lunedì 9 novembre 2009

IL DECLINO DEL SISTEMA BANCARIO MERIDIONALE

BIBLIOTECA NAZIONALE DI NAPOLI
12 novembre 2009 ore 16.30
Sala Rari
Piazza del Pebliscito, 1
Presentazione del libro di
EMILIO ESPOSITO e ANTONIO FALCONIO

Intervengono con gli autori
Gerardo BIANCO
Presidente dell'ANIMI - Associazione Nazionale per gli interessi del Mezzogiorno d'italia

Massimo MILONE
Docente di Etica della Comunicazione dell'Università Suor Orsola Benincasa

Sergio SCIARELLI
Professore onorario di Economia e Gestione delle Imprese - Università Federico II

Introduce e coordina
Mauro GIANCASPRO

L'incontro è organizzato in collaborazione con Campania StartUp, Animi e i Club Napoli Castel dell'Ovo e Napoli Sud Ovest del Rotary International.

mercoledì 23 settembre 2009

FINCANTIERI – UN DESTINO SEGNATO O SEGATO?

(nella foto risposta dellafincantieialla mia richista di aporre un targa commemraiva inonore a Ferdinando IV di Borbone fondatore dei Cantieri Navalidi Castellammare di Stabia)


“Stabiesi, un popolo di marinai e costruttori di navi” così veniva chiamato una volta il popolo di Castellammare di Stabia, ma ora non più.
Castellammare di Stabia, la Leningrado dell’Italia del sud, prima è stata depredata del suo mare, diventato, grazie alla camorra locale ed a quella di stato, una fogna a cielo aperto, poi, come da circa 150 anni, siamo minacciati dallo stato anche di perdere lo status di costruttori di navi.
Perché è lo stato a lanciare questa minaccia?
È giusto ribadire, senza essere anacronistici, che i Cantieri Navali di Castellammare di Stabia, nei secoli passati hanno reso la marina del Regno delle Due Sicilie motivo di vanto e potenza internazionale, per poi essere passata ad officina secondaria di un sistema statale che da 150 anni ha concentrato le attenzioni sullo sviluppo dei cantieri navali sorti nel settentrione d’italia; interesse che ancora oggi porta commesse e ricchezze al nord, deserto e CIG al sud.
Senza scavare nei libri di storia, si può analizzare la vita degli ultimi anni della società controllata da Fintecna, finanziaria del Ministero dell'Economia
Dal 70 ad oggi
Dopo aver superato, grazie all’onnipresente papà-stato pressato dai coordinamenti cittadini capitanati dai sindaci delle città-cantieri, la crisi energetica degli anni ’70, la fincantieri si ritrova a ridosso degli anni 90 a dover combattere la concorrenza dei cantieri sudcoreani, che grazie alla manodopera a basso costo incrementavano notevolmente le commesse prima destinate ai cantieri europei.
Inoltre, le ristrettezze finanziarie dello stato e della marina militare italiana, chiudono i rubinetti degli aiuti di stato, ed è in quel periodo che la società riorganizza ed innova il suo prodotto, puntando sulle navi da crociera.
Ma la nuova produzione viene concentrata solo su due cantieri, Monfalcone e Marghera (manco a dirlo cantieri del nord italia). L’azienda entra di nuovo in crisi, questa volta per il troppo lavoro, ma anziché estendere la produzione di navi da crociera agli altri cantieri, aumenta l’utilizzo delle ditte esterne con la perdita di qualità e ritardi della consegna delle navi.
La fincantieri è diventata pesante per essere gestita con criteri di azienda statale, quindi per agevolare il passaggio alla privatizzazione, facendo capire che è l’unica ancora di salvezza, nel 2005 i vertici aziendali modificano la loro mission, e con le nuove nomine vengono privilegiati gli aspetti finanziari a quelli industriali.
È bene far notare che nonostante il costo del lavoro in italia sia più basso rispetto ai paesi industrializzati europei (francia, germania, Inghilterra) gli armatori italiani non sempre si affidano alla fincantieri per costruire le proprie navi, lampante l’esempio della MSC Splendida (battente bandiera panamense) costruita nei cantieri navali francesi STX Europe di Saint Nazaire.
La strada della privatizzazione
Come privatizzare un azienda statale senza incorrere negli inconvenienti avuti con il difficile passaggio già percorso dall’ALITALIA? Creando i presupposti per attirare gli investitori.
IL FATTURATO della fincantieri, viene incrementato nell’ultimo periodo grazie soprattutto alla produzione di navi da crociera (infatti l’azienda detiene il 50% del fatturato mondiale in questo settore);
LA CAPACITA’ PRODUTTIVA della fincantieri, viene garantita dalla struttura aziendale, e dagli investimenti che l’azienda intende fare per ampliare la stessa. Già nel gennaio 2007 l’azienda ha annunciato l’intenzione di comprare un cantiere in Ucraina, avendo così a disposizione una produzione LOW COST, inoltre la recente crisi occupazionale, porta lo stato, per rispondere ai gridi d’allarme lanciati dai sindacati-sindaci-politici locali, ad investire nei singoli siti produttivi italiani fondi per incrementare le strutture e creare nuove opportunità produttive.
LE RISORSE UMANE (nodo al pettine della trattativa ALITALIA) della fincantieri sono sempre in numero inferiore rispetto all’anno precedente, questo grazie al ricorso agli appalti esterni ed alla delocalizzazione delle produzioni nei cantieri LOW COST (episodio già verificatosi nel 2005 con la produzione di una piattaforma petrolifera costruita a Palermo il cui scafo è stato realizzato in un cantiere a basso costo di manodopera). Infatti, se si prende in esame il 2008, l’azienda non ha garantito un turnover di operai, riducendo tale risorsa di 259 unità rispetto al 2007 (anche se sono aumentati i dirigenti+3, i quadri +23 e gli impiegati+60).
