lunedì 31 maggio 2010

CHE FINE HA FATTO LA REGIONE SALENTO?

Nel Dicembre del 1946, si discuteva a Roma Nella Commissione per la Costituzione, ed in particolare si svolgeva una discussione sulle autonomie locali, dove si discuteva in merito alla formazione delle regioni italiane.

Il fulcro della discussione era incentrato sul fatto che le provincie, non erano autonome ma organi regionali decentrati. Pertanto si diede mandato ai vari senatori, di riportare dai territori le varie proposte, con avalli da parte dei politici delle province interessate e delle relative popolazioni.

Vi fu per esempio l’idea del sindaco di Terni di creare la regione UMBRO-SABINA, regione con un notevole potenziale di espansione industriale, idea che tutta la commissione valuto GENIALE, ma non approvarono perché proveniente da una sola persone.

Così come non approvarono la regione del SANNIO, perché avanzata dalla sola archidiocesi beneventana e dai politici di Benevento, nonostante sia stata riconosciuta una uniformità etnica.

In più occasioni, e da parte di vari esponenti politici presenti nella commissione, viene ribadito l’unità culturale, linguistica e storica del mezzogiorno, ed è in virtù di queste caratteristiche, che se coalizzate in forma di autonomia regionale rappresenterebbero una seria minaccia all’unità nazionale che si tende così a dividere lo stesso meridione in più regioni.

Un'altra divertente considerazione, è l’uso di due pesi e due misure:

Si prende in considerazione l’idea di dividere il Molise dall’Abruzzo, per la sola volontà popolare, anche se la popolazione è inferiore a 500.000 abitanti (minimo previsto dall’art. 22 della proposta di costituzione), e la regione si basa sulla sola produzione agraria. Viene approvata senza sentire le ragioni della popolazione e dei politici dell’Abruzzo (se proprio doveva essere legata a qualche regione, si chiede venga annessa alla Campania, cui storicamente è legata). Il motivo fondamentale scaturì da una considerazione non lungimirante, la difficoltà di comunicazione fra Campobasso e l’Aquila.

Ma il punto più curioso, è L’APPROVAZIONE IN QUESTA FASE, della regione SALENTO (Vedi il verbale sotto allegato), è bello leggere le motivazione dei pro e contro, ma la domanda fondamentale è CHE FINE HA FATTO LA REGIONE SALENTO?


Il Presidente Terracini prega l'onorevole Codacci Pisanelli di iniziare la sua esposizione sulla costituzione di due nuove Regioni: la Capitanata e il Salento.

Codacci Pisanelli premette che la Puglia (Apulia), fin dalla antichità, era suddivisa in tre piccole Regioni: la Daunia (zona di Foggia), la Pucezia (terra di Bari) e il Salento (terra d'Otranto). Essa ha una lunghezza di altre 400 chilometri, dal Gargano, il cui limite superiore è costituito dal fiume Fortore (antico Frento), fino al Capo di Santa Maria di Leuca. Nella larghezza vi è una notevole differenza fra un punto e l'altro della Regione.

Gli antichi abitatori della parte più alta erano i Dauni, e successivamente, nel periodo bizantino, la zona assunse il nome di Capitanata. Essa è costituita in particolare dal cosiddetto Tavoliere delle Puglie ed ha caratteristiche completamente diverse da quelle della Puglia meridionale. Infatti, mentre la Daunia o Capitanata è essenzialmente pianura, nelle altre parti della Puglia si notano quasi ovunque colline. I suoi confini si possono all'incirca individuare tra il fiume Fortore e l'Ofanto; ad oriente, si ha poi l'Adriatico e ad occidente gli Appennini.

Tutta la superficie della zona, che ha un'ampiezza notevole (7184 Kmq.), comprende una sola provincia, quella di Foggia. La popolazione è di 580.870 abitanti, divisa in 60 Comuni; ma la densità è bassa, perché si calcola in 73 abitanti per chilometro quadrato.

