! Oggi la gens romana è soltanto un ricordo libresco? A me pare che l'accumulazione capitalistica le somigli parecchio. Emerge qui un inganno del sistema capitalistico. La famiglia si contrapporrebbe all'impresa perché fornisce il lavoro, mentre l'impresa, cioè il capitale, fornirebbe i mezzi per la produzione. Però le cose stanno in modo diverso. La grande massa del risparmio privato non è proprietà dei gruppi capitalistici, ma delle famiglie. Il capitale concentra questa massa nella Banca e la investe allorché si rende conto che può trarre profitto. In sostanza la Banca è un "senatore" che impiega i legionari per mettere in piedi una forza capace di sovrastare la massa dei suoi legionari, i quali insensibili ai propri interessi familiari prendono a combattere i propri simili e sé stessi.

Posso parlare solo di impressioni. Da quel che si vede in Europa e da quel poco che si capisce dalla Cina, la mia impressione è che il partito-classe abbia esaurito il suo ruolo storico di difensore del proletariato. In opposizione e simmetricamente viene in rilievo la famiglia, persino nella sua precisa articolazione di famiglia italica che si batte per la proprietà del podere. Un podere ovviamente inteso non come cosa ma come simbolo di un potere, di una libertà.

Il ritorno ai diritti della famiglia riapre anche gli occhi sulla condizione della comunità locale, oggi fin troppo mortificata da poteri sovracomunali e mette in primo piano quella novità del diritto che è la class action, che permette ai deboli di agire in giudizio contro i potenti.

le matrici della crisi identitaria - G. SALEMI

sono più che d'accordo con voi e non lo sono con quelli che si rizelano quando questi difetti nostri sono evidenziati .Le cose negative vanno corrette e renderle note, sempre nella giusta maniera, è cosa utile.

lunedì 12 luglio 2010

LE MATRICI DELLA CRISI IDENTITARIA - 3

NON GENERALIZZO, MI GUARDO ATTORNO

La rinascita dell’identità di un popolo, passando per la riscoperta della propria storia, mal si concilia con la strafottenza, la prepotenza, il bisogno si essere assistiti, ed il voler passare per furbi del popolo meridionale.

Sic et simpliciter.

La prepotenza dei piccoli gesti di un popolo, come il non saper stare in fila, o voler parcheggiare in sosta vietata, o voler costruire una casa abusiva, caratterizza la vita di tante persone.

Chi commette un atto incivile, come chi lo subisce, che deve sottostare, con le conseguenze del caso, alla prepotenza altrui, ricavandone perdite di tempo, di diritto e di civiltà diffusa, nonché l’etichettatura da parte dell’intera nazione italiana, di “popolo incivile che bisogna educare”.

Esempio di sfruttamento di un etichetta, sono le assicurazioni RCA.

Il meridione è posto fra l’incudine ed il martello.

Da una parte le compagnie di assicurazione toscopadane, che sfruttando dati statistici ormai superati, hanno catalogato il popolo del meridione come truffatore, e per tanto lo punisce, indistintamente, con tariffe proibitive.

Dall’altra i truffatori, i prepotenti, quelli che si svegliano la mattina per farsi i giri degli ospedali in cerca di feriti a cui proporre l’affare, essere ufficialmente “investiti” per riscuotere il risarcimento danni.

Altro capitolo sono invece, tutti quei falsi lavoratori, che trovano posto nelle imprese fantasma, lavatrici della camorra, quelle create per attingere dalle emergenze del meridione. Il lavoratore, solo ufficialmente, visto che continua a fare il parcheggiatore abusivo, percepisce una parte della busta paga emessa dall’impresa della camorra, l’altra parte va nelle tasche del clan, soldi puliti.

Di meridionali truffatori, l’italia intera ne è piena. Cercare un modo di guadagnare SENZA LAVORARE (ma parliamo di poche migliaia di euro, perché per la categoria MILIONI TRUFFATI nessuno batte i padani) è sintomo di mancanza di identità, strafottenza del territorio e di un popolo.

Perfino la gioventù, quella che dovrebbe essere il nostro domani, è fiera di portare un coltello, o fare da pony express delle armi per la camorra, che gli garantisce un “fisso” mensile solo per fare il palo nei quartieri ghetto.

Migliaia di contadini che dismettono la coltivazione tipica della propria famiglia e della propria terra, per accedere ai fondi comunitari, si ritrovano poi con un pezzo di terra economicamente improduttivo, costretti quindi a mettere a reddito, tramite l’abusivismo edilizio, il loro pezzo di terra.

Ancora l’assistenzialismo forzato, cioè tutti quei lavoratori che, schiavi di un padrone, fanno parte della squadra di operai di un azienda improduttiva, che magari fino a ieri hanno prodotto videocassette, ed oggi si trovano ad affrontare la crisi per colpa di chi non ha investito nella rigenerazione e riconversione della produzione. Pretendono che lo stato risolva il loro immobilismo.

Pure i professionisti, i colletti bianchi, gente che per 30 anni sono stati a capo chino sui libri di scuola per diventare, avvocati, architetti, commercialisti. Anche loro vivono ancora nell’idea che si è più bravi si hanno le conoscenze giuste nel posto giusto. Purtroppo è così! In un quartiere si da il permesso per costruire un palazzo architettonicamente orrendo, mentre chi vuole costruire una semplice scala riceve un secco diniego. È veramente squallido passare una giornata sull’ufficio tecnico comunale, vedere i dipendenti in divisa da fancazzista, accerchiati da viscidi professionisti intenti ad accaparrare qualche favore o qualche “distrazione”.

Il resoconto di una giornata tipo di un meridionale, lo si può leggere nella favola della gazzella e del leone, “non importa tu chi sei, basta che inizi a correre”, che tu sia una vittima o un carnefice del disagio del popolo meridionale, sei costretto a sopravvivere, arrancare per arrivare a fine giornata, quindi non ti biasimo se storci il naso quando senti parlare di rinascita di identità meridionale, hai altro a cui pensare.

Naturalmente per ogni punti evidenziato, ci sono centinaia di voci che possono affermare il contrario, ma vi assicuro che ho solo tristemente descritto la maggioranza della gente che mi circonda.

Nello Esposito

martedì 29 giugno 2010

Alzare le vele della separazione

di Nicola Zitara

I Sud sta vivendo una situazione non sostenibile più a lungo. In effetti la demarcazione tra le due parti del paese italiano si fa sempre più pronunziata. Il reddito meridionale (quello effettivo, più di quello statistico) si è afflosciato al punto da far dire che il costo della vita al Sud è inferiore del 15% rispetto al Nord. Andando al reddito pro capite un lavoratore (eccezionalmente) occupato non riesce a realizzare più di ottocento euro al mese, il salario di una colf locale è appena sopra la metà del guadagno di un extracomunitario. Nonostante questa situazione permangono tariffe e prezzi pubblici settentrionali. Deve il mercato non opera le tariffe e i prezzi pubblici non si adeguano alla situazione meridionale. Un certificato del medico di base costa venticinque euro come a Milano, cioè un trentesimo di un salario mensile, mentre a Milano sarà pari a un sessantesimo. Guai poi ad imbattersi nella contravvenzione per un divieto di sosta o per un sorpasso irregolare. Se ne va la metà del reddito mensile. Le forniture di acqua, di elettricità, di gas subiscono tariffe più gravose di quelle comunemente correnti al Nord. La tassa sulla spazzatura toglie il fiato.

A fronte di questa situazione il vecchio personale politico sta in bilico se accettare o rifiutare la separazione in due Stati. Meglio sarebbe che si prodigasse a studiare le situazioni concrete per modificare l’unitarismo tariffario, portando la modificazione a livello di comuni, province, regioni e Stato. Il altri tempi la Lombardia ottenne un trattamento tributario diverso da quello nazionale asserendo i maggiori costi di un diverso assetto agricolo. La stessa cosa bisogna fare oggi visto che leggi di quel tempo non sono state cambiate, ma rafforzate.