Cantiere Navale di Castellammare di Stabia
La strada statale sorrentina bloccata ed una città con il traffico impazzito, questo è quello che lega Castellammare di Stabia al nome fincantieri nell’ultimo periodo.
La mancanza di commesse, e l’ombra della Cassa integrazione, ha scatenato gli operai dell’azienda e delle ditte dell’indotto, ad azioni di proteste, che non sono passate inosservate ai politici locali.
Le richieste di questi ultimi, sono state accolte dalle amministrazioni regionali, e saranno sicuramente accolte da quelle nazionali. Ma quali sono le richieste?
Fondi per gli ammortizzatori sociali, un bacino di carenaggio, e la sicurezza di nuove commesse.
L’aspetto umano porta a giudicare queste soluzioni le migliori per i tanti lavoratori su cui pesa la minaccia di non poter portare a casa uno stipendio, ma è sul futuro dei cantieri stabiesi che ci si deve concentrare per poter garantire lo status di costruttori di navi agli attuali e ai futuri maestri d’ascia.
Le soluzioni transitorie garantiscono ai politici i tanti agognati consensi, ma ribadiscono la dipendenza all’assistenzialismo statale; le richieste vengono avanzate senza considerare un progetto per la salvaguardia del patrimonio industriale strategico di Castellammare di Stabia, mancano infatti le analisi del rapporto tra azienda e mercato, questo assoggettato alle decisioni prese dalla sede centrale di Trieste.
Anche il bacino di carenaggio, (la Regione Campania ha stanziato 300.000 euro per il solo studio di fattibilità, poi occorreranno altri fondi per il progetto, ed altri per la realizzazione), destinato al refitting (lavori di trasformazione ed allungamento del ciclo di vita delle navi), rientra nelle attività che l’azienda da anni svolge all’estero, (attività consolidata in Germania).
Quindi mi chiedo, la realizzazione del bacino di carenaggio, serve ad incrementare la capacità produttiva o ad elevate la produttività del sistema fincantieri?
Nello specifico, si creano i presupposti per attirare capitali privati o si cerca di garantire lavoro agli operai anche in assenza commesse per la costruzione di navi?
Lo scorso 17 settembre, in occasione del varo dalla nave Carnival Dream a Monfalcone, l’onorevole Bossi, prensente alla manifestazione ha dichiarato “il Nord.Est ha la forza per uscire dalla crisi, ma avrebbe bisogno di una spinta”, tra i presenti c’era anche (giustamente) il presidente della Carnival, principale artefice dell’incremento del fatturato fincantieri, il quale ha gelato tutti dichiarando di non avere intenzione di costruire nuove navi; gli fa eco Bono (AD Fincantieri) confermando che dal 2008 non firmano nuovi contratti.
Lo stesso Bono, in visita a Castellammare dichiarò che bisogna organizzare una ridistribuzione delle commesse in tutti i cantieri dell’azienda.
Dinque l’aiuto che Bossi chiedeva, è rappresentato dalla proposta di legge per la rottamazione dei traghetti? E quanti di queste nuove commesse-aiuti di stato saranno realizzati sull’unico scalo del cantiere stabiese? e quanti sui megacantieri presenti nel nord italia?
Conclusioni
I cantieri navali di Castellammare di Stabia esistono da 226 anni, eprima di essere un bene dello stato italiano, Sono e devono restare un bene del popolo stabiese.
Nell’ipotesi, sempre più concreta di una futura privatizzazione, i cantieri navali stabiesi, possono avere due strade profondamente diverse fra loro: o ridiventare un punto di riferimento della produzione navale o l’abbandono e la chiusura, ma questo dipende dalla capacità produttiva che il cantiere potrà garantire nel momento del “trapasso”, quindi ben venga la realizzazione del bacino.
Ma se il cantiere sarà ancora un ramo produttivo del ministero dell’economia, bisognerà agire politicamente sulla trasformazione della società e sull’organizzazione della stessa. Finchè gli accordi commerciali, logistici e produttivi saranno privilegio della sede di Trieste, il cantiere, pur incrementando la produttività resterà sempre un officina di produzione, nel dimenticato Sud italia.

Nello Esposito

martedì 8 settembre 2009

commenti

Di seguito PUBBLICO due commenti ricevuti in risposta al mio post MPA si MPA no.
è bene precisare che il mio blog non è una testata giornalistica ne si vanta di avere lettori, ma è un DIARIO di una persona, vittima dell'amore per la propria famiglia con la quale ama trascorrere dei sani e rigeneranti fine settimana ed ostaggio della propria professione che durante la settimana può sottrarre tempo alla gestione del mio DIARIO, quindi non vi amareggiate inutilmente se non pubblico ISTANTANEAMENTE i vostri commenti, ho imparato a classifcare le priorità del mio esistere, e la gestione del mio blog non è fra le prime posizioni.
Preciso che io ho un mio pensiero, una mia vita, una mia evoluzione, come la luna, ed essere parte dell'universo CDS ed etichettato come satellite, non sempre significa "copia ed incolla" o "linkare" ma rende solo merito alla bontà del progetto CDS.