Nella Capitanata prevale la cultura estensiva; cioè, vi è ancora in gran parte il latifondo, mentre nelle altre due zone della Puglia si riscontra il fenomeno esattamente opposto: quello del microfondo, tanto che non si ha convenienza ad introdurvi le macchine agricole. I terreni sono per la maggior parte coltivati a semina ed a pascolo: all'inizio del secolo i pascoli coprivano circa la metà della Daunia: oggi soltanto il 23 per cento. Si è esteso cioè il territorio a semina ed in conseguenza ne è derivata una riduzione dell'allevamento del bestiame; laddove allora si contavano circa 60.000 capi di bestiame ovino, oggi non se ne contano più di 40.000. È stata viceversa incrementata la produzione del frumento, e vi sono alcune culture legnose specializzate, quali il mandorlo e l'ulivo. Una parte del territorio (6 per cento) è tenuto a cultura boschiva ed il 3 per cento circa, rappresentato precisamente dal promontorio Garganico, che è roccioso, è incolto. Uno dei maggiori cespiti è dunque rappresentato dalla pastorizia e, se la lana della Daunia non può reggere il confronto con quella dell'Australia, è tuttavia rinomata e nel periodo della guerra è stata oltremodo preziosa all'industria italiana. I continui scambi che avvengono tra la Puglia e gli Abruzzi per la massima parte riguardano appunto questa produzione. I greggi vivono d'inverno nella Capitanata, dove trovano pascoli abbondanti; di estate con la siccità i pascoli si inaridiscono ed allora si ha la transumanza, attraverso i fratturi.

Quanto alle industrie, non ve ne sono di sviluppate. Da circa un decennio, vi è stata introdotta l'industria della carta, che rappresenta una caratteristica del luogo, in quanto si ricava la carta dalla paglia di frumento; ma i risultati, a dir vero, non sono molto soddisfacenti. Un'altra risorsa della Regione è costituita dal sale, che si ricava dalle saline di Margherita di Savoia, in ragione del 30 per cento della produzione nazionale. Naturalmente si utilizzano anche i sottoprodotti del sale.

Altra caratteristica della Daunia, che può influire sul suo avvenire, è l'importanza dei suoi aeroporti. È questa infatti una dello ragioni per cui gli Alleati, quando ci imposero l'armistizio, pretesero la libera disponibilità della zona per impiantarvi gli aeroporti, donde fecero poi partire le fortezze volanti. Vi si potranno dunque con facilità creare delle basi aeree commerciali, tanto più che molti degli aeroporti consegnatici dagli Alleati sono ancora in piena efficienza.

La Capitanata ha anche altre possibilità di sfruttamento, perché in questa vasta pianura in cui predomina il latifondo vi sono grandi estensioni coltivate unicamente mediante aratura fatta con aratri che hanno un vomere piccolissimo, il quale smuove soltanto la parte superficiale del terreno. Nonostante ciò, la produzione di frumento è di 12 quintali per ettaro. Dove poi sono stati introdotti nuovi metodi, come quello Ferraguti, con aratura a motore, si sono avute rese ottime. Qualche cosa si era cominciato a fare per il progresso dell'agricoltura, ma la guerra ha interrotto ogni iniziativa.

È interessante rilevare la differenza fra la conduzione agraria della Capitanata e quella del resto della Puglia. Nella Capitanata si ha essenzialmente l'affittanza con braccianti che lavorano giorno per giorno e da questo sistema derivano gravi conseguenze, perché la mano d'opera viene ingaggiata soltanto quando occorre, onde la disoccupazione periodica che determina frequenti disordini. S'impone dunque una trasformazione agraria, tanto più che nella Pucezia e nel Salento vigono sistemi di conduzione agraria diversa.

La zona ha i porti di Manfredonia e di Margherita di Savoia, ma il suo traffico gravita verso quello di Barletta, che costituisce il suo naturale sbocco al mare.

