lunedì 28 giugno 2010

LE MATRICI DELLA CRISI IDENTITARIA – 2

Ieri, mentre sfogliavo la mia raccolta di giornali (conservo i numeri di quotidiani che riguardano eventi particolari) sono arrivato ad un foglio degli anni ’90, in effetti l’articolo per cui lo conservavo non era più importante, ma … dietro al foglio c’era una pubblicità istituzionale della cassa per il mezzogiorno. Nel testo mi ha colpito principalmente una frase “…in 40 anni di gestione straordinaria del territorio del mezzogiorno…”

LA GESTIONE STRAORDINARIA CHE DURA DA 40 ANNI?

Incuriosito me ne vado in giro per gli anni passati, leggendo qualche notizia da internet, o da giornali di inizio secolo, quindi trascrivo alcuni scritti di Scarfoglio:

“… i tumulti di quell’anno mostrarono l’Italia vera, affamata, che cerimonie pubbliche, ampliamenti urbanistici, monumenti ed esposizioni tendevano a celare dando l’illusione di un paese felice, in crescita ed in serenità la cosiddetta Italia Umbertina…”

Questo dopo che il governo nel 1902, aveva varato una legge per ripianare i debiti milionari che la RISANAMENTO NAPOLI, aveva contratto con comune e banche in 17 anni di attività.

“…la legge speciale, dava a Napoli il porto franco, l’energia del Volturno, molte agevolazioni alla nascita di grandi imprese, ma il sospetto che tali facilitazioni, trovando perplessa e timorosa la classe imprenditrice locale, finissero per favorire insediamenti di gruppi industriali già operanti al Nord…

l’indomani nel 1904 nasce il polo industriale di BAGNOLI.

La gestione straordinaria, quindi, non è durata solo 40 anni, ma ha semplicemente mutato la sua forma.

Inizialmente i regi decreti (quelli sabaudi) erano repressivi su tutto il territorio meridionale, lotta al brigantaggio, soppressione degli ordini religiosi, estradizione dei malfattori verso la Spagna ecc., poi, in seguito, le azioni furono diversificate, mantenendo l’azione violenta nelle campagne e nelle terre lontane come nelle Puglie o in Sicilia, dove per esempio Crispi ottenne l’autorizzazione allo stato d’assedio per favorire le richieste dei grandi proprietari terrieri, mentre nella Capitale dell’ex Regno delle due Sicilie, si cambiava registro, sfruttando il pagnottista pensiero del popolo napolEtano.

Così iniziarono le grandi opere, Risanamento Napoli, la realizzazione di monumenti come galleria Umberto, portavano fondi nella città, garantendo un lavoro a tante persone. Questo per i napoletani, significava sopravvivere, e dovendo scegliere se alimentare la famiglia o la cultura napolItana scegliavano, o erano costretti a scegliere, la famiglia.

Erano poche le persone che si accorgevano della grave crisi che l’unità d’italia aveva portato nel meridione ed a Napoli, ma questi o erano intellettuali, il cui pensiero difficilmente era ascoltato dal popolo, o erano etichettati come anarchici filo-borbonici e per questo processati.

Le due grandi guerre poi, furono un momento propizio per la definitiva estinzione del pensiero NapolItano.

Immediatamente dopo, le crisi, l’emigrazione, l’emergenza sociale, favorirono il continuo distacco della gente nei confronti dell’amore per propria patria.

Lo stato italiano, marciando sulla eterna crisi occupazionale, e per scongiurare un allarme sociale che avrebbe favorito il rinascere di moti indipendentisti, mai sopiti del tutto, continuavano, e continuano ancora oggi a favorire gli investimenti degli industriali padani nel sud italia, per portare lavoro e finto benessere, per dare potere d’acquisto anche all’ultimo scugnizzo rimasto.

D’altronde, nell’opera di anestesia identitaria del meridione, lo stato è stato affiancato da quelli che dovrebbero essere i rivali, e cioè i sindacati.

Nati in gran segreto, come rappresentanti dei lavoratori, più volte repressi (vedi il partito socialista dei lavoratori a fine ‘800), si sono trasformati prima in antipadrone, poi in istituzioni vere e proprie capaci (per diritto) di gestire le vite, non le volontà, di milioni di lavoratori.

Chi ne trarrebbe vantaggio se tutti i problemi dei lavoratori dovessero essere risolti? Avrebbe ancora senso l’esistenza di un sindacato, in un paese dove un azienda nasce locale, investe sul territorio, e crea ricchezza per il popolo locale, mantenendo il contatto con essa?

L’importante non è risolvere i problemi, ma creare i presupposti per una eterna dipendenza da qualcuno.

Lo stato italiano continua la sua politica cerchiobottista, mantenendo il popolo del meridione in un eterno limbo, in bilico fra allarme sociale e momenti di normale dramma occupazionale, per poter gestire, in questo modo, tramite la propaganda di cultura standardizzata fatta di tette e talk show, l’ancora attuale e pericoloso sentimento meridionalista, acquisendo, per diritto, l’esclusività anche di tali argomenti.

Nello Esposito

2 commenti:

paolo fiore ha detto...

Come sempre, caro amico, sei di una lucidita eccezionale.

duesicilie ha detto...

è sempre un piacere leggerti amico mio!