Penso possa interessare ai nostri lettori un articolo di Nello Esposito sul tema MPA apparso sul blog "Nazione delle Due Sicilie" lo scorso 3 settembre (uno dei tanti blog "satellite" dei CdS):
http://nazionedelleduesicilie.blogs...
Il nostro commento (che come la maggior parte dei commenti, secondo il costume dei blog dei CdS & Co., non è stato pubblicato) è stato:
"Trovo interessante il tuo post, ma contraddittorio. Non mi pare corretto -secondo me- mettere sullo stesso piano i soldi che la Lega Nord passa all’MPA (che peraltro riceve contributi statali come tutti gli altri partiti) con i finanziamenti che sindaci e amministratori ricevono dallo Stato (e non potrebbe essere altrimenti, finché rimane la struttura unitaria), tra l’altro accetti acriticamente la storiella della lega che i soldi sono solo al nord (dopotutto anche al Sud paghiamo le tasse, che vanno poi allo Stato, e che vengono poi da questo ripartite). Se parliamo di soldi "privati" allora la cosa che dici ha piú senso.Per concludere, massimo rispetto per Zitara, però senz’altro trovo peculiare il tuo disprezzo per chi specificatamente non condivide il suo appoggio per l’MPA. Possiamo tutti avere idee diverse, ma certamente nessuno è al di sopra delle critiche (e non mi riferisco in particolare a Zitara, che stimo e apprezzo da sempre). Del resto tu stesso mi pare avanzi delle critiche, legittime. Sarai d’accordo che certamente non ne hai l’esclusiva, come sembri pretendere. Stammi bene."

Salernoborbonica ha detto...
Caro Nello, ho letto attentamente il tuo post. Devo dire che ho rinscontrato in alcuni passaggi un pò di confusione , confusione forse dettata dall'amarezza, malcelata, per gli ultimi avvenimenti che hanno interessato il caro Professore Zitara.In effetti, quello che, in questi giorni, ha declamato il vecchio esponente del Meridionalismo Indipendentista, non può che definirsi, Revisionismo politico, che, in questo particolare momento, stride con quello storico risorgimentalista che, sempre di più, si sta facendo strada, col risultato di far avvicinare più persone alla nostra causa INDIPENDENTISTA, in un contesto storico politico di confusione e di attesa. La lentezza o la staticità dell'intero movimento Meridionalista Indipendentista che,a causa di ciò. stenta a trovare quel percorso comune, fatto di lotta e di rivendicazioni che porti ad un pronto riscatto il nostro amato Sud, ne fa da cornice. Ora, a fronte di questa analisi, opinabilissima, viene spontaneo chiedersi: Ci sarà mai per noi MERIDIONALI un FUTURO, affrancato dalle logiche politiche affaristiche dell'attuale classe politica del "Sudd", oppure ci dovremo accontentare, assistendo, come sempre e passivamente come vittime sacrificali, alle solite"mezze vittorie" che, notoriamente, non porteranno ad alcun cambiamento?Saluti, Elio Ferrante

giovedì 3 settembre 2009

mpa si, mpa no - Nello Esposito

Negli ultimi giorni si intensificano i messaggi pro o contro MPA, pro o contro ZITARA, pro o contro tutti quelli che si affiancano al partito di LOMBARDO.
Voglio premettere che allo stato delle cose, io non posso credere in un partito come l’MPA che, almeno nella mia città ha raccolto tutti i diseredati della maggioranza e gli invidiosi e vogliosi di una carica che l’opposizione non gli ha garantito, e comunque sono sempre gli stessi nomi che questa volta si sono riciclati in un partito, l’MPA, pur non condividendone il progetto, le ideologie o peggio ancora, non conoscendo la magnifica storia di CASTELLAMMARE DI STABIA nell’epoca preunitaria, persone che credono nel tricolore, insomma gente che di indipendentismo non ne sa un cavolo.
Credo che Raffaele Lombardo oggi ha il compito, dopo che fra i partiti TERRITORIALI è quello più conosciuto nel meridione, di modificare la formazione della propria squadra scegliendo gli elementi non in base al portafoglio consensi, ma sulla base di un progetto territoriale ed indipendentista, diversamente può anche rinominare il suo partito in DEMOCRAZIA CRISTIANA.
Ma non posso condividere quanti hanno criticato il prof. Zitara che dopo anni di incazzature sul tema meridionalismo ha elogiato e condiviso l’uomo ed il progetto di Lombardo, neanche posso condividere quanti credono di parlare dal pulpito della purezza di ideali quando criticano chi si schiera con questo o quel movimento che non sia quello da lui scelto.
Addirittura adesso nascono indagini sui finanziamenti che l’MPA ha ricevuto dai partiti del nord!
Quanti di noi non ricevono soldi dal industrie enti o forze armate che sono il simbolo della colonizzazione italiana?
Se io fossi un sindaco, un assessore, un pensionato, un dipendente delle forze dell’ordine, potrei essere criticato se spendessi i miei risparmi per la mia gente e la mia terra? No. Eppure anche quelli sono finanziamenti presi dal nord.
L’alternativa sarebbe chiedere finanziamenti alle industrie del sud… e addò stann!!!
Vi svelo un segreto, oggi i soldi stanno solo al nord, e senza denar nun se cantano messe.
Nessuno vieta a nessuno di poter avere idee diverse su come perseguire un causa, ma se parliamo della stessa causa, NESSUNO deve criticare NESSUNO, è un inutile lotta che distrugge quello che non siamo mai riusciti a creare, un fronte non compatto, e neanche omogeneo, ma che almeno vada nella stessa direzione.
Tanti hanno sperato nello scioglimento dei CDS (per motivi di divisioni interne o per qualche grave lutto), molti ancora attaccano questo movimento, ed in tutta onestà non vedo altro fine se non quello del dividere per comandare, o almeno contare qualcosa.
Esprimo solidarietà nei confronti di Zitara, e disprezzo per chi attacca lui e quanti come lui esprimono le loro scelte politiche continuando a lottare per la propria nazione!Nello Esposito