Osserva ancora, per quanto riguarda l'economia, che si può supporre che la Daunia goda di autonomia finanziaria e, se non altro, ha certamente l'autonomia alimentare, tanto più che la sua popolazione è molto sobria. Viceversa, ripete, non vi sono risorse industriali, ove si eccettuino quelle delle saline e delle cartiere, le quali ultime, però, sono state distrutte dalla guerra. Purtroppo il Foggiano ha subìto grandi distruzioni, e le vastissime piste di volo impiantate dagli Alleati hanno prodotto un certo danno all'agricoltura locale. Vi accade quindi l'opposto di ciò che accade altrove: i proprietari mettono le loro terre a disposizione delle Cooperative e queste le rifiutano perché il loro dissodamento, dopo il passaggio dei compressori, richiederebbe un lavoro di anni.

Anche per quanto riguarda il dialetto c'è una differenza notevole tra la Capitanata e le restanti Regioni della Puglia: l'accento è molto più marcato nella Capitanata ed un barese e un foggiano difficilmente si comprendono.

Concludendo afferma che, per quanto lo riguarda ritiene sufficientemente fondata la richiesta di autonomia della Capitanata, la quale, d'altro canto, non trova opposizione nella vicina Provincia di Bari. Che se poi la Sottocommissione non ritenesse di aderire alla costituzione di tale Regione, si potrebbe prendere in considerazione l'altra ipotesi: di riunire, cioè, la Daunia e la Pucezia. A questo proposito però sente il dovere di avvertire che la terra di Bari ha caratteristiche diverse: vi predominano l'ulivo, la vite e il mandarlo, invece del grano e, non vi è latifondo. Bari ha un porto, non naturale, ma sviluppato — specialmente negli ultimi anni — a danno di Brindisi; è la città più popolata della Puglia (oltre 200.000 abitanti) e vanta un tale sviluppo industriale che anche la sua sola provincia potrebbe costituire una Regione a sé stante.

Passa quindi ad illustrare la richiesta di costituzione della regione Salentina, avvertendo che egli appartiene al Salento, ciò che non può non influire sul suo giudizio.

Il Salento, cioè il tallone di Italia, è costituito di tre province: Taranto, Brindisi e Lecce. Il suo riconoscimento come Regione non toglierebbe brani di terra al resto della Puglia. Giova, del resto, tener presente che, mentre la provincia di Bari mantiene un atteggiamento indifferente, la Capitanata e il Salento vorrebbero distaccarsene. Si potrebbe quindi soddisfare il desiderio degli uni senza contrariare gli altri.

Il Salento (Terra d'Otranto), sin dai tempi più antichi, è stato sempre considerato come un'entità territoriale a sé stante, tanto che nella suddivisione in Regioni del periodo di Augusto e nella nuova suddivisione operata sotto Adriano (125 dopo Cristo) fu sempre conservata la distinzione tra Apulia e Salento.

Dagli studi sul periodo paleolitico risulta l'esistenza nella zona di una popolazione autoctona, di civiltà particolare: i Messapi, che avevano un alfabeto proprio di cui ancora non si conosce la chiave, nonostante si siano ritrovati molti scritti. I Messapi costituirono la prima popolazione e furono poi seguiti dai cosiddetti Salentini, i quali dettero molto filo da torcere ai Romani, finché questi ultimi, dopo aver vinto Pirro e essersi impadroniti di Taranto, fecero una spedizione contro di essi riuscendo a vincerli nel 268 avanti Cristo.

Si tratta di una zona ove si notano caratteristiche completamente diverse da quelle delle terre di Bari e di Foggia. In primo luogo, la popolazione ha caratteri somatici diversi; il suo dialetto è completamente differente dal barese e dal foggiano e ricorda in parte quello siciliano e in parte quello calabrese. Il Salento ha una letteratura dialettale non trascurabile: ma, a parte ciò, in Lecce, Brindisi e Taranto lo sviluppo culturale è molto superiore a quello delle altre parti della Puglia. Lecce soprattutto ha delle velleità letterarie e si compiace nel sentirsi definire la Firenze delle Puglie, perché i leccesi riescono a perdere completamente l'accento e ritengono di parlare un italiano abbastanza buono.

Le risorse principali della zona sono l'olio, il vino e il tabacco.

Per quanto concerne l'olio cita un solo dato, per dare una idea della possibilità di autonomia finanziaria: per il contingentamento, l'anno scorso la zona salentina fu impegnata a consegnare 150.000 quintali di olio. Non è quindi azzardato supporre che ne producesse almeno il doppio.

