martedì 30 giugno 2009

Perché il Re?

Ricevo e pubblico da Zitara

A quel che si sente dire, nella prossima settimana, si coagulerà un partito del Sud, espressione del personale politico siciliano e meridionale messo alle strette dalle restrizioni che il governo bossista va operando sulla spesa pubblica meridionale allo scopo di gonfiare quella settentrionale.
Se è questo il motivo della nascita di un partito del Sud, tanto valeva fondarlo negli anni Settanta, allorché ci si poté rendere conto che i governi italiani nella scelta tra industrializzare il Sud o portare avanti il grande capitalismo industriale e le centrali bancarie settentrionali, preferirono la seconda opzione.
Alimentato lo scempio del terremoto dell’Irpinia per motivi esclusivamente democristiani o socialisti, il festino si è chiuso, né ha prospettive di future edizioni.
Dal 1860 al 1971 il Sud ha pagato in denari contanti per lo sviluppo e l’occupazione del settentrione, allo scopo di innalzare il grado di partecipazione all’assetto statualistico delle nazioni europee. Non sono stati soldi spesi male, siamo felici di dirlo, ma vorremmo anche essere ringraziati, cosa che non avviene. Il Sud non ha bisogno del Nord e può crescere sulle proprie gambe (come avveniva prima dell’unità), sempre che sia messo in condizione di governare i propri surplus economici annuali, invece che conferirli alle centrali bancarie di Torino, Milano e Firenze.
Il partito che sta per nascere, e ci auguriamo che nasca, perché comunque innescherà uno scontro di opinioni. Il problema essenziale del Sud è costituito dal 25% della sua popolazione in età di lavoro – che non trova lavoro moderno- cioè circa 3 milioni di disoccupati veri ed occulti. Il compito della futura classe dirigente meridionale consiste nel colmare questa enorme frana, ma l’eredità che l’attuale classe dirigente porta dentro di sé, è delle peggiori, per dirla senza infingimenti di sorta, sono la corruzione e il menefreghismo di fronte all’interesse collettivo. Il meridione non ha bisogno di giochi di potere, ma di restaurare, dopo centocinquant’anni di corruzione cavurrista, la sacralità della legge e dello Stato, e ciò può discendere solo dal ritorno della monarchia legittima, sulla formazione di una aristocrazia politica, colta e onesta, che riprenda in mano il governo del paese meridionale. Di una rappresentanza popolare selezionata in modo nuovo, che faccia da setaccio all’autorità amministrativa.
Gli interessi divergenti tra Napoli e Palermo, che furono la causa della sconfitta dell’esercito borbonico del 1860, sono superati dall’evoluzione del quadro generale instauratosi nel Mediterraneo che si va ulteriormente assestando. E’ tuttavia un legittimo diritto dei siciliani decidere se stare con le popolazioni italiote del vecchio Regno o se creare uno stato proprio.
Nicola Zitara