Il discorso che si fa ai politici di caratura nazionale va fatto alla crescente quantità di persone che oggi vorrebbero impegnarsi per la separazione. Queste persone è bene che abbiano chiaro che la separazione sarà probabilmente la riunione di un consiglio di amministrazione nazionale avente per oggetto le obbligazioni e i dividendi e non certo lo scontro di due eserciti in armi. Su questo fatto bisogna cominciare a riflettere seriamente e rivedere per esempio “a chi va il gettito dell’IVA", se all’area di produzione ((Settentrione) o all’area di consumo (Meridione) perché questa particolare imposta è tale e quale un dazio di consumo. E si sa che il dazio di consumo è spettato sempre ai comuni e alle realtà locali in cui esso si verifica.

Quanto sopra è un’esemplificazione della preparazione mentale alla separazione in due Stati che autoregolano il loro rapporto corrente. Giuristi, economisti, statistici, amministrativisti debbono prepararsi a questa ginnastica mentale delle previsioni e dei conteggi, altrimenti la separazione si rivelerà per il Sud più un danno che un vantaggio.

lunedì 28 giugno 2010

LE MATRICI DELLA CRISI IDENTITARIA – 2

Ieri, mentre sfogliavo la mia raccolta di giornali (conservo i numeri di quotidiani che riguardano eventi particolari) sono arrivato ad un foglio degli anni ’90, in effetti l’articolo per cui lo conservavo non era più importante, ma … dietro al foglio c’era una pubblicità istituzionale della cassa per il mezzogiorno. Nel testo mi ha colpito principalmente una frase “…in 40 anni di gestione straordinaria del territorio del mezzogiorno…”

LA GESTIONE STRAORDINARIA CHE DURA DA 40 ANNI?

Incuriosito me ne vado in giro per gli anni passati, leggendo qualche notizia da internet, o da giornali di inizio secolo, quindi trascrivo alcuni scritti di Scarfoglio:

“… i tumulti di quell’anno mostrarono l’Italia vera, affamata, che cerimonie pubbliche, ampliamenti urbanistici, monumenti ed esposizioni tendevano a celare dando l’illusione di un paese felice, in crescita ed in serenità la cosiddetta Italia Umbertina…”

Questo dopo che il governo nel 1902, aveva varato una legge per ripianare i debiti milionari che la RISANAMENTO NAPOLI, aveva contratto con comune e banche in 17 anni di attività.

“…la legge speciale, dava a Napoli il porto franco, l’energia del Volturno, molte agevolazioni alla nascita di grandi imprese, ma il sospetto che tali facilitazioni, trovando perplessa e timorosa la classe imprenditrice locale, finissero per favorire insediamenti di gruppi industriali già operanti al Nord…

l’indomani nel 1904 nasce il polo industriale di BAGNOLI.

La gestione straordinaria, quindi, non è durata solo 40 anni, ma ha semplicemente mutato la sua forma.

Inizialmente i regi decreti (quelli sabaudi) erano repressivi su tutto il territorio meridionale, lotta al brigantaggio, soppressione degli ordini religiosi, estradizione dei malfattori verso la Spagna ecc., poi, in seguito, le azioni furono diversificate, mantenendo l’azione violenta nelle campagne e nelle terre lontane come nelle Puglie o in Sicilia, dove per esempio Crispi ottenne l’autorizzazione allo stato d’assedio per favorire le richieste dei grandi proprietari terrieri, mentre nella Capitale dell’ex Regno delle due Sicilie, si cambiava registro, sfruttando il pagnottista pensiero del popolo napolEtano.

Così iniziarono le grandi opere, Risanamento Napoli, la realizzazione di monumenti come galleria Umberto, portavano fondi nella città, garantendo un lavoro a tante persone. Questo per i napoletani, significava sopravvivere, e dovendo scegliere se alimentare la famiglia o la cultura napolItana scegliavano, o erano costretti a scegliere, la famiglia.

Erano poche le persone che si accorgevano della grave crisi che l’unità d’italia aveva portato nel meridione ed a Napoli, ma questi o erano intellettuali, il cui pensiero difficilmente era ascoltato dal popolo, o erano etichettati come anarchici filo-borbonici e per questo processati.

Le due grandi guerre poi, furono un momento propizio per la definitiva estinzione del pensiero NapolItano.

Immediatamente dopo, le crisi, l’emigrazione, l’emergenza sociale, favorirono il continuo distacco della gente nei confronti dell’amore per propria patria.

Lo stato italiano, marciando sulla eterna crisi occupazionale, e per scongiurare un allarme sociale che avrebbe favorito il rinascere di moti indipendentisti, mai sopiti del tutto, continuavano, e continuano ancora oggi a favorire gli investimenti degli industriali padani nel sud italia, per portare lavoro e finto benessere, per dare potere d’acquisto anche all’ultimo scugnizzo rimasto.

D’altronde, nell’opera di anestesia identitaria del meridione, lo stato è stato affiancato da quelli che dovrebbero essere i rivali, e cioè i sindacati.

Nati in gran segreto, come rappresentanti dei lavoratori, più volte repressi (vedi il partito socialista dei lavoratori a fine ‘800), si sono trasformati prima in antipadrone, poi in istituzioni vere e proprie capaci (per diritto) di gestire le vite, non le volontà, di milioni di lavoratori.

Chi ne trarrebbe vantaggio se tutti i problemi dei lavoratori dovessero essere risolti? Avrebbe ancora senso l’esistenza di un sindacato, in un paese dove un azienda nasce locale, investe sul territorio, e crea ricchezza per il popolo locale, mantenendo il contatto con essa?

L’importante non è risolvere i problemi, ma creare i presupposti per una eterna dipendenza da qualcuno.

Lo stato italiano continua la sua politica cerchiobottista, mantenendo il popolo del meridione in un eterno limbo, in bilico fra allarme sociale e momenti di normale dramma occupazionale, per poter gestire, in questo modo, tramite la propaganda di cultura standardizzata fatta di tette e talk show, l’ancora attuale e pericoloso sentimento meridionalista, acquisendo, per diritto, l’esclusività anche di tali argomenti.

Nello Esposito

ah Mannaggia Calibarde!


brano tratto da "?o pezzente 'e San Gennaro"
di
Ferdinando RUSSO
29 Agosto 1898
'O CUVERNE 'E TALIANE
NCE HA ARREDUTTE PELLE E OSSA!
QUANTE 'E VUIE, QUANN'E' DIMANE,
SE CAGNASSERO CU MME!
AH MANNAGGIA CALIBARDE!
FRANCISCHIELLO, FRANCISCHIE'!

lunedì 21 giugno 2010

20 ANNI NEL FANGO - andiamo per esclusione

come è tradizione per le terre settentrionali, la festa per i separatisti (loro si definiscono così, ma in effetti sono 20 anni che rubano i soldi dalle casse romane) è stata celebrata per il 20° anno (non consecutivo) in una pontida infangata.
In 20 anni sono cambiate molte cose, ora festeggiano in 50.000 (quasi l'intera popolazione settentrionale), ora hanno di diritto rubato un opera inventandosela come inno, si sono inventati eroi e storia, combattono per i diritti del popolo padano, eppure...
... eppure sembra che la loro unica rivendicazione riguardi una palese appartenenza ad un popolo, che per ora non esiste, ma pur di capire chi sono vanno per esclusione, per ora hanno capito di non essere napoletani!

venerdì 18 giugno 2010

LE MATRICI DELLA CRISI IDENTITARIA - 1

Stamattina, diversamente da tutte le altre mattine, ero ben sveglio e, camminando per andare al lavoro nella calma delle 5.30 del mattino, ho avuto modo di osservare la mia città, in provincia di Napoli: ogni buon tifoso aveva ben esposto sul suo terrazzo, balcone o finestra, la bandiera tricolore dell’italia.

Semplici tifosi o, come diceva Cannavaro, patrioti uniti per orgoglio di essere italiani?