Il vino ha doti particolari, che determinano frequenti scambi con la Lombardia. Si tratta di vini molto pesanti, che vengono poi tagliati e resi bevibili.

Solo recentemente si è introdotta nel Salento la cultura del tabacco. I primi tentativi di coltivazione del tabacco in Italia furono fatti appunto nella penisola salentina, ma si sono avuti dei successi soltanto dopo varie prove e fallimenti. Tale coltivazione dà alla zona vantaggi notevoli, perché l'essiccazione, la scelta e l'imballaggio delle foglie offre lavoro alle tabacchine per tutto l'inverno, risolvendo in parte il problema della disoccupazione invernale. Tanto maggiore è l'importanza di questa cultura, in quanto le terre che vi sono state destinate non erano adatte ad alcun'altra. Perciò oggi la zona sente incombere come una grave minaccia il tentativo da parte dell'Amministrazione dei monopoli di spostare la coltivazione del tabacco in altre zone più adatte.

Le città principali del Salento sono Taranto, Brindisi e Lecce. Quindi, oltre alle risorse citate, vi è quella costituita da Taranto, base marittima dotata di un cantiere molto importante, di cui anche gli Alleati hanno potuto constatare l'efficienza durante l'ultimo periodo della guerra, facendovi riparare molte navi della loro flotta. Tale cantiere consente di offrire lavoro a moltissimi operai e, mentre prima questi vi affluivano dalla Liguria e da altre zone industriali, oggi le maestranze specializzate si trovano anche sul posto.

Brindisi offre il vantaggio di essere un porto commerciale naturale dei più sicuri. Recentemente è stato ingiustamente svalutato dal fatto che Bari, profittando di un Ministro dei lavori pubblici barese, si è fatto costruire un grandioso porto artificiale, non curando che a pochi chilometri di distanza esisteva il magnifico porto di Brindisi che avrebbe potuto, con minore spesa, essere utilizzato. Pertanto una delle ragioni per cui non solo Lecce, che era l'antica capitale della regione, ma anche Brindisi e Taranto tengono molto alla autonomia, è che sarebbe loro consentito di realizzare pienamente le loro risorse che finora sono state assorbite dalle spese eccessive fatte per Bari.

Sottopone alla Sottocommissione un'istanza firmata da sette deputati della zona, appartenenti a vari partiti, per ottenere il riconoscimento del Salento come Regione autonoma, accompagnandola con le sue raccomandazioni più vive. Aggiunge che nel Salento è molto alto il concetto dell'unità e la Regione è completamente estranea ai disordini che si sono verificati in Puglia. L'aspirazione all'autonomia trova una giustificazione anche nella popolazione, superiore ad un milione e centomila abitanti, e nella superficie di oltre 700 mila chilometri quadrati.

Concludendo, può assicurare i colleghi che non debbono temere questa suddivisione della Puglia, perché le popolazioni di Lecce, Bari e Foggia si sono sempre considerate come facenti parte di tre organizzazioni diverse. Del resto, è anche molto notevole la distanza che intercorre fra le tre città.

Ove la Sottocommissione non ritenesse di accogliere la richiesta della Capitanata, raccomanda, quanto meno, di distaccare il Salento dalla Puglia vera e propria, cioè dalle province di Foggia e Bari.

L'aspirazione del Salento a costituirsi come Regione autonoma è assai antica. Una richiesta in tal senso fu avanzata sin dal 1860, all'epoca, cioè, dell'unificazione d'Italia. Gli abitanti della zona hanno sempre tenuto a chiamarsi Salentini; «Salentine» furono chiamate le ferrovie costruite nella zona da una società all'inizio del secolo. L'aspirazione del Salento a costituirsi in Regione è stata sempre sostenuta senza chiasso o violente manifestazioni esteriori, ma con fermezza e decisione, perché la popolazione locale è stata sempre amante dell'ordine e ha un innato rispetto dell'autorità costituita. Gli abitanti del luogo sono convinti che la loro aspirazione non possa nuocere all'unità del Paese, raggiunta dopo tante fatiche e sanguinose lotte, a cui gli stessi Salentini hanno partecipato, e che essi quindi vogliono che ad ogni costo sia mantenuta.