martedì 16 giugno 2009

COLONIA DEI FERROVIERI

Promettere, cercando di non dimenticare nessuno che possa godere di un progetto, protrarre la discussione fino alla campagna elettorale ed iniziare i lavori solo dopo la rielezione a Sindaco di Castellammare di Stabia, Questa è politica!!!
Si tira in ballo nuovamente l’ex colonia dei ferrovieri, si propone di farla diventare o un centro per anziani (Voti!!!) o un ostello per la gioventù e centro per la cultura destinato ai giovani stabiesi (altri voti!!!) o un super albergo di lusso (guadagni sicuri per le casse comunali e buon merce di scambio per …voti!!!)
La politica, anzi il pensiero dei politici è volto solo ai consensi elettorali, ed a conferma di quello che dico si può constatare come negli ultimi periodi, alla luce dei risultati elettorali, si vedono le alleanze/riappacificazioni fra vari partiti stabiesi.
Poco importa se già è stato deciso cosa dovrà diventare l’ex colonia dei ferrovieri, (chissà forse vedremo fra 4-5 anni un bel HOTEL MARRIOT STABIAE, albergo superlussuoso, chissà forse il Sindaco ha già contattato qualche albergatore che nella nostra zona rappresenta qualche catena alberghiera per constatare la fattibilità del progetto) , l’importante è recuperare consensi elettorali aprendo un dibattito cittadino, e coinvolgendo il popolo in una discussione pilotata.
La ricerca di consensi politici con la realizzazione di opere pseudopubbliche, porta benefici fittizi ai cittadini, che vedono nuove strutture ma non possono trarne benefici diretti, magari anche passeggiando la dove prima c’era uno spazio aperto.
Per esempio con la delocalizzazione delle risorse turistiche, Marina di Stabia, si lascia nel centro cittadino il porto industriale, (tendenza opposta a tutte le realtà di riqualificazione del water front di diverse cittadine europee), quindi da una parte un oasi di ricchezza non fruibile vista la posizione infelice (stiamo parlando quasi di Torre Annunziata!!!) ed un'altra inaccessibile ora e dopo la ristrutturazione perché è, e sarà sempre, luogo di carico e scarico merce dalle navi (il porto ed i sottoservizi sono strutturati per questo), quindi non si può parlare di una riconversione turistica della città se prima non si creano i presupposti, anzi si distrugge quello che di buono c’era.
La “donazione” di parte del litoraneo pubblico “ex calce e cemento” a società con sede legale al nord per la realizzazione di altri spazi chiusi alla cittadinanza, anzi al popolo stabiese.
Palazzo Reale. Troppo lontano per poter promettere alla popolazione qualcosa di concreto, meglio scaricare le pene alla Regione Campania!!!
In ultimo con la realizzazione del futuro albergo superlusso “ex colonia dei ferrovieri” si occluderà un ulteriore spazio che forse andrebbe sfruttato diversamente.
Ma cosa farne allora dell’ex colonia dei Ferrovieri?
Vista la posizione e la struttura, creata per essere ricettiva, sarebbe difficile prevederne un utilizzo diverso, ma sicuramente qualcosa per la popolazione può essere fatto.
In diverse città Europee sono nate le residenze di sviluppo, studio e compagnia.
In effetti sono luoghi in cui gli anziani, ancora fisicamente autosufficienti vanno ad abitare, ed in cui trovano come coinquilini giovani non sposati ed in cerca di prima casa. I primi coltivano il proprio orto, insegnando ai secondi l’arte dell’agricoltura, o l’arte della professione da loro esercitata in passato, mentre i secondi ricambiano regalando il proprio tempo libero, per fare la spesa, per sbrigare una pratica burocratica, o magari per un po’ di compagnia per vedere una partita di calcio in televisione.
L’ente cittadino avrà il compito di controllare, stabilire le condizioni per accedere al servizio ed effettuare costantemente (in alcuni casi sono stati realizzati uffici in loco) il mantenimento di tali requisiti, e naturalmente la banca del tempo è un requisito a cui i giovani e gli anziani non possono sottrarsi per accedere alla residenza.
Certo questa è solo un idea, sono sicuro che a tanti potrebbe piacere, ma “i tanti” non sono la politica, sono semplicemente il popolo.
Nello Esposito

venerdì 12 giugno 2009

REDAZIONE DUE SICILIESaviano: ecco le storie disperate di un Sud sempre meno europeo

Ricevo e pubblico da redazione due sicilie



Saviano: ecco le storie disperate di un Sud sempre meno europeo
di Marco Alfieri


11 Giugno 2009
Roberto Saviano


«La questione meridionale, in fondo, continua a esistere». Siamo sempre lì, «al vecchio Giuseppe Mazzini, che ai nuovi militanti della Giovane Italia diceva: ricordatevi, l'Italia sarà soltanto quel che sarà il sud Italia…». Cos'altro è, dopotutto, «quella tragica diaspora di cervelli campani, pugliesi, calabresi o siciliani verso il nord che interrompe la speranza di migliorare il mezzogiorno, se non questione meridionale? Certo, la politica ha buon gioco a passarla sotto silenzio. Ma ci sono interi territori, paesi, che si stanno svuotando nel silenzio dell'opinione pubblica e dei media. Purtroppo sono rare le persone di talento che riescono a restare al sud. Il cinismo e l'apatia ti divorano. Che tu sia fabbro o musicista, quando tutto diventa impossibile, la quotidianità o anche solo una serata da passare in tranquillità, non puoi far altro che galleggiare, e appagarti di tutto…». L'altro ieri, per Mondadori, è uscito il nuovo libro di Roberto Saviano.