Niente di questo, sono semplicemente ignoranti che sentono il bisogno di sfogare le loro passioni verso una pezza tricolore, e nel mio caso, napolEtani.

Perché equiparare i napolEtani ad ignoranti?

Qualche politico asserisce che lo scarso senso di patria deriva dallo storico malgoverno dei territori, storico come quello del periodo francese o borbonico, ma la cosa non è così generica.

La popolazione napolEtana, quella che rinnegò persino San Gennaro in favore di Sant Antonio da Padova, non ha mai avuto una identità, ed è il malgoverno ben contribuisce a questa disunità.

Fortunatamente non si può generalizzare sul sentimento di disagio identitario del popolo napoletano, né ora né in passato, ma sicuramente attribuire un atteggiamento apatico alla maggioranza del popolo.

Ma da dove deriva questo disagio?

I POLITICI.

Forse dai politici nostrani, che da buoni parassiti pagati da un governo tosco-padano si definiscono PER CONVENZIONE patrioti ed italiani ed infondono, per buona pace dei favoritismi politici, tale atteggiamento (che loro chiamano sentimento) anche al popolo VOTANTE. Ma i politici sono per legge eletti a rappresentare il popolo, quindi riflettono il pensiero di questo?

Così oggi su repubblica, si legge l’intervista ad un politico PIEMONTESE (di famiglia SICILIANA) di vecchia generazione politica, Giuliano AMATO.

Il giornale “la repubblica” si meriterebbe il premio Pulitzer, per aver chiesto ad un politico se esiste il senso di patria.

In primo luogo perché proprio i politici di vecchia generazione hanno da poco festeggiato i 64 anni di perdita di contatto con il popolo, quindi i loro discorsi e le loro indagini, sono basati su teoremi da salotto; poi avete mai chiesto all’acquafrescaio com’è l’acqua? E’ fresca!!!

Nei prossimi post parlerò delle concause matrici del disagio identitario, come la camorra, il lavoro, disagi che impediscono al popolo napolItano di pensare con la propria mente, prendendo, per comodità, i pensieri patriottici dagli standard costituzional-propagandistici (ecco il motivo per cui Bossi vuole candidare un sindaco leghista a Napoli)

Nello Esposito

lunedì 31 maggio 2010

CHE FINE HA FATTO LA REGIONE SALENTO?

Nel Dicembre del 1946, si discuteva a Roma Nella Commissione per la Costituzione, ed in particolare si svolgeva una discussione sulle autonomie locali, dove si discuteva in merito alla formazione delle regioni italiane.

Il fulcro della discussione era incentrato sul fatto che le provincie, non erano autonome ma organi regionali decentrati. Pertanto si diede mandato ai vari senatori, di riportare dai territori le varie proposte, con avalli da parte dei politici delle province interessate e delle relative popolazioni.

Vi fu per esempio l’idea del sindaco di Terni di creare la regione UMBRO-SABINA, regione con un notevole potenziale di espansione industriale, idea che tutta la commissione valuto GENIALE, ma non approvarono perché proveniente da una sola persone.

Così come non approvarono la regione del SANNIO, perché avanzata dalla sola archidiocesi beneventana e dai politici di Benevento, nonostante sia stata riconosciuta una uniformità etnica.

In più occasioni, e da parte di vari esponenti politici presenti nella commissione, viene ribadito l’unità culturale, linguistica e storica del mezzogiorno, ed è in virtù di queste caratteristiche, che se coalizzate in forma di autonomia regionale rappresenterebbero una seria minaccia all’unità nazionale che si tende così a dividere lo stesso meridione in più regioni.

Un'altra divertente considerazione, è l’uso di due pesi e due misure:

Si prende in considerazione l’idea di dividere il Molise dall’Abruzzo, per la sola volontà popolare, anche se la popolazione è inferiore a 500.000 abitanti (minimo previsto dall’art. 22 della proposta di costituzione), e la regione si basa sulla sola produzione agraria. Viene approvata senza sentire le ragioni della popolazione e dei politici dell’Abruzzo (se proprio doveva essere legata a qualche regione, si chiede venga annessa alla Campania, cui storicamente è legata). Il motivo fondamentale scaturì da una considerazione non lungimirante, la difficoltà di comunicazione fra Campobasso e l’Aquila.

Ma il punto più curioso, è L’APPROVAZIONE IN QUESTA FASE, della regione SALENTO (Vedi il verbale sotto allegato), è bello leggere le motivazione dei pro e contro, ma la domanda fondamentale è CHE FINE HA FATTO LA REGIONE SALENTO?


Il Presidente Terracini prega l'onorevole Codacci Pisanelli di iniziare la sua esposizione sulla costituzione di due nuove Regioni: la Capitanata e il Salento.

Codacci Pisanelli premette che la Puglia (Apulia), fin dalla antichità, era suddivisa in tre piccole Regioni: la Daunia (zona di Foggia), la Pucezia (terra di Bari) e il Salento (terra d'Otranto). Essa ha una lunghezza di altre 400 chilometri, dal Gargano, il cui limite superiore è costituito dal fiume Fortore (antico Frento), fino al Capo di Santa Maria di Leuca. Nella larghezza vi è una notevole differenza fra un punto e l'altro della Regione.

Gli antichi abitatori della parte più alta erano i Dauni, e successivamente, nel periodo bizantino, la zona assunse il nome di Capitanata. Essa è costituita in particolare dal cosiddetto Tavoliere delle Puglie ed ha caratteristiche completamente diverse da quelle della Puglia meridionale. Infatti, mentre la Daunia o Capitanata è essenzialmente pianura, nelle altre parti della Puglia si notano quasi ovunque colline. I suoi confini si possono all'incirca individuare tra il fiume Fortore e l'Ofanto; ad oriente, si ha poi l'Adriatico e ad occidente gli Appennini.

Tutta la superficie della zona, che ha un'ampiezza notevole (7184 Kmq.), comprende una sola provincia, quella di Foggia. La popolazione è di 580.870 abitanti, divisa in 60 Comuni; ma la densità è bassa, perché si calcola in 73 abitanti per chilometro quadrato.

Nella Capitanata prevale la cultura estensiva; cioè, vi è ancora in gran parte il latifondo, mentre nelle altre due zone della Puglia si riscontra il fenomeno esattamente opposto: quello del microfondo, tanto che non si ha convenienza ad introdurvi le macchine agricole. I terreni sono per la maggior parte coltivati a semina ed a pascolo: all'inizio del secolo i pascoli coprivano circa la metà della Daunia: oggi soltanto il 23 per cento. Si è esteso cioè il territorio a semina ed in conseguenza ne è derivata una riduzione dell'allevamento del bestiame; laddove allora si contavano circa 60.000 capi di bestiame ovino, oggi non se ne contano più di 40.000. È stata viceversa incrementata la produzione del frumento, e vi sono alcune culture legnose specializzate, quali il mandorlo e l'ulivo. Una parte del territorio (6 per cento) è tenuto a cultura boschiva ed il 3 per cento circa, rappresentato precisamente dal promontorio Garganico, che è roccioso, è incolto. Uno dei maggiori cespiti è dunque rappresentato dalla pastorizia e, se la lana della Daunia non può reggere il confronto con quella dell'Australia, è tuttavia rinomata e nel periodo della guerra è stata oltremodo preziosa all'industria italiana. I continui scambi che avvengono tra la Puglia e gli Abruzzi per la massima parte riguardano appunto questa produzione. I greggi vivono d'inverno nella Capitanata, dove trovano pascoli abbondanti; di estate con la siccità i pascoli si inaridiscono ed allora si ha la transumanza, attraverso i fratturi.

Quanto alle industrie, non ve ne sono di sviluppate. Da circa un decennio, vi è stata introdotta l'industria della carta, che rappresenta una caratteristica del luogo, in quanto si ricava la carta dalla paglia di frumento; ma i risultati, a dir vero, non sono molto soddisfacenti. Un'altra risorsa della Regione è costituita dal sale, che si ricava dalle saline di Margherita di Savoia, in ragione del 30 per cento della produzione nazionale. Naturalmente si utilizzano anche i sottoprodotti del sale.