Nobile, pur essendo contrario alle autonomie regionali, sarebbe favorevole alla costituzione delle nuove Regioni pugliesi, perché riguardo al Mezzogiorno che può considerarsi un'unica Regione in cui si parla sostanzialmente con poche varianti di accento un solo dialetto, il napoletano, ritiene che l'ordinamento dello Stato su base regionale sarà tanto meno pericoloso per l'unità nazionale quanto più numerose e piccole saranno le nuove Regioni. Sarebbe davvero un grave pericolo per il Paese se, con poche Regioni assai estese, si venisse di fatto a ricostituire il Regno di Napoli sotto l'apparenza di un ordinamento regionale autonomo.

Il Presidente Terracini osserva che i due ultimi argomenti prospettati dall'onorevole Codacci Pisanelli non suffragano la sua tesi. L'estensione della Puglia poteva essere nel passato un motivo per indurre a costituire più Regioni nell'ambito dell'attuale circoscrizione regionale pugliese; non più oggi, col grande sviluppo dei mezzi di comunicazione. Circa il traffico dei porti, poi, rileva che sarebbe oltremodo dannoso allo sviluppo economico della Nazione se le Regioni tentassero con proprie disposizioni interne di deviare le correnti del traffico dalle loro vie normali. Non è già per migliorare soltanto le condizioni economiche delle Regioni, ma anche e soprattutto per avvantaggiare l'economia unitaria del Paese che oggi si vuole instaurare un ordinamento dello Stato su base regionale. Ciò, a suo avviso, non dovrebbe mai essere dimenticato.

Codacci Pisanelli fa osservare al Presidente che, con il suo accenno alla lunghezza del territorio pugliese, egli mirava soltanto a dare un'idea della profonda diversità esistente non solo nel carattere delle popolazioni, ma anche nell'economia delle varie zone territoriali comprese nell'attuale circoscrizione regionale della Puglia.

Quanto alle correnti del traffico, è d'accordo col Presidente che esse non debbano essere distolte dalle loro vie naturali; ma la via naturale del traffico nel caso attuale non è quella che conduce a Bari, bensì quella di Brindisi, che è stato sempre il porto più sicuro e frequentato sul litorale adriatico, sin dai tempi dell'antica Roma. Solo durante la dittatura fascista fu costruito il porto artificiale di Bari, per far deviare verso di esso la corrente del traffico che naturalmente convergeva al porto di Brindisi. Sarebbe opportuno che ciò oggi non si ripetesse più, tanto più che il porto di Bari in gran parte è stato distrutto durante gli ultimi avvenimenti bellici.

Il Presidente Terracini mette in votazione la preposta di costituire la Regione del Salento.

Nobile dichiara di astenersi dalla votazione.

(È approvata).

venerdì 28 maggio 2010

Le basi di massa

Di Nicola Zitara

Chi guardi anche al panorama politico del Sud anche nelle minuzie, può agevolmente notare che esistono e vanno sorgendo delle formazioni partitiche all'insegna di un forte autonomismo meridionale - come l'Mpa di Lombardo - o del tutto propugnanti il separatismo tra Sud e Paese restante. Ovviamente si tratta di una reazione 'nervosa' alla tracotanza della Lega stronzobossista e alla simmetrica propensione dei governi nazionali a piegare le ginocchia di fronte a richieste persino illecite, come quella riguardante le multe sull'eccesso di produzione lattaria.

Che la Stronzolega voglia veramente la secessione è cosa poco credibile, in quanto il sistema economico padano si alienerebbe il suo più devoto cliente, che è il Sud deserto d'industrie e anche d'agricoltura. Il Nord vuole togliere a Roma il comando sulla spesa pubblica, e il progetto sta andando avanti a vele gonfie. Il futuro resta, però, tutto da vedere. Non saranno sicuramente le formazioni politiche meridionali a incidere sugli eventi in quanto, nella sostanza, si tratta di voci fioche, di circoli - più che personali - di tipo epistolare attraverso Internet.