mercoledì 2 settembre 2009

straordinarie follie

Il 22 agosto migliaia di persone sono rimaste bloccate nella stazione FS di Battipaglia perché un incidente aveva bloccato l’UNICA linea che collega il Sud con Napoli, fra quelle migliaia di persone c’erano i miei genitori che insieme ai loro bagagli portavano anche il peso dell’età e dei problemi di salute, pesi che li portarono a scegliere di viaggiare con il “comodo e conveniente” treno.
Parallelamente un mio caro amico, fissato con l’ecologia, ha deciso di andare in Sicilia utilizzando il treno, il suo ricordo? Da Palermo a Messina 10 ore di treno, per poi restare bloccato anch’egli a Battipaglia per 6 ore… trasformando il suo rientro in un incubo durato un eternità!!! E fra le risate mi ha detto “certo se c’era il ponte a Messina avrei risparmiato mezz’ora!”
Questi sono i risultati che la politica dei consensi ha provocato negli anni, ed ancora è destinata a provocare.
Un capo di stato, un governatore di una regione, un sindaco di una città, coadiuvati da una opposizione che recita perfettamente il proprio ruolo a discapito delle proprie ideologie partitistiche, programmano una gestione ordinaria dei propri consensi, unico bene a cui non possono rinunciare.
In ogni paese si può riscontrare il disinteresse alla quotidianità da parte delle amministrazioni, ma in ognuno di questi paesi ci sarà sicuramente un MEGAOPERA PUBBLICA in costruzione.
Castellammare di Stabia non è immune da questo tipo di politica.
Basterebbe rendere accettabile un paese per aumentare il grado di soddisfazione dei cittadini, ma questo difficilmente porterebbe consensi al sindaco, o almeno ne porterebbe meno di quanti ne possano dare la realizzazione di grandi opere, ma le grandi opere devono essere fatte da grandi uomini, diversamente si allargherebbe ancora di più la grave ferita che Castellammare ha subito negli anni.
Poco importa se le strade del centro storico sono infestate da topi e vivono nella totale illegalità, perché i soldi che potrebbero renderle più vivibili, l’amministrazione ha deciso di spenderli nella ristrutturazione delle due piazze che queste strade collegano.
A nord ed a Sud la costa stabiese è a 5 stelle lusso, da una parte un albergo superlussuoso, dall’altra un porto turistico (inaccessibile agli stabiesi), nel mezzo ci sono chilometri di spiaggia libera inaccessibile per questioni igienico sanitarie ed un mare di un bel verde acido.
Si ristruttura la Reggia di Quisisana, ma la strada per arrivare in questo meraviglioso posto è costellata da una miriadi di venditori ambulanti.
Si ripavimentano le strade del centro e nei pressi del comune, abbellendo la fonte di guadagno dei parcheggiatori abusivi che operano anche a 10 metri dal municipio!!!
Si spendono soldi per organizzare una festa estiva in Villa Comunale senza vedere che nelle aiuole del lungomare ci sono ancora i coriandoli che i bambini si sono lanciati a carnevale.
La lista potrebbe continuare, ma si riduce se si sintetizza il programma di azione dell’amministrazione: niente quotidianità ma SOLO spese eccezionali.Questo trova conferma nel botta e risposta recentemente apparso sui giornali: i cittadini protestano per i motorini che circolano all’interno del cimitero; il Sindaco risponde “pronti 1 milione e 400mila euro per la ristrutturazione del cimitero.

mercoledì 5 agosto 2009

risposta dal parlamento europeo - SAVINI

A(2009)17107ST/aml Egregio Signore, Rispondo al Suo messaggio elettronico indirizzato al Parlamento europeo (PE) in cui manifesta considerazioni personali sull'operato di un parlamentare italiano, l'On. Matteo SALVINI, chiedendosi se lo si possa deporre dall'incarico. L'On. Salvini é già stato parlamentare europeo dal 20 luglio 2004 al 7 novembre 2006, in qualità di membro dei Non iscritti per la Lega Nord per l'Indipendenza della Padania. L'On. Salvini é attualmente consigliere comunale di Milano (dal 1993), segretario provinciale della Lega Nord (dal 1998) e parlamentare alla Camera dei Deputati nella circoscrizione Lombardia 1 (dal 2008). L'episodio da Lei evocato, video ripreso nel corso della festa di Pontida 2009, rientra nell'ambito dell'immunità parlamentare e dell'insindacabilità di giudizio (i deputati non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse, come sancito dalla stessa Costituzione italiana). Tuttavia, l'immunità è concessa al parlamentare in virtù della sua carica pubblica. Qualora egli decada dalla carica, mentre rimane ferma l'insindacabilità relativa al periodo in cui era nell'esercizio delle funzioni (quindi, in sostanza, per le opinioni e per i voti che ha espresso nella sua qualità di parlamentare), cessa la cosiddetta inviolabilità ed il soggetto può tornare a subire i provvedimenti in precedenza soggetti ad autorizzazione.