S'intitola La bellezza e l'inferno e raccoglie una serie di articoli e racconti brevi 2004-2009. Lo scrittore che ha svelato al mondo gli orrori e le miserie di Gomorra, ieri è venuto al Sole 24 Ore, e ha discusso con noi di politica, di economia, di criminalità, di bellezza, che è poter continuare a scrivere «ai miei lettori. A chi ha reso possibile che Gomorra divenisse un testo pericoloso», come sta scritto nel frontespizio di copertina del suo libro. Certo in una vita costretta. E di inferno, o almeno di un suo spicchio perverso: i brogli di Napoli, l'incendio siciliano a poche ore dal voto, e «l'astensionismo che ha paralizzato mezzo meridione, impedendo a molta gente di partecipare in modo pulito alla cosa pubblica».

Dice Saviano «che il sud continua ad essere un bacino enorme di voti facili, acquistati a poco». Una prassi consolidata, il voto di scambio, «ma ai tempi della Dc e del Psi era centrato su un baratto chiaro: un voto, un lavoro. Adesso lo scambio è costruito sui 50 euro. Sui 25 euro. Sul telefonino nuovo. Sul corso di formazione. Sono queste le nuove monete della politica meridionale. Tutto è svilito, svalutato».

Per Saviano l'astensionismo nasce da qui. «Lo dimostra come sia stato più alto alle Europee dove c'era meno da guadagnarci dal voto. Alle amministrative, invece, al seggio ci vai, perché in questo modo ti risparmi un mese di mutuo, o una spesa al supermercato pagata». Non sono esempi a caso quelli di Saviano, ma è la mappatura delle forze dell'ordine su questa terribile peste che è il voto di scambio. «Solo che c'è un salto di scala fortissimo rispetto ai tempi di Giovanni Falcone. Oggi i cartelli sanno che la politica va gestita con enorme cura. Non mettono più loro uomini direttamente, ma fanno al modo delle grandi corporation, in grado di fare pressioni sulla politica con il loro business economico. Le cosche hanno in mano il ciclo del cemento, dei trasporti, del petrolio». I punti nevralgici. «Ovvio che riescano ad indirizzare il consenso e i voti senza quasi sporcarsi le mani».

Ma così la politica diventa qualcosa di inutile, «che ti da un sollievo momentaneo, come quello dei pusher». Un placebo corruttivo. «E poi svaluta tutto. Chiunque vada su, poco cambia. Tanto rosso o nero che sia, sappiamo bene dietro chi comanda. Tanto più nella politica locale, dove la criminalità organizzata cerca la trasversalità. E non si salva nessuno». Nessuno.

Dice Saviano che lo stesso voto europeo «ha riacceso gli appetiti sulla grande fame di capitali pubblici per sostenere intere strutture di welfare che lo stato italiano non è più in grado di mantenere. Questa è oggi l'Europa vista dal meridione: una nuova grande Cassa del mezzogiorno. A Napoli, Reggio Calabria, Bari, Palermo, i fondi Ue servono per tenere insieme i corsi di formazione, la disoccupazione, le clientele e le attività sportive». Per questo il cambiamento elettorale alla provincia di Napoli fa pensare molto Saviano. «È difficile credere, dopo quel che è successo sui rifiuti e l'attenzione sui cartelli criminali, raccontata in mondovisione, che a Napoli si sia fatta una campagna elettorale senza citare mai una volta, la parola camorra. Mai, dico mai, un riferimento alle contraddizioni della criminalità organizzata. Mai un accenno al ciclo del cemento, o al fatto che molte persone coinvolte nella campagna hanno avuto problemi enormi con i cartelli criminali».

Purtroppo, invece, «prevale il cinismo che nasce dal quotidiano campare», dice Saviano. «L'idea che chi vuole che le cose cambino in realtà sta solo speculando sulle tue aspettative». A tutto questo contribuisce una politica ridotta a merce di scambio. «Un tremendo suk. E non è moralismo il mio, badate. La politica, lo insegnano gli anglosassoni, è anche affermazione delle proprie ambizioni e del proprio talento. Ma questo non significa rubare o saccheggiare, dovrebbe essere anzi uno stimolo a gestire meglio la cosa pubblica».

Com'è lontana l'America, per Saviano. «Democratici o Repubblicani, fa lo stesso. Piena di passione, di speranza. Da noi è ridotta ad un pantano. Lo diceva già Giustino Fortunato: al sud fa politica di solito il più brigone, il più furbo. Il figlio più di talento, fa l'imprenditore. O se ne va».