Il problema dell'unità d'Italia è vecchio quanto la stessa unità, in quanto il capitalismo della Liguria-Toscana-Lombardia-Piemonte usò l'unità per costruire al Sud una colonia di consumo e sovrappopolazione. Ciò nonostante il Sud costituisse, con le sue produzioni ed esportazioni agricole, la prima e più efficiente fonte della ricchezza nazionale. E' da allora che la colonia è in attesa di un moto di liberazione. Cosa che non fu il Meridionalismo nelle sue varie vesti di liberale, cattolico, socialista, dovendosi considerare questo moto piuttosto un'invocazione all'equilibrio fra la parte egemone del Paese e la parte soggiacente.

L'illusione meridionalistica sopravvive ancora in pochi. Credo anche che questi pochi la usino con poca convinzione, e solo come un ritrito argomento di dibattito con i loro avversari più convinti. Al contempo la separazione è un problema di tempo: degli anni che occorreranno per convincere le popolazioni meridionali a fondare - o meglio rifondare - uno Stato indipendente. In questo senso, i partiti sono necessari. Sarebbe assurdo dire no al proliferare di formazioni neoborboniche o indipententiste. Il problema riguarda la struttura dilatata, internettista che propendono ad assumere. Senza negare questa, bisogna pensare all'aggregazione diretta, personale, su base paesana, di quartiere, di vicolo, come fece, dopo la Liberazione, il Partito Comunista con le cellule locali.

Bisogna radicarsi sul territorio come fanno la Chiesa e gli uffici postali.

E pensare che noi siamo di 100 anni più vecchi!!!

(Fonte www.20minutos.es)


Il Presidente della Generalitat, José Montilla , ha detto il Sabato che 650 anni della Generalitat giustificare che la Catalogna è una nazione che non è un'ossessione o un capriccio, ma la storia, la volontà di auto-governo, cultura e la lingua sorgono gli argomenti per dire: "siamo una nazione".

Per Montilla, dicendo che la Catalogna è una nazione, i cittadini e le istituzioni catalano vuole esprimere che cosa "siamo e cosa vogliamo rimanere" non solo "noi chiediamo il riconoscimento costituzionale".

autogoverno non è un accidente della storia ma ha ribadito la volontà dei catalani

Secondo Montilla, il sé non è un accidente della storia , ma ha ribadito la volontà dei catalani al punto che, insieme con una propria lingua e la cultura, l'autogoverno è una delle definire l'essenza dei catalani come popolo.

Montilla, che è il presidente della Generalitat 128, ha presieduto l'evento ufficiale Sabato a celebrare i 650 anni della Generalitat della Catalogna, come nel 1359, il Tribunale di Catalogna, svoltasi a Cervera (Lleida), ha approvato la costituzione del nome del vice , lo sfondo storico della Generalitat corrente.

Montilla ha detto che la continuità e la validità della prima istituzione della Catalogna si manifesta attraverso lo Statuto del 2006 , ora in attesa della Corte Costituzionale.

CAVIE!

L’italia è sempre stata un laboratorio politico europeo. Ho usato il termine laboratorio, non come nobilmente è stato usato più volte negli ultimi anni dai politici nostrani, ma inteso come termine per identificare un posto dove si elaborano esperimenti e si catalogano le reazione delle cavie. Noi italiani per l’europa, siamo le cavie!

Nell’ultima tornata elettorale, per gli europei, è stata più fragorosa la vittoria della Lega che la sconfitta di nicolas sarkozy.

Ma oltre all’aspetto politico, anche se di rilevanza internazionale, vengono presi in esame anche gli aspetti economici.

L’italia, per la cultura apatica e sottomessa degli italiani, è la nazione dove si può enfatizzare la dose da sperimentare per constatarne gli effetti estremi.