Altra caratteristica della Daunia, che può influire sul suo avvenire, è l'importanza dei suoi aeroporti. È questa infatti una dello ragioni per cui gli Alleati, quando ci imposero l'armistizio, pretesero la libera disponibilità della zona per impiantarvi gli aeroporti, donde fecero poi partire le fortezze volanti. Vi si potranno dunque con facilità creare delle basi aeree commerciali, tanto più che molti degli aeroporti consegnatici dagli Alleati sono ancora in piena efficienza.

La Capitanata ha anche altre possibilità di sfruttamento, perché in questa vasta pianura in cui predomina il latifondo vi sono grandi estensioni coltivate unicamente mediante aratura fatta con aratri che hanno un vomere piccolissimo, il quale smuove soltanto la parte superficiale del terreno. Nonostante ciò, la produzione di frumento è di 12 quintali per ettaro. Dove poi sono stati introdotti nuovi metodi, come quello Ferraguti, con aratura a motore, si sono avute rese ottime. Qualche cosa si era cominciato a fare per il progresso dell'agricoltura, ma la guerra ha interrotto ogni iniziativa.

È interessante rilevare la differenza fra la conduzione agraria della Capitanata e quella del resto della Puglia. Nella Capitanata si ha essenzialmente l'affittanza con braccianti che lavorano giorno per giorno e da questo sistema derivano gravi conseguenze, perché la mano d'opera viene ingaggiata soltanto quando occorre, onde la disoccupazione periodica che determina frequenti disordini. S'impone dunque una trasformazione agraria, tanto più che nella Pucezia e nel Salento vigono sistemi di conduzione agraria diversa.

La zona ha i porti di Manfredonia e di Margherita di Savoia, ma il suo traffico gravita verso quello di Barletta, che costituisce il suo naturale sbocco al mare.

Osserva ancora, per quanto riguarda l'economia, che si può supporre che la Daunia goda di autonomia finanziaria e, se non altro, ha certamente l'autonomia alimentare, tanto più che la sua popolazione è molto sobria. Viceversa, ripete, non vi sono risorse industriali, ove si eccettuino quelle delle saline e delle cartiere, le quali ultime, però, sono state distrutte dalla guerra. Purtroppo il Foggiano ha subìto grandi distruzioni, e le vastissime piste di volo impiantate dagli Alleati hanno prodotto un certo danno all'agricoltura locale. Vi accade quindi l'opposto di ciò che accade altrove: i proprietari mettono le loro terre a disposizione delle Cooperative e queste le rifiutano perché il loro dissodamento, dopo il passaggio dei compressori, richiederebbe un lavoro di anni.

Anche per quanto riguarda il dialetto c'è una differenza notevole tra la Capitanata e le restanti Regioni della Puglia: l'accento è molto più marcato nella Capitanata ed un barese e un foggiano difficilmente si comprendono.

Concludendo afferma che, per quanto lo riguarda ritiene sufficientemente fondata la richiesta di autonomia della Capitanata, la quale, d'altro canto, non trova opposizione nella vicina Provincia di Bari. Che se poi la Sottocommissione non ritenesse di aderire alla costituzione di tale Regione, si potrebbe prendere in considerazione l'altra ipotesi: di riunire, cioè, la Daunia e la Pucezia. A questo proposito però sente il dovere di avvertire che la terra di Bari ha caratteristiche diverse: vi predominano l'ulivo, la vite e il mandarlo, invece del grano e, non vi è latifondo. Bari ha un porto, non naturale, ma sviluppato — specialmente negli ultimi anni — a danno di Brindisi; è la città più popolata della Puglia (oltre 200.000 abitanti) e vanta un tale sviluppo industriale che anche la sua sola provincia potrebbe costituire una Regione a sé stante.

Passa quindi ad illustrare la richiesta di costituzione della regione Salentina, avvertendo che egli appartiene al Salento, ciò che non può non influire sul suo giudizio.

Il Salento, cioè il tallone di Italia, è costituito di tre province: Taranto, Brindisi e Lecce. Il suo riconoscimento come Regione non toglierebbe brani di terra al resto della Puglia. Giova, del resto, tener presente che, mentre la provincia di Bari mantiene un atteggiamento indifferente, la Capitanata e il Salento vorrebbero distaccarsene. Si potrebbe quindi soddisfare il desiderio degli uni senza contrariare gli altri.

Il Salento (Terra d'Otranto), sin dai tempi più antichi, è stato sempre considerato come un'entità territoriale a sé stante, tanto che nella suddivisione in Regioni del periodo di Augusto e nella nuova suddivisione operata sotto Adriano (125 dopo Cristo) fu sempre conservata la distinzione tra Apulia e Salento.

Dagli studi sul periodo paleolitico risulta l'esistenza nella zona di una popolazione autoctona, di civiltà particolare: i Messapi, che avevano un alfabeto proprio di cui ancora non si conosce la chiave, nonostante si siano ritrovati molti scritti. I Messapi costituirono la prima popolazione e furono poi seguiti dai cosiddetti Salentini, i quali dettero molto filo da torcere ai Romani, finché questi ultimi, dopo aver vinto Pirro e essersi impadroniti di Taranto, fecero una spedizione contro di essi riuscendo a vincerli nel 268 avanti Cristo.

Si tratta di una zona ove si notano caratteristiche completamente diverse da quelle delle terre di Bari e di Foggia. In primo luogo, la popolazione ha caratteri somatici diversi; il suo dialetto è completamente differente dal barese e dal foggiano e ricorda in parte quello siciliano e in parte quello calabrese. Il Salento ha una letteratura dialettale non trascurabile: ma, a parte ciò, in Lecce, Brindisi e Taranto lo sviluppo culturale è molto superiore a quello delle altre parti della Puglia. Lecce soprattutto ha delle velleità letterarie e si compiace nel sentirsi definire la Firenze delle Puglie, perché i leccesi riescono a perdere completamente l'accento e ritengono di parlare un italiano abbastanza buono.

Le risorse principali della zona sono l'olio, il vino e il tabacco.

Per quanto concerne l'olio cita un solo dato, per dare una idea della possibilità di autonomia finanziaria: per il contingentamento, l'anno scorso la zona salentina fu impegnata a consegnare 150.000 quintali di olio. Non è quindi azzardato supporre che ne producesse almeno il doppio.

Il vino ha doti particolari, che determinano frequenti scambi con la Lombardia. Si tratta di vini molto pesanti, che vengono poi tagliati e resi bevibili.

Solo recentemente si è introdotta nel Salento la cultura del tabacco. I primi tentativi di coltivazione del tabacco in Italia furono fatti appunto nella penisola salentina, ma si sono avuti dei successi soltanto dopo varie prove e fallimenti. Tale coltivazione dà alla zona vantaggi notevoli, perché l'essiccazione, la scelta e l'imballaggio delle foglie offre lavoro alle tabacchine per tutto l'inverno, risolvendo in parte il problema della disoccupazione invernale. Tanto maggiore è l'importanza di questa cultura, in quanto le terre che vi sono state destinate non erano adatte ad alcun'altra. Perciò oggi la zona sente incombere come una grave minaccia il tentativo da parte dell'Amministrazione dei monopoli di spostare la coltivazione del tabacco in altre zone più adatte.

Le città principali del Salento sono Taranto, Brindisi e Lecce. Quindi, oltre alle risorse citate, vi è quella costituita da Taranto, base marittima dotata di un cantiere molto importante, di cui anche gli Alleati hanno potuto constatare l'efficienza durante l'ultimo periodo della guerra, facendovi riparare molte navi della loro flotta. Tale cantiere consente di offrire lavoro a moltissimi operai e, mentre prima questi vi affluivano dalla Liguria e da altre zone industriali, oggi le maestranze specializzate si trovano anche sul posto.