La "Semplificazione" delle stronzate

Qualche giorno fa un mio amico mi ha accusato di avere un ideale separatista, dicendomi “l’italia è una ed indivisibile!”, mi viene da ridere rileggendo questa frase.
Il sud è VITTIMA di un governo, formato da inetti che in un paese normale, difficilmente avrebbero credito; ma la colpa di tutto questo non è loro, che seppur IDIOTI hanno lavorato per essere eletti e ci sono riusciti; Infatti la colpa e di quegli italiani che, con il proprio voto, hanno permesso all’attuale classe politica di sparare cavolate ogni giorno. Il popolo italiano, e particolarmente quello MERIDIONALE non è capace di decidere cosa è meglio per il loro territorio, questo è la vera crisi politica, e personalmente non vedo cenni di miglioramento.
L’ultima cavolata del ministro (e dico ministro!!!) Calderoli, è la gabbia salariale.
La stupidità dell’affermazione non merita di essere commentata, merita invece una piccola osservazione il papocchio banca italia, che ora si mette a fare pure le statistiche!!!
Quello che incide drasticamente sul costo della vita al sud, è il costo per l’affitto della casa!!!
Ma banca italia basa i risultati del rapporto su numeri certi, derivanti dai versamenti che transitano attraverso i circuiti bancari; riferendosi a tali dati, si nota un gap spianato per i servizi/prodotti standardizzati in tutta italia, come per esempio la quota mensile che si spende per l’abbigliamento o per gli alimentari, o addirittura pagamenti superiori per servizi tipo assicurazione auto, (parliamo di circa 34 milioni di auto circolanti nel sud italia) mentre la differenza si nota sulle voci autocertificate dai cittadini.
Mi spiego.
Credo che sia consuetudine dei contribuenti del nord dichiarare redditi inferiori a quelli reali, così come sia normale prassi registrare contratti di fitto a canoni dimezzati da parte dei proprietari di appartamenti al sud!
Quindi le differenze certe riscontrate nel rapporto bancaitalia sono minime ed irrilevanti, ma dare una notizia del genere, agli amici leghisti, non avrebbe sortito l’effetto desiderato, e dal momento che alla lega può interessare anche il peso degli escrementi che gli animali domestici producono al sud, rispetto a quelli del nord, ecco servito un valido pretesto per sottolineare la necessità di dividere ulteriormente questo paese di merda che è l’italia, il costo della vita al sud è inferiore rispetto al nord!
Quindi caro “amico mio” io stesso non riuscirei meglio di questi idioti a dividere il paese!

lunedì 27 luglio 2009

Ma dove sono finiti gli italiani?

Sembra che la frase di d'azeglio sia stata una montezumiana maledizione per la neonata nazione italiana.

A distanza di quasi 150 anni l'italia è divisa in zone il cui popolo pur modificando la propria identità non si sentono ancora oggi italiani.

Questo assurdo progetto politico di voler, a tutti i costi, unire sotto il massonico tricolore popoli appartenenti a culture diverse, oggi sta mostrando ancora più di 150 anni fa i propri limiti, questi amplificati dalla diffusione dei mezzi di comunicazione di massa, ci mostrano che gli italiani sono un puro prodotto di propaganda.

Nelle zone del confine nord, la popolazione ha mantenuto la propria lingua i propri ideali di terra non appartenente all'italia, gruppi politici che in ogni amministrazione eleggono i rappresentanti delle proprie terre al governo romano, quasi a sottolineare il loro status di colonia.

Poi ci sono le zone che hanno trovato enormi vantaggi economici e di sviluppo dall'unione nazionale, come il piemonte o la lombardia, che pur non avendo una storia identitaria precisa, oggi si elevano a nazione indipendente e trainante per la retrograda restante parte della nazione.

Ancora ci sono popoli che hanno conservato la propria identità, minacciata solo dalle necessità economiche imposte dal governo romano, questi come la Liguria, o il Veneto, conservano orgogliosamente la propria lingua e i propri stemmi, e mai si sentiranno pienamente italiani.

Poi ci siamo noi, i meridionali, gli abitanti dell'ex Regno delle Due Sicilie, che vittime della propaganda d'azegliana ci siamo imposti di essere italiani, rinunciando a secoli di storia, di indipendenza, rinunciando alla nostra lingua ed ai nostri stemmi, lo abbiamo fatto per volere massonico-romano.

Insomma, i valdostani sono valdostani, i veneti sono veneti, i liguri sono liguri, i trentini sono trentini, i lombardi sono padani, e noi meridionali siamo gli unici che DOBBIAMO essere italiani?

Capita che qualcuno si ribelli a questo senso di abbandono, alzi la voce per dire che si sente preso in giro da d'azeglio in poi, ma allora e SOLO ALLORA, i veneti, i lombardi, i valdostani diventano italiani, per dirci che non dobbiamo lavorare al nord, non dobbiamo avere un gruppo politico formato da gente del sud, non dobbiamo sempre e solo lagnarci per un po' di monnezza che loro ci regalano.

Se io mi devo sentire italiano, lo devo essere per volontà ferdinandea e non cavouriana, è una sottile differenza che avrebbe potuto invertire le sorti dell'italia, ma visto che così non è, io sono uno stabiese, un napolitano, ed un duosiciliano, o se preferite meridionale!

giovedì 23 luglio 2009

Unità o uniformità?