Gli interessi economici degli europei hanno ingigantito da prima la GDO (grande distribuzione organizzata – la parola mi ricorda tanto la “nuova camorra organizzata” di cutolo) creando per il popolo italiano (almeno per gran parte di quello meridionale) unico luogo per acquisto di beni di prima necessità. Giusto per non commettere spudoratamente i loro interessi, hanno creato vari loghi per dare una parvenza di concorrenza, (auchan, conad, coop, carrefur, ecc.) anche se dietro ci sono solo due centri GDO italiani.

In primo luogo questo ha comportato una predominanza sul mercato di pochi, riuscendo a governare il mercato della domanda e dell’offerta a loro piacimento, costringendo fornitori ad applicare i prezzi da loro richiesti ed i clienti a comprare quello per loro più vantaggioso.

La loro massiccia presenza, comporta inoltre una pressione maggiore nell’influenzare le abitudini della vita dei cittadini, valutandone, come se fossimo tutti cavie, le reazioni a politiche da adottare in altri luoghi.

L’ultimo confronto, ha provocato un quasi incidente diplomatico, ma forse era tutto voluto politicamente.

Gli israeliani, mi riferisco ai politici, sono, come sempre, padroni del mondo e come tali si comportano, la riconferma di questo loro ruolo è l’atteggiamento di sudditanza del resto del mondo, che condiscendono a tutte le volontà del governo ebreo. Guai infine a paragonare qualsiasi strage alla, purtroppo vera e tragica shoah, ma in genere tutto e tutti non possono ritenersi degni di poter criticare qualsiasi cosa rientri nell’aspetto ebro o intacchi la sovranità di Israele.

Come proprietari dei territori a loro affidati, a discapito dei palestinesi, hanno ben pensato (sempre i politici israeliani) di estendere i loro territori anche nella più fertile zona palestinese. Atteggiamento che gli è costata anche la TIMIDA reazione di ammonimento da parte della UE.

Per accordi commerciali, e per la solita sudditanza, Israele può esportare i suoi prodotti in europa non pagando dazi doganali, agevolazione valida per i prodotti provenienti dai territori LEGALI di Israele.

L’invasione Israeliana nei territori fertili ha dunque arrecato notevoli vantaggi economici, incrementando la dose di ILLEGALITA’ che il governo israeliano è abituato a compiere.

Alcuni centri commerciali italiani hanno ben pensato di non vendere i prodotti commercializzati dalla Agrexco, la principale esportatrice di prodotti da Israele. Salvo però, ribadire che era una scelta commerciale per prodotti fuori stagione.

Ancora una volta una scelta imposta dalla GDO. Ma se per una volta fosse il popolo a decidere?

Se per una volta il popolo meridionale decidesse di non comprare più i prodotti di tutte le società del nord che sfruttano i territori occupati del meridione per trarne vantaggi ILLEGALI?, se per una volta i pugliesi comprassero l’olio dal frantoio sotto casa, anziché andarlo a comprare all’Auchan da un produttore che impone il prezzo delle olive agli stessi agricoltori pugliesi? Se per una volta il pomodoro di Vittoria, venisse coltivato per i siciliani? Se per una volta ogni meridionale si rendesse conto che per una svolta del sud, bisogna comprare I PRODOTTI DEL SUD?

Uno dei punti che segnano il NON SVILUPPO di un territorio è proprio l’imposizione ed il favorire della prolificazione dei centri commerciali di smercio monopolistici della GDO.
Guardandoci dall'alto sembriamo tante cavie, che girano nelle gabbiette che i nostri scienziati hanno predisposto.

sabato 22 maggio 2010

CIAO ITALO CELORO


Quando una persona ci lascia, ricordiamo sempre un episodio, una sua frase. ed io voglio salutare il grande Meridionalista ITALO CELORO, stabiese, attore, registra, scrittore, con una frase che mi disse ultimamente: "Sono sempre stato un meridionalista, prima soffrivamo in silenzio, perchè potevamo essere associati a terroristi che attentavano all'unità nazionale, colpa anche della presenza delle Brigate Rosse, ma ora No! ora è il momento di uscire allo scoperto, e lottare per ridare al meridione quello che gli spetta!"