Brindisi offre il vantaggio di essere un porto commerciale naturale dei più sicuri. Recentemente è stato ingiustamente svalutato dal fatto che Bari, profittando di un Ministro dei lavori pubblici barese, si è fatto costruire un grandioso porto artificiale, non curando che a pochi chilometri di distanza esisteva il magnifico porto di Brindisi che avrebbe potuto, con minore spesa, essere utilizzato. Pertanto una delle ragioni per cui non solo Lecce, che era l'antica capitale della regione, ma anche Brindisi e Taranto tengono molto alla autonomia, è che sarebbe loro consentito di realizzare pienamente le loro risorse che finora sono state assorbite dalle spese eccessive fatte per Bari.

Sottopone alla Sottocommissione un'istanza firmata da sette deputati della zona, appartenenti a vari partiti, per ottenere il riconoscimento del Salento come Regione autonoma, accompagnandola con le sue raccomandazioni più vive. Aggiunge che nel Salento è molto alto il concetto dell'unità e la Regione è completamente estranea ai disordini che si sono verificati in Puglia. L'aspirazione all'autonomia trova una giustificazione anche nella popolazione, superiore ad un milione e centomila abitanti, e nella superficie di oltre 700 mila chilometri quadrati.

Concludendo, può assicurare i colleghi che non debbono temere questa suddivisione della Puglia, perché le popolazioni di Lecce, Bari e Foggia si sono sempre considerate come facenti parte di tre organizzazioni diverse. Del resto, è anche molto notevole la distanza che intercorre fra le tre città.

Ove la Sottocommissione non ritenesse di accogliere la richiesta della Capitanata, raccomanda, quanto meno, di distaccare il Salento dalla Puglia vera e propria, cioè dalle province di Foggia e Bari.

L'aspirazione del Salento a costituirsi come Regione autonoma è assai antica. Una richiesta in tal senso fu avanzata sin dal 1860, all'epoca, cioè, dell'unificazione d'Italia. Gli abitanti della zona hanno sempre tenuto a chiamarsi Salentini; «Salentine» furono chiamate le ferrovie costruite nella zona da una società all'inizio del secolo. L'aspirazione del Salento a costituirsi in Regione è stata sempre sostenuta senza chiasso o violente manifestazioni esteriori, ma con fermezza e decisione, perché la popolazione locale è stata sempre amante dell'ordine e ha un innato rispetto dell'autorità costituita. Gli abitanti del luogo sono convinti che la loro aspirazione non possa nuocere all'unità del Paese, raggiunta dopo tante fatiche e sanguinose lotte, a cui gli stessi Salentini hanno partecipato, e che essi quindi vogliono che ad ogni costo sia mantenuta.

Nobile, pur essendo contrario alle autonomie regionali, sarebbe favorevole alla costituzione delle nuove Regioni pugliesi, perché riguardo al Mezzogiorno che può considerarsi un'unica Regione in cui si parla sostanzialmente con poche varianti di accento un solo dialetto, il napoletano, ritiene che l'ordinamento dello Stato su base regionale sarà tanto meno pericoloso per l'unità nazionale quanto più numerose e piccole saranno le nuove Regioni. Sarebbe davvero un grave pericolo per il Paese se, con poche Regioni assai estese, si venisse di fatto a ricostituire il Regno di Napoli sotto l'apparenza di un ordinamento regionale autonomo.

Il Presidente Terracini osserva che i due ultimi argomenti prospettati dall'onorevole Codacci Pisanelli non suffragano la sua tesi. L'estensione della Puglia poteva essere nel passato un motivo per indurre a costituire più Regioni nell'ambito dell'attuale circoscrizione regionale pugliese; non più oggi, col grande sviluppo dei mezzi di comunicazione. Circa il traffico dei porti, poi, rileva che sarebbe oltremodo dannoso allo sviluppo economico della Nazione se le Regioni tentassero con proprie disposizioni interne di deviare le correnti del traffico dalle loro vie normali. Non è già per migliorare soltanto le condizioni economiche delle Regioni, ma anche e soprattutto per avvantaggiare l'economia unitaria del Paese che oggi si vuole instaurare un ordinamento dello Stato su base regionale. Ciò, a suo avviso, non dovrebbe mai essere dimenticato.

Codacci Pisanelli fa osservare al Presidente che, con il suo accenno alla lunghezza del territorio pugliese, egli mirava soltanto a dare un'idea della profonda diversità esistente non solo nel carattere delle popolazioni, ma anche nell'economia delle varie zone territoriali comprese nell'attuale circoscrizione regionale della Puglia.

Quanto alle correnti del traffico, è d'accordo col Presidente che esse non debbano essere distolte dalle loro vie naturali; ma la via naturale del traffico nel caso attuale non è quella che conduce a Bari, bensì quella di Brindisi, che è stato sempre il porto più sicuro e frequentato sul litorale adriatico, sin dai tempi dell'antica Roma. Solo durante la dittatura fascista fu costruito il porto artificiale di Bari, per far deviare verso di esso la corrente del traffico che naturalmente convergeva al porto di Brindisi. Sarebbe opportuno che ciò oggi non si ripetesse più, tanto più che il porto di Bari in gran parte è stato distrutto durante gli ultimi avvenimenti bellici.

Il Presidente Terracini mette in votazione la preposta di costituire la Regione del Salento.

Nobile dichiara di astenersi dalla votazione.

(È approvata).

venerdì 28 maggio 2010

Le basi di massa

Di Nicola Zitara

Chi guardi anche al panorama politico del Sud anche nelle minuzie, può agevolmente notare che esistono e vanno sorgendo delle formazioni partitiche all'insegna di un forte autonomismo meridionale - come l'Mpa di Lombardo - o del tutto propugnanti il separatismo tra Sud e Paese restante. Ovviamente si tratta di una reazione 'nervosa' alla tracotanza della Lega stronzobossista e alla simmetrica propensione dei governi nazionali a piegare le ginocchia di fronte a richieste persino illecite, come quella riguardante le multe sull'eccesso di produzione lattaria.

Che la Stronzolega voglia veramente la secessione è cosa poco credibile, in quanto il sistema economico padano si alienerebbe il suo più devoto cliente, che è il Sud deserto d'industrie e anche d'agricoltura. Il Nord vuole togliere a Roma il comando sulla spesa pubblica, e il progetto sta andando avanti a vele gonfie. Il futuro resta, però, tutto da vedere. Non saranno sicuramente le formazioni politiche meridionali a incidere sugli eventi in quanto, nella sostanza, si tratta di voci fioche, di circoli - più che personali - di tipo epistolare attraverso Internet.

Il problema dell'unità d'Italia è vecchio quanto la stessa unità, in quanto il capitalismo della Liguria-Toscana-Lombardia-Piemonte usò l'unità per costruire al Sud una colonia di consumo e sovrappopolazione. Ciò nonostante il Sud costituisse, con le sue produzioni ed esportazioni agricole, la prima e più efficiente fonte della ricchezza nazionale. E' da allora che la colonia è in attesa di un moto di liberazione. Cosa che non fu il Meridionalismo nelle sue varie vesti di liberale, cattolico, socialista, dovendosi considerare questo moto piuttosto un'invocazione all'equilibrio fra la parte egemone del Paese e la parte soggiacente.

L'illusione meridionalistica sopravvive ancora in pochi. Credo anche che questi pochi la usino con poca convinzione, e solo come un ritrito argomento di dibattito con i loro avversari più convinti. Al contempo la separazione è un problema di tempo: degli anni che occorreranno per convincere le popolazioni meridionali a fondare - o meglio rifondare - uno Stato indipendente. In questo senso, i partiti sono necessari. Sarebbe assurdo dire no al proliferare di formazioni neoborboniche o indipententiste. Il problema riguarda la struttura dilatata, internettista che propendono ad assumere. Senza negare questa, bisogna pensare all'aggregazione diretta, personale, su base paesana, di quartiere, di vicolo, come fece, dopo la Liberazione, il Partito Comunista con le cellule locali.