Il sogno di unità nazionale si è trasformato in voglia di uniformare, minacciando in150 anni le diverse realtà territoriali con false ideolgie nazional-partitistiche finalizzate esclusivamente ad arricchire i discendenti di chi sognava l'unità; si sono create false illusioni di benessere socio-economico come caratteristica peculiare delle regioni settentrionali, causa di un flusso migratorio di milioni di persone e di risorse economiche dal sud al nord.
I presupposti “Nittiani” di inizio secolo sono stati fagocitati dalla potenza-prepotenza delle industrie settentrionali (pezzenti arricchiti con l’inganno dell’unità nazionale) nel progetto di ulteriore colonizzazione del meridione, causando uno stato di persistente subordinazione delle popolazioni meridionali alla cultura dell’economia settentrionale vincente, propagandata a gran voce dal governo centrale.
La subordinazione del popolo ma soprattutto dei politici meridionali, che negli anni si sono succeduti al governo, ha portato alla ricerca di elementi di imitazione da riproporre nelle terre del Sud, causando, con la complicità della questione meridionale, disastri in ogni campo di applicazione:
- l’urbanistica del meridione è stata vittima della standardizzazione degli insegnamenti universitari; se in passato le nostre università non avevano rivali nel settentrione, oggi all’interno di esse si insegna a costruire parallelepipedi di ferro, cemento e vetro cloni di stili riscontrabili in tutta la penisola italica. Il primo caso di standardizzazione è visibile in Napoli con Galleria Umberto I, copia di quella milanese, bella da vedere, ma utile solo nella piovosa città lombarda, Napoli è la città del sole; L’associazione della perdita degli stili costruttivi con la politica speculativa delle aziende del nord, ha permesso la crescita amorfa delle città meridionali facendo perdere le tracce di quella che è stata la storia architettonica delle nostre terre.
- La cultura gastronomica del meridione, ancora resiste, ma è fortemente influenzata dalla presenza dei grandi centri commerciali che smerciano prodotti industriali in tutta la penisola. Un mio amico disse “magiare tutti i giorni al McDonald è un abitudine che mi torna utile quando viaggio all’estero, per sentirmi a casa, devo assaporare un McChicken” (!!!) questo deve far riflettere quando vedete un napoletano che si compra la pizza surgelata della Findus all’Auchan. La stessa lega del nord nel suo programma ufficiale, combatte l’espandere dei centri commerciali, che reputa minacciosi nei confronti delle piccole realtà che commerciano i prodotti locali, intelligente pensiero, ma che mal si associa con la programmazione espansionista della Grande Distribuzione Organizzata, che si vede costretta a concentrare il suo potere nelle regioni del meridione causando un gravissimo danno alle produzioni gastronomiche locali.
- L’industria del meridione, una volta fiorente, ha subito prima il saccheggio degli invasori, poi la necessità, in seguito alla depredazione, di investimenti provenienti dai ladri del nord; ed oggi tutte le grandi industrie presenti al sud, sono vittime delle minacce provenienti dalle direzioni filo-settentrionali (Fiat, Fincantieri, ecc.) questo, la Cig, la mobilità, il progetto SudNordSud, sono causa di un continuo flusso migratorio di chi per necessità si trasferisce al nord per continuare a garantire un tenore di vita rispettabile alle proprie famiglie.
- Le vie di comunicazione, realizzate in tuta la penisola con una struttura ad albero, favoriscono il continuo sviluppo economico del nord, che grazie agli investimenti, passati, presenti e futuri, vede garantito lo scambio di merce e forza lavoro in linea orizzontali, a differenza del sud a cui viene garantito esclusivamente una movimentazione delle ricchezze in direzione nord.
- La predominanza del potere economico settentrionale ha provocato l’estinzione degli istituti di credito meridionali. Questi operano con programmi di finanziamento differenti in base alla latitudine: mentre al nord si finanziano idee o progetti, al sud, per avere mille euro devi ipotecare qualcosa. Al nord programmi di sviluppo al sud di consumo. I finanziamenti statali per il rinnovo del parco auto, funzionano, nell’ultimo anno sono state vendute migliaia di auto (lo si può notare viaggiando in autostrada, la mia auto del 2001 è la più vecchia) questo ha portato ad una falsa percezione di ripresa dalla crasi economica, infatti oltre alle case produttrici, questo intervento ha giovato soprattutto le banche, visto che il 90% di queste auto sono state comprate accedendo a sistemi di finanziamento, indebitando ulteriormente il popolo meridionale costretto ad arricchire gli unici esistenti istituti di credito settentrionali;

Non esiste un campo in cui l’azione politica non abbia cercato di standardizzare o assoggettare la popolazione meridionale, e purtroppo questo è uno dei pochi programmi ben riusciti della politica. Oggi siamo solo noi meridionali a sentirci italiani. Nello Esposito

giovedì 16 luglio 2009

UN TRAGEDIA CHE DURA DA QUASI 150 ANNI

ricevo e pubblico dal compaesano Nicola Longobardi...




Un "caso unico in Europa" secondo il rapporto Svimez sull'economia del MezzogiornoScelgono di abbandonare il Sud soprattutto laureati "eccellenti" e "pendolari di lungo raggio"
I meridionali emigrano ancoraal Nord in cerca di lavoro
Napolitano: per vera ripresa bisogna superare divario tra nord e sud, le istituzioni facciano di più