Italo, grazie per le emozioni che hai regalato a tante persone, e ciao.

venerdì 14 maggio 2010

2^ Italian celebration t-shit


Continua la "collezione" delle maglie per la celebrazione del 150° anniversario dell'invasione sabauda del Regno delle Due Sicilie.








mercoledì 12 maggio 2010

CELEBRIAMO I 150 ANNI DI UNITA' D'ITALIA


Salvatore de Crescenzo

E' giusto dare un tributo a quanti hanno DAVVERO realizzato l'unità d'italia.
tutti dovrebbero avere una maglietta con gli "eroi" del 1860, quelli che, come ha detto il NOSTRO presidente Illustrissimo Giorgio Napolitano, hanno reso possibile il risorgimento senza il quale oggi saremo nel buio totale!!!
iniziamo con la prima "italian celebration T-shit" dedicata al Tore 'e criscienzo al secolo Sig. Salvatore de Crescenzo .
il primo grande camorrista che si conosca.
era il 1860 quando il prefetto LIBORIO ROMANO (A cui dedicheremo la seconda italian celebration t-shit) affida al noto guappo Salvatore de Crescenzo, prelevandolo dalle galere, la guardia cittadina, per riportare ordine e combattere i rivoltosi (i fedeli del Re Francesco II), dando così inizio alla CAMORRA ORGANIZZATA.
Questo grande prefetto, assegnò alla CAMORRA un ampio potere ed una coccarda tricolore, (simbolo ieri come oggi della vera criminalità). Fu dunque Tore 'e Criscienzo ed i suoi guappi ad aprire le porte della città di Napoli al suo superiore, il nizzardo Garibaldi.

Celebriamo l'unità d'italia con il primo eroe italiano Tore 'e Criscienzo, e stampiamo tutti noi la prima ITALIAN CELABRATION T-SHIT




mercoledì 5 maggio 2010

NON DIMENTICHERO' I 150 ANNI DI UNITA'

Come si può dimenticare…, una violenza che ancora è in atto.
150 di violenze, fisiche, morali, sociali ed economiche.
Me ne fotto del nizzardo, dei SaBoia che ancora oggi chiamiamo principi, sono episodi avvenuti nel lontano 1861, scritti da ottusi giornalisti dell’epoca, padri degli ottusi e prezzolati giornalisti di oggi.
ma bisogna riflettere sulle parole del presidente napolitano (carica politica che vale come il 4 alla briscola) “bisogna riflettere da dove veniamo, cosa eravamo, cosa siamo diventati, e dove andremo”
Bhe! al Sud avevamo ricchezza ed industrie, non conoscevamo emigrazione, e la mafia era un semplice problema di “guapperia”.
in 150 anni, sono state chiuse le fabbriche, ostacolato l’economia rurale, favorito l’emigrazione, e dato ampio potere alle mafie del sud; le realtà produttive che nel corso dei 150 anni si sono formate, o erano ben radicate nel territorio da poterle trasportare al Nord, come è stato fatto nel 1861, sono state statalizzate prima, e privatizzate poi, a favore (con costributi statali) degli imprenditori del nord; La più grande Banca d’italia (il banco di Napoli, è stato REGALATO ai piemontesi); il Sud italia è un enorme bacino sfruttato dall’economia settentrionale, dove attinge forza lavoro, e guadagni facili grazie all’eterna EMERGENZA MERIDIONALE; ancora oggi nel sud italia si aprono siti produttivi di industrie settentrionali che sfruttano gli incentivi statali, e che magicamente chiudono dopo 5 anni.
dove andremo? con il federalismo fiscale il sud italia morirà prima economicamente e poi socialmente, si stanno creando i presupposti per una rivoluzione che potrà scoppiare nel corso dei primo 5 anni di federalismo.
E’ bene ricordare che il sud italia, grazie ad enel, telecom, fiat, eni, assicurazioni, supermercati, ecc. versa nelle casse del nord più di 60 miliardi di euro ogni anno (alla faccia della palla al piede!!!)
COME POSSO DIMENTICARE 150 ANNI DELL’UNITA’ D’ITALIA!!!
Nello, dal territorio occupato del meridione d’italia