Bisogna radicarsi sul territorio come fanno la Chiesa e gli uffici postali.

E pensare che noi siamo di 100 anni più vecchi!!!

(Fonte www.20minutos.es)


Il Presidente della Generalitat, José Montilla , ha detto il Sabato che 650 anni della Generalitat giustificare che la Catalogna è una nazione che non è un'ossessione o un capriccio, ma la storia, la volontà di auto-governo, cultura e la lingua sorgono gli argomenti per dire: "siamo una nazione".

Per Montilla, dicendo che la Catalogna è una nazione, i cittadini e le istituzioni catalano vuole esprimere che cosa "siamo e cosa vogliamo rimanere" non solo "noi chiediamo il riconoscimento costituzionale".

autogoverno non è un accidente della storia ma ha ribadito la volontà dei catalani

Secondo Montilla, il sé non è un accidente della storia , ma ha ribadito la volontà dei catalani al punto che, insieme con una propria lingua e la cultura, l'autogoverno è una delle definire l'essenza dei catalani come popolo.

Montilla, che è il presidente della Generalitat 128, ha presieduto l'evento ufficiale Sabato a celebrare i 650 anni della Generalitat della Catalogna, come nel 1359, il Tribunale di Catalogna, svoltasi a Cervera (Lleida), ha approvato la costituzione del nome del vice , lo sfondo storico della Generalitat corrente.

Montilla ha detto che la continuità e la validità della prima istituzione della Catalogna si manifesta attraverso lo Statuto del 2006 , ora in attesa della Corte Costituzionale.

CAVIE!

L’italia è sempre stata un laboratorio politico europeo. Ho usato il termine laboratorio, non come nobilmente è stato usato più volte negli ultimi anni dai politici nostrani, ma inteso come termine per identificare un posto dove si elaborano esperimenti e si catalogano le reazione delle cavie. Noi italiani per l’europa, siamo le cavie!

Nell’ultima tornata elettorale, per gli europei, è stata più fragorosa la vittoria della Lega che la sconfitta di nicolas sarkozy.

Ma oltre all’aspetto politico, anche se di rilevanza internazionale, vengono presi in esame anche gli aspetti economici.

L’italia, per la cultura apatica e sottomessa degli italiani, è la nazione dove si può enfatizzare la dose da sperimentare per constatarne gli effetti estremi.

Gli interessi economici degli europei hanno ingigantito da prima la GDO (grande distribuzione organizzata – la parola mi ricorda tanto la “nuova camorra organizzata” di cutolo) creando per il popolo italiano (almeno per gran parte di quello meridionale) unico luogo per acquisto di beni di prima necessità. Giusto per non commettere spudoratamente i loro interessi, hanno creato vari loghi per dare una parvenza di concorrenza, (auchan, conad, coop, carrefur, ecc.) anche se dietro ci sono solo due centri GDO italiani.

In primo luogo questo ha comportato una predominanza sul mercato di pochi, riuscendo a governare il mercato della domanda e dell’offerta a loro piacimento, costringendo fornitori ad applicare i prezzi da loro richiesti ed i clienti a comprare quello per loro più vantaggioso.

La loro massiccia presenza, comporta inoltre una pressione maggiore nell’influenzare le abitudini della vita dei cittadini, valutandone, come se fossimo tutti cavie, le reazioni a politiche da adottare in altri luoghi.

L’ultimo confronto, ha provocato un quasi incidente diplomatico, ma forse era tutto voluto politicamente.

Gli israeliani, mi riferisco ai politici, sono, come sempre, padroni del mondo e come tali si comportano, la riconferma di questo loro ruolo è l’atteggiamento di sudditanza del resto del mondo, che condiscendono a tutte le volontà del governo ebreo. Guai infine a paragonare qualsiasi strage alla, purtroppo vera e tragica shoah, ma in genere tutto e tutti non possono ritenersi degni di poter criticare qualsiasi cosa rientri nell’aspetto ebro o intacchi la sovranità di Israele.

Come proprietari dei territori a loro affidati, a discapito dei palestinesi, hanno ben pensato (sempre i politici israeliani) di estendere i loro territori anche nella più fertile zona palestinese. Atteggiamento che gli è costata anche la TIMIDA reazione di ammonimento da parte della UE.

Per accordi commerciali, e per la solita sudditanza, Israele può esportare i suoi prodotti in europa non pagando dazi doganali, agevolazione valida per i prodotti provenienti dai territori LEGALI di Israele.

L’invasione Israeliana nei territori fertili ha dunque arrecato notevoli vantaggi economici, incrementando la dose di ILLEGALITA’ che il governo israeliano è abituato a compiere.

Alcuni centri commerciali italiani hanno ben pensato di non vendere i prodotti commercializzati dalla Agrexco, la principale esportatrice di prodotti da Israele. Salvo però, ribadire che era una scelta commerciale per prodotti fuori stagione.

Ancora una volta una scelta imposta dalla GDO. Ma se per una volta fosse il popolo a decidere?

Se per una volta il popolo meridionale decidesse di non comprare più i prodotti di tutte le società del nord che sfruttano i territori occupati del meridione per trarne vantaggi ILLEGALI?, se per una volta i pugliesi comprassero l’olio dal frantoio sotto casa, anziché andarlo a comprare all’Auchan da un produttore che impone il prezzo delle olive agli stessi agricoltori pugliesi? Se per una volta il pomodoro di Vittoria, venisse coltivato per i siciliani? Se per una volta ogni meridionale si rendesse conto che per una svolta del sud, bisogna comprare I PRODOTTI DEL SUD?

Uno dei punti che segnano il NON SVILUPPO di un territorio è proprio l’imposizione ed il favorire della prolificazione dei centri commerciali di smercio monopolistici della GDO.
Guardandoci dall'alto sembriamo tante cavie, che girano nelle gabbiette che i nostri scienziati hanno predisposto.

sabato 22 maggio 2010

CIAO ITALO CELORO


Quando una persona ci lascia, ricordiamo sempre un episodio, una sua frase. ed io voglio salutare il grande Meridionalista ITALO CELORO, stabiese, attore, registra, scrittore, con una frase che mi disse ultimamente: "Sono sempre stato un meridionalista, prima soffrivamo in silenzio, perchè potevamo essere associati a terroristi che attentavano all'unità nazionale, colpa anche della presenza delle Brigate Rosse, ma ora No! ora è il momento di uscire allo scoperto, e lottare per ridare al meridione quello che gli spetta!"

Italo, grazie per le emozioni che hai regalato a tante persone, e ciao.

venerdì 14 maggio 2010

2^ Italian celebration t-shit


Continua la "collezione" delle maglie per la celebrazione del 150° anniversario dell'invasione sabauda del Regno delle Due Sicilie.








mercoledì 12 maggio 2010

CELEBRIAMO I 150 ANNI DI UNITA' D'ITALIA


Salvatore de Crescenzo

E' giusto dare un tributo a quanti hanno DAVVERO realizzato l'unità d'italia.
tutti dovrebbero avere una maglietta con gli "eroi" del 1860, quelli che, come ha detto il NOSTRO presidente Illustrissimo Giorgio Napolitano, hanno reso possibile il risorgimento senza il quale oggi saremo nel buio totale!!!
iniziamo con la prima "italian celebration T-shit" dedicata al Tore 'e criscienzo al secolo Sig. Salvatore de Crescenzo .
il primo grande camorrista che si conosca.
era il 1860 quando il prefetto LIBORIO ROMANO (A cui dedicheremo la seconda italian celebration t-shit) affida al noto guappo Salvatore de Crescenzo, prelevandolo dalle galere, la guardia cittadina, per riportare ordine e combattere i rivoltosi (i fedeli del Re Francesco II), dando così inizio alla CAMORRA ORGANIZZATA.
Questo grande prefetto, assegnò alla CAMORRA un ampio potere ed una coccarda tricolore, (simbolo ieri come oggi della vera criminalità). Fu dunque Tore 'e Criscienzo ed i suoi guappi ad aprire le porte della città di Napoli al suo superiore, il nizzardo Garibaldi.