ROMA - Non hanno più la valigia chiusa con lo spago, ma i meridionali continuano a emigrare al Nord. Fenomeno che fa del mezzogiorno italiano "un caso unico in Europa", in cui la carenza di domanda di professioni di qualità spinge i migliori "cervelli" a cercare fortuna al centro-nord. E' quanto segnala il rapporto sull'economia del Mezzogiorno 2009 dello Svimez, associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno. Napolitano: "Istituzioni facciano di più". Deve crescere nelle istituzioni, così come nella società, la coscienza che il divario tra nord e sud deve essere corretto e superato: lo afferma Giorgio Napolitano in un messaggio allo Svimez in occasione della presentazione del rapporto 2009. "La crisi economica rafforza il convincimento che una prospettiva di stabile ripresa del processo di sviluppo debba essere fondata sul superamento degli squilibri territoriali, necessario per utilizzare pienamente tutte le potenzialità del nostro Paese". Il lavoro della Svimez, prosegue il capo dello Stato, "offre un contributo importante allo sviluppo di un confronto nazionale". Italia divisa in due. L'Italia, si legge nello studio, "continua a presentarsi come un paese spaccato in due sul fronte migratorio: a un centro-nord che attira e smista flussi al suo interno, corrisponde un sud che espelle giovani e manodopera senza rimpiazzarla con pensionati, stranieri o individui provenienti da altre regioni". Inoltre, i posti di lavoro del Mezzogiorno, in particolare, "sono in numero assai inferiore a quello degli occupati. Ed è la carenza di domanda di figure professionali di livello medio-alto a costituire la principale spinta all'emigrazione". 700mila emigrati in 10 anni. Tra il 1997 e il 2008 circa 700mila persone hanno abbandonato il mezzogiorno. Nel solo 2008 sono oltre 122mila i residenti delle regioni del sud partiti verso le regioni del centro-nord a fronte di un rientro di circa 60 mila persone. Oltre l'87% delle partenze ha origine da Puglia, Sicilia e Campania. In quest'ultima regione si registra l'emorragia più forte (-25 mila), a seguire Puglia e Sicilia rispettivamente con 12,2 mila e 11,6 mila unità in meno.
Pendolari di lungo raggio. Da considerare anche il fenomeno dei "pendolari di lungo raggio" che nel 2008 sono stati 173.000, 23mila in più rispetto al 2007. Persone residenti nel mezzogiorno ma con un posto di lavoro al centro-nord o all'estero, "cittadini a termine", come li definisce la Svimez, che rientrano a casa nel week end o un paio di volte al mese. Si tratta di giovani con un livello di studio medio-alto: l'80% ha meno di 45 anni e quasi il 50% svolge professioni di livello elevato, il 24% è laureato. Cittadini a termine. "Non lasciano la residenza - sottolinea la ricerca - generalmente perché non lo giustificherebbe né il costo della vita nelle aree urbane né un contratto di lavoro a tempo. Spesso sono maschi, singles, dipendenti full time in una fase transitoria della loro vita, come l'ingresso o l'assestamento nel mercato del lavoro". Le regioni che attraggono maggiormente i pendolari sono Lombardia, Emilia-Romagna e Lazio. Le matricole scelgono gli atenei al nord. Rispetto ai primi anni 2000 sono aumentati i giovani meridionali trasferiti al centro-nord dopo il diploma che si sono laureati lì e lavorano lì, mentre sono diminuiti i laureati negli atenei meridionali in partenza dopo la laurea in cerca di lavoro. I laureati "eccellenti" abbandonano il sud. In vistosa crescita le partenze dei laureati "eccellenti": nel 2004 partiva il 25% dei laureati meridionali con il massimo dei voti; tre anni più tardi la percentuale è balzata a quasi il 38%. Fenomeno, quest'ultimo, che si spiega con il fatto che la mobilità geografica sud-nord permette una mobilità sociale. I laureati meridionali che si spostano dopo la laurea al centro-nord vanno infatti incontro a contratti meno stabili rispetto a chi rimane, ma a uno stipendio più alto. Il 50% dei giovani immobili al sud non arriva a 1000 euro al mese, mentre il 63% di chi è partito dopo la laurea guadagna tra 1000 e 1500 euro e oltre il 16% più di 1500 euro.
(16 luglio 2009)



Fonte http://www.repubblica.it/

venerdì 3 luglio 2009

Il declino del sistema bancario meridionale – Il caso del Banco di Napoli


lunedì 29 u.s., alle ore 17, nella Sala A del Centro Congressi dell'Università degli Studi di Napoli Federico II, alla presenza di un folto e qualificato pubblico, è stato presentato il libro di Emilio ESPOSITO e di Antonio FALCONIO dal titolo “Il declino del sistema bancario meridionale – Il caso del Banco di Napoli” , ed. E.S.I. - Napoli. Introduzione di Gennaro Improta (Dir.Dipertimento di ingegneria Economico-., realtori Guido Trombetti (Rettore università Federico II, Enzo Giustino (Presidente Banco di Napoli SpA) Adriano Giannola (Presidente Istituto Banco di Napoli – Fondazione) Mario Raffa (Assessore allo sviluppo , Comune di Napoli) Congresso coordinato da Alfonso Ruffo (Direttore de Il Denaro)


ESTRATTI dal Testo del Libro
“….resta a carico dei vinti la responsabilità di non far disperdere la loro esperienza e la loro visione dei fatti, ricercando, illustrando e mettendo in ordine e in relazione ogni documento che risultasse utile. I vinti hanno cioè il dovere di non farsi annientare sino al punto di dimenticare la logica e la “correttezza“ delle proprie tesi e di seppellirle, all’incalzare dei cori dei tanti cortigiani di turno. Diversamente, trascorso il tempo della cronaca e della propaganda, la storia non troverebbe elementi meritevoli di considerazione da contrapporre alle tesi dominanti.”