Invece l'ultima volta che Saviano ha sentito un tuffo al cuore è stata quella volta al Circo Massimo, ottobre 2003. «I tre milioni di Sergio Cofferati. Perché se non parla al cuore, se è a cuore freddo, la politica è finita. Spacciata». Per questo, «mi chiedo: ma davvero l'elettorato meridionale non si rende conto di quanto siano infettati molti suoi amministratori? Io non lo credo. Perché poi il 50 euro del voto di scambio ti torna indietro con interessi usurai quando ti intombano i rifiuti vicino a casa, o gli scarti tossici sotto le scuole dei tuoi figli, come in Calabria, o nelle discariche satolle in Campania, o quando sei costretto ad emigrare o a lavorare militarizzato nei cantieri».

Non solo sud, dice però Saviano. Perché il grande intreccio sale e sale come la linea della palma di Leonardo Sciascia. Ogni anno, si mangia un pezzetto di Stivale. «Il problema è proprio questo. Al nord cittadini e istituzioni non hanno cognizione vera della piaga. Al nord la mafia non è un problema sociale, come a Scampia, a Casal di Principe o a Locri, ma economico, perché ormai le mafie investono quasi solo qui. Al sud, non le conviene. Lo dicono i rapporti del Procuratore nazionale antimafia».

Siamo alla grande spartizione. «La ricostruzione dell'Abruzzo alla camorra, l'Expo di Milano alla n'drangheta». Come? «Una sola parolina magica: sub-appalto. La grande impresa pulita vince la gara, ma poi, dietro, chi fornisce il calcestruzzo? Chi le pale meccaniche? Chi i carpentieri? E chi ti fa il massimo ribasso del 40%?». Già il pool antimafia di Antonino Caponnetto lo diceva: «se l'unico criterio di aggiudicazione è sempre e solo il minor costo al minor tempo possibile di realizzazione, vinceranno sempre loro, le imprese colluse».

Ma dice Saviano che con la crisi salirà ancora la linea della Palma. «Gli studi dell'Onu ci dicono che la grande recessione sta spingendo il narcotraffico ad entrare nelle banche europee. La liquidità sta per finire lì dentro, con una certa perversa lungimiranza. Perché non entrano per impossessarsene. Ma per orientare e governare la ripresa economica, dirottando i flussi finanziari su quelle attività e quei settori d'impresa che decideranno le sorti del paese domani».
Nemmeno si può fermare questa peste solo con le belle parole. «Le associazioni, le denunce, i manifesti, gli appelli. No. Solo il business sano scaccerà i soldi marci. Solo se rendi conveniente fare i soldi puliti si riesce a sconfiggere Gomorra». Oggi pagare l'estorsione paradossalmente conviene. «In cambio hai sicurezza sul posto di lavoro, garanzia di consegna nei tempi dei Tir, le assicurazioni a sconto, uno sportello prestiti senza interessi usurai, i permessi per aprire i locali e i prodotti della spesa in offerta, come il latte, che i casalesi compravano da Parmalat al 30% in meno».

E poi l'inferno, come un pezzo di titolo del suo nuovo libro, per Saviano «è sempre più l'idiozia della classe dirigente meridionale, convinta che se si denuncia il marcio si allontanano gli investimenti. Parliamo del bene, non del male, dicono. Parliamo di turismo, non di camorra. Ma questa è una colossale bugia. Perché non puoi incentivare il turismo se distruggi le coste, o se il circuito viene alimentato con i soldi sporchi».

«È come se parlando del male tifassi per il male», s'immalinconisce Saviano. «Un'accusa che viene fatta a me e ai tanti maestri di strada che provano a cambiare le cose, ma che proprio non sopporto. Quasi fosse la missione di un fissato, di un mistico». Per questo, ripete, ci vuole la convenienza, anche utilitaristica, a fare business pulito.

«E' la Silicon valley che si deve fare nel sud. E questo lo possono fare solo grandi aziende illuminate. Chi ha uno spirito diverso, come Adriano Olivetti, che arrivò a Napoli e fece costuire piccole villette per i suoi dipendenti vista mare». Non un dettaglio romantico. «Già Eleonora Pimentel De Fonseca istituì il diritto di ogni napoletano a vedere il mare, che poi era il modo per fermare il futuro abusivismo». I rivoluzionari partenopei e Olivetti. «Ripartiamo da qui», dice Saviano. «Dal migliorare le piccole cose della vita quotidiana: i bus che arrivano in tempo, il laboratorio di analisi che funziona… Una quotidianità infernale ti peggiora solo, ti abbruttisce. Né basta per salvarsi il blasone della storia, o una cultura grandiosa alle spalle. Sarebbe solo un grande alibi…».