Celebriamo l'unità d'italia con il primo eroe italiano Tore 'e Criscienzo, e stampiamo tutti noi la prima ITALIAN CELABRATION T-SHIT




mercoledì 5 maggio 2010

NON DIMENTICHERO' I 150 ANNI DI UNITA'

Come si può dimenticare…, una violenza che ancora è in atto.
150 di violenze, fisiche, morali, sociali ed economiche.
Me ne fotto del nizzardo, dei SaBoia che ancora oggi chiamiamo principi, sono episodi avvenuti nel lontano 1861, scritti da ottusi giornalisti dell’epoca, padri degli ottusi e prezzolati giornalisti di oggi.
ma bisogna riflettere sulle parole del presidente napolitano (carica politica che vale come il 4 alla briscola) “bisogna riflettere da dove veniamo, cosa eravamo, cosa siamo diventati, e dove andremo”
Bhe! al Sud avevamo ricchezza ed industrie, non conoscevamo emigrazione, e la mafia era un semplice problema di “guapperia”.
in 150 anni, sono state chiuse le fabbriche, ostacolato l’economia rurale, favorito l’emigrazione, e dato ampio potere alle mafie del sud; le realtà produttive che nel corso dei 150 anni si sono formate, o erano ben radicate nel territorio da poterle trasportare al Nord, come è stato fatto nel 1861, sono state statalizzate prima, e privatizzate poi, a favore (con costributi statali) degli imprenditori del nord; La più grande Banca d’italia (il banco di Napoli, è stato REGALATO ai piemontesi); il Sud italia è un enorme bacino sfruttato dall’economia settentrionale, dove attinge forza lavoro, e guadagni facili grazie all’eterna EMERGENZA MERIDIONALE; ancora oggi nel sud italia si aprono siti produttivi di industrie settentrionali che sfruttano gli incentivi statali, e che magicamente chiudono dopo 5 anni.
dove andremo? con il federalismo fiscale il sud italia morirà prima economicamente e poi socialmente, si stanno creando i presupposti per una rivoluzione che potrà scoppiare nel corso dei primo 5 anni di federalismo.
E’ bene ricordare che il sud italia, grazie ad enel, telecom, fiat, eni, assicurazioni, supermercati, ecc. versa nelle casse del nord più di 60 miliardi di euro ogni anno (alla faccia della palla al piede!!!)
COME POSSO DIMENTICARE 150 ANNI DELL’UNITA’ D’ITALIA!!!
Nello, dal territorio occupato del meridione d’italia

lunedì 19 aprile 2010

PULCINELLA EMIGRANTE

Il sistema economico-sociale italiano è stato regolato e fondato sulla forza lavoro che le regioni del meridione (rese povere dallo Stato italiano) assicuravano, e continuano ad assicurare alle ricche (sempre per volontà di Stato) regioni del nord.

I continui annunci di “Emergenza Meridionale”, gli eterni finanziamenti per le interminabili infrastrutture da realizzare al sud, la minaccia di un prossimo impoverimento derivante dall’entrata in vigore del Federalismo Fiscale, incrementano il già diffuso e radicato senso di dipendenza del meridione verso i ricchi del nord, in parole povere, la gente crede che senza il nord il Sud morirà.

Ma qual è il prezzo per quei 4 ceci che lo stato ci concede come elemosina?

Dal momento che si procede per gradi legislativi, il primo decreto comporterà il divieto di indossare pantaloni, mentre il secondo, ci posizionerà in più comode (per lo stato) angolazioni!!!

Così come per gradi si procede all’impoverimento del meridione. In che modo?

Dal 1860 in poi, grazie all’impoverimento forzato del meridione ed ad una politica avversa ai contadini meridionali, siamo stati privati della nostra famiglia, divisa, impoverita grazie all’emigrazione.

È pur vero che proprio negli anni successivi al 1860, lo stato italiano ha letteralmente smantellato tutte le industrie presenti nel meridione, un po’ per arricchire le industrie settentrionali di tecnologie all’avanguardia, prerogativa del Regno delle Due Sicilie, un po’ perché, in un successivo confronto, il nord non sarebbe mai stato il più produttivo dell’italia.

Forza lavoro, industrie, supremazia economica, tutto al nord.

Poi si sono accorti che nonostante il continuo impoverimento del meridione, questo continuava a produrre eccellenze, in ogni campo, conosciute in tutto il mondo.

All’ineguagliabile successo che le canzoni napoletane avevano in tutto il mondo, tanto da confondere “o sole mio” con l’inno nazionale italiano, lo stato organizza, sponsorizza e finanzia Il festival di Sanremo, relegando la lingua napoletana, a cafonaggine non degna di tale evento.

Ma come contrastare le eccellenze alimentari del meridione? Detto fatto, si nomina Parma capitale italiana del buongusto, in modo da canalizzare tutti i finanziamenti del settore a quelle aziende che risiedono nella zona, e così che il mondo conosce il prosciutto, il formaggio parmensi.

Ma ancora oggi la cultura e la gastronomia meridionale, sono, senza la necessaria pubblicità, prodotti di cui possiamo andare fieri. Ma fino a quando?

Fino a quando la mozzarella di bufala campana non verrà soppiantata da quella padana, dove (almeno così dicono) gli animali crescono in zone dove non c’è spazzatura, e vengono rispettati tutti i protocolli di produzione?

Fino a quando la piccola economia meridionale resisterà ai continui attacchi dell’oligopolio creato dalla Grande Distribuzione Organizzata?

Per ora dobbiamo ci siamo abbassati i pantaloni, non ci resta che aspettare!

Si stanno fregando di tutto, la mozzarella di bufala, la pizza, la pasta, la canzone, SI SONO FREGATI PURE A PULCINELLA!!!

Fino a qualche tempo fa, anzi è successo una sola volta se non ricordo male nel 2006, la manifestazione “cartoons on the bay” fu fatta a Salerno, e simbolo della manifestazione era il NOSTRO Pulcinella. Ora la Rai ha preso accordi e da quest’anno l’evento si terra a Rapallo.

Quindi se pure Pulcinella è emigrato per trovare lavoro…

Nello Esposito

venerdì 9 aprile 2010

UNA COLONIA NON PUO' AVERE OPPORTUNITA'

Il Sud ha bisogno di ingenti risorse per migliorare la formazione scolastica dei giovani.

Benché la vera falla culturale la si evince nelle dichiarazioni dei nostri attempati politici, intrise di ignoranze e carenze storiche; lo stesso dicasi per la loro preparazione, inesistente, di storia della politica, che dovrebbe dare spunto per le azioni da intraprendere, non per il successo personale, ma per dare onore al mandato affidatogli dal popolo di gestire il bene pubblico e rappresentare lo stesso all’interno delle istituzioni, incarichi per i quali, e questo non dovrebbero dimenticarlo, è il popolo a pagarli.

Gran parte dei politici meridionali, nelle loro dichiarazioni, mostrano tali caratteristiche.

Fino a qualche tempo, quando la Lega Nord vantava qualche consigliere comunale e qualche onorevole, si parlava di Federalismo, qualcuno rideva, qualche altro li ignorava, ma molti si indignavano.

Oggi, l’italia sta vedendo l’ascesa di questo partito politico, secessionista, e come per magia gli stessi politici che si indignavano, reputano il FEDERALISMO come una occasione per il sud per risollevarsi, se affidata ad amministratori capaci!!!

Nulla da eccepire in merito, ma è d’obbligo chiarire alcuni punti:

  1. Dove sono questi politici capaci?
  2. Il sud italia, è per ragioni storiche, e per soprattutto a causa della struttura finanziara-economica, una colonia italiana.
  3. il PIL meridionale, è disastroso;
  4. Grazie alle aziende del settentrione presenti nel meridione con i loro siti produttivi e commerciali, sono le stesse regioni del meridione che contribuiscono fattivamente, a tenere alto il potere economico delle regioni del nord, che (per inciso) SI ARRICCHISCONO GRAZIE AL MERIDIONE ED AI MERIDIONALI.
  5. le aziende dello stato, o che vivono grazie agli aiuti dello stato, sono TUTTE con sede legale al nord, parlo di FINCANTIERI, FINMECCANICA, (e comunque tutto l’universo della FINTECNO, società del Ministero dell’economia), parlo anche di FIAT, che con 4 soldi (pagati dallo stato) comprò l’alfasud ed ancora oggi elemosina (per modo di dire viste le cifre) allo stato gli incentivi per la rottamazione, parlo ancora di ENEL, TERNA, TELECOM ecc. rappresentano quello che è il moderno sistema per travasare i soldi da una parte all’altra della nazione.
  6. oggi la piccola economia commerciale meridionale è destinata all’estinzione, minacciata dalla supremazia e potenza economica della Grande Distribuzione Organizzata, che manco a dirlo ha sempre sede nel Nord Italia, ed i politici nostrani si vestono da complici della GDO dando il colpo di grazia ai piccoli commercianti, approvando la costruzione di grandi supermercati nelle nostre città; piccola nota triste, in un futuro, non troppo lontano, grazie alla direttiva Bolkestein, anche il commercio ambulante sara minacciato dalle grandi società del nord.
  7. Per la ripresa economica, e per scongiurare un allarme sociale, saranno a breve dispensati, elargiti, regalati dal governo italiano, FORTI incentivi a chi investirà nel meridione. Naturalmente tali incentivi saranno destinati a chi può, grazie a garanzie economiche e produttive, garantire la realizzazione di grandi siti produttivi nel meridione, ma ad oggi la maggior parte del potere economico e politico, è diviso nelle sole regioni del nord.
  8. Oggi, il pensiero della supremazia settentrionale, è quello maggiormente propagandato, questo grazie anche alle nomine che i politi IMPORTANTI distribuiscono all’interno delle società (citate nel punto 5) e nelle società di comunicazione. Vedi esempio del programma in onda su RAI DUE affidato all’ex vicedirettore del giornale Leghista LA PADANIA, che non aspettava altra occasione per SPUTARE su tutto il meridione d’italia.

Alla luce dell’attuale situazione, dettagliata nei precedenti e non esaustivi punti, come un politico del meridione può affermare che il federalismo fiscale, sarà una occasione di crescita per il meridione, quando la maggior parte dei flussi di denaro non contribuiranno al mantenimento delle finanze pubbliche delle regioni del meridione?

Forse sarà ignoranza degli stessi in materia fiscale e federale, o forse l’ignoranza della storia economica del meridione, fatta di continue emergenze create per sostenere il continuo arricchimento del potere economico del settentrione, o forse perchè la loro bocca è strumento di propaganda a soldo di un potere succube della lega; qualunque sia la loro carenza, certamente è sintomo di inettitudine a governare.

Un ultima nota, degna di essere menzionata, è quello che dovrebbe essere il simbolo dell’ignoranza storica del meridione, l’On. Alessandra Mussolini.

L’indomani della proposta (provocazione?) da parte della Lega di concorrere, con un suo candidato, alla carica di Sindaco della città di Napoli, ha dichiarato: “Poveri Napoletani che dopo i Borbone dovrebbero sopportare anche i leghisti!”

La storia, quella vera, dovrebbe far capire che il verbo “sopportare”, mal si concilia con la grandiosità e la ricchezza che i Borbone hanno donato a Napoli. Anzi per dare onore alla storia, la frase da associare alla proposta della lega doveva essere “Poveri Napoletani, dopo i Savoia ora devono SUBIRE pure la Lega!”.

Oppure, visto che dopo il suo annuncio, la Mussolini si è subito proposta come candidata della Lega per la carica di sindaco di Napoli, sarebbe stata anche più bella “Povero Napoletani dopo Liborio Romano, devono essere traditi anche dalla Mussolini!”

Nello Esposito

mercoledì 24 marzo 2010

COMMEMORAZIONE BATTAGLIA DEL VOLTURNO

Gentili amici,Vi prego di voler cortesemente dare comunicazione ,attraverso le vostre reti di informazione con la divulgazione più ampia possibile ,del seguente messaggio :   "A nome della Associazione Culturale Capt.Giuseppe De Mollot,Eroe del Voturno,comunico che la Cerimonia di commemorazione dei Caduti dell'Esercito delle Due Sicilie nella Battaglia del Volturno ( 13° edizione ),si svolgerà in Capua il prossimo 2 ottobre 2010" . . Il programma dettagliato sarà comunicato in seguito .                                                          Giovanni  Salemi    P.S. A seguito di questa comunicazione e nella scia di una oramai accordo tacito per  onde evitare spostamenti e sacrifici ulteriori ai Compatrioti fuori della Campania , i CDS allestiranno il congresso, che sarà il III, del 2010 il giorno 3 ottobre 2010.

martedì 23 marzo 2010

DIRETTIVA BOLKESTEIN – MORTE DEI PRODOTTI A KM ZERO




È fatta, venerdì il governo ha approvato la direttiva europea denominata Bolkestein, sulla libera circolazione dei servizi nell’ambito europeo.

Per qualcuno una buona occasione di crescita, per altri la totale e definitiva estinzione del piccolo imprenditore.

Benché, nella disamina mediatica della direttiva, l’esempio più famoso fu quello dell’idraulico polacco che avrebbe destabilizzato il mercato francese, bisogna vedere l’aspetto da tutt’altra prospettiva.

Prendiamo per esempio il salumiere sotto casa, che da decenni è in crisi per la prolificazione in tutto il territorio nazionale dei centri commerciali, che hanno dato opportunità alla GDO (grande distribuzione organizzata) di crescere sotto il profilo economico e contrattuale, diventando da liberatori a monopolisti del mercato.

Purtroppo per il povero idraulico polacco ci sarà poco da fare, perché anziché circolare liberamente nel territorio europeo per offrire i suoi servizi, sarà costretto, pena il fallimento, ad essere inglobato come manovale in una delle grandi aziende che possono offrire servizi di costruzione e manutenzione su tutto il territorio europeo a prezzi sicuramente più bassi rispetto alle piccole aziende.

Così oltre agli idraulici, chi rischia l’estinzione grazie alla direttiva Bolkestein?

Per esempio tutti i venditori ambulanti, o chi ha una concessione per la vendita nei mercati rionali.

Bene con questa direttiva, i centri commerciali e la grande distribuzione organizzata, varcheranno le porte delle città. Infatti se fino ad oggi, i centri commerciali, per ragioni urbanistiche e di spazio, sono sempre stati costruiti nelle zone periferiche, ora possono acquistare licenze per la vendita nei mercati rionali, per la buona pace del piccolo commerciante.

Questo, è un attacco alla piccola economia locale, il salumiere diventerà banconista, il fruttivendolo sarà assunto come trasportatore, i ragionieri, non avendo più clienti, diventeranno impiegati dell’ufficio commerciale di zona delle grandi multinazionali che invaderanno le nostre strade.

Questo per qualcuno significa più scelta e maggior risparmio per i consumatori, ma in questa liberazione dei mercati si cela la MORTE economica delle nostre terre. Il banconista, il trasportatore, l’impiegato, continueranno a vivere e spendere, incrementando però la potenza economica di società che non risiedono nelle nostre città, che diventeranno sempre meno produttive e sempre più colonie da sfruttare.

Nel sud italia esistono più di settantacinquemila bancarelle, che fine faranno?

Si riuscirà a comprare un prodotto a km zero, una volta che la GDO invaderà anche i mercati rionali?

Questi sono gli interrogativi che i governatori delle regioni si devono porre prima di approvare una direttiva che già il governo italiano ha recepito senza nessuna modifica.

Nello Esposito