“….. la ricerca ha portato ad individuare, anche mediante lo studio degli atti parlamentari dell’epoca, una insospettata quanto lucida linea di pensiero, comune alle minoranze e alle maggioranze, sia alla Camera dei Deputati che al Senato, di diversi Parlamentari meridionali, protesa a difendere la “meridionalità” del Banco di Napoli e del sistema bancario, a mettere a nudo i soprusi subiti, a denunziare i rischi e le conseguenze della loro distruzione ed a sollecitare, ad ogni piè sospinto, l’intervento del Tesoro e della Banca Centrale per riequilibrare le forze.
Questa linea venne del tutto ignorata sia perché largamente marginale nel quadro politico nazionale sia perché le Istituzioni economiche, politiche e sindacali locali, fatta qualche rara eccezione, si disinteressarono completamente del problema. In pratica il Mezzogiorno non destava più preoccupazione per nessuno. Ormai cominciava a premere la “questione settentrionale”.”

“L’intera vicenda assume un rilievo emblematico nell’ambito del sistema bancario meridionale, il cui smembramento costituisce l’ultimo anello di una lunga catena di spoliazioni perpetuate ai danni del Sud, che stanno facendo sentire i loro effetti non solo in ambito economico ma anche sul piano sociale e culturale.”

“Le vicende del Banco di Napoli e dell’intero sistema sono… emblematiche di un progressivo scivolamento del Mezzogiorno che è stato vittima ancora una volta di politiche che lo hanno privato dei suoi centri decisionali, determinando la generale “desertificazione” e la conseguente caduta del tono socio-culturale, oltre che di quello economico, dell’intera area.
Questo processo è stato portato avanti sotto il vessillo della supremazia assoluta del mercato, in coerenza con il piano di dismissione delle partecipazioni statali. In effetti, oltre a risolversi in netto vantaggio di ben individuati gruppi economici, il processo si è concluso proprio alla vigilia di un fase in cui la crisi globale ha indotto perfino gli Stati più liberisti ad immettere ingenti risorse pubbliche nei traballanti colossi mondiali privati della finanza e dell’industria. Così, mentre il modello tutto italiano delle partecipazioni statali è stato completamente smantellato in nome del mercato, per ironia della sorte viene prepotentemente rilanciata la sua attualità a livello globale.”
“La verità è che l’odierno sistema bancario meridionale non riesce a restituire al territorio contributi apprezzabili per il suo sviluppo economico e socioculturale e, molto spesso, gli operatori e le stesse famiglie avvertono una grande distanza con le strutture bancarie e non riescono nemmeno ad individuare l’interlocutore in grado di verificare le loro esigenze ed eventualmente di sostenere i loro progetti.”

“…..mancano al Sud reali spinte concorrenziali ed esiste ormai una strutturale asimmetria tra i colossi bancari guidati dal Centro-Nord e il tessuto delle piccole imprese del Mezzogiorno, le quali non riescono ad attrarre sulle loro frastagliate esigenze l’attenzione dei grandi gruppi finanziari, tutti protesi invece sul versante della raccolta dei fondi delle famiglie e delle stesse imprese.”

“E’ innegabile che il sistema tecnologico e l’intero ambiente socio-culturale tragga notevoli benefici dalla presenza di un autonomo sistema bancario locale che di per sé favorisce la crescita di competenze professionali e manageriali e l’accumulo di capitale sociale e di progresso civile.”

“…il blocco dell’Intervento Straordinario, deciso per le crescenti difficoltà della finanza pubblica, fu una delle cause fondamentali del dissesto dell’economia e del sistema bancario meridionali, soprattutto tenuto conto del fatto che non venne sostituito da una nuova e organica progettualità per il Mezzogiorno.
Per giunta il Banco di Napoli…… era stato incoraggiato da Tesoro e Bankitalia
a sostituirsi allo Stato negli interventi pubblici, attraverso l’accreditamento delle imprese che avevano ottenuto delibere di contributi dell’Intervento Straordinario…”

“Tutto ciò spiega anche l’enorme dimensione della crisi e perché essa esplose all’improvviso e, in definitiva, rende giustizia ad una gestione del Banco che in precedenza era sempre riuscita, sia pure in un contesto non facile ed in presenza di una sottocapitalizzazione ormai cronica, a tenere sotto adeguato controllo la situazione.
Ma se questo era il contesto, che al Sud assumeva toni veramente drammatici, perché criminalizzare a tutti i costi e in maniera indiscriminata il Banco di Napoli, tutti i suoi amministratori e chi onestamente vi lavorava, dal momento che proprio il Banco aveva svolto costantemente un ruolo di supplenza in favore del Mezzogiorno che era abbandonato sempre più a se stesso da parte dei poteri centrali?”

“Sicuramente, anche nel Banco, come in tutte le umane realtà, c’erano errori, ma ciò che va riconosciuto è che questi errori non erano diversi o più gravi di quelli che si commettevano nelle altre grandi banche del Paese. In definitiva, se il Banco non era migliore degli altri grandi Istituti di Credito, certamente non era peggiore.

“In realtà, le manchevolezze e gli errori riscontrati nel Banco di Napoli non erano per nulla diversi da quelli delle altre banche, per cui il Banco non era di certo la pecora nera e appestata del sistema bancario italiano, da abbattere a tutti i costi.
E se la sua lunga storia doveva pure sfociare in una più vasta aggregazione, così come i tempi mutati imponevano per consentire al sistema bancario italiano di competere meglio a livello globale, ciò poteva avvenire, come per altre banche, con
il riconoscimento dei suoi alti valori aziendali, senza gratuite criminalizzazioni, ma, con l’onore delle armi, nel pieno rispetto del ruolo di storico supporto dell’economia meridionale.”

E’ fuor di dubbio che le vicende del Banco di Napoli assumono rilievo emblematico nell’ambito dell’intero sistema bancario meridionale, la cui scomparsa costituisce l’ultimo anello di una lunga catena di spoliazioni perpetrate ai danni del Sud, vittima di politiche che hanno portato ad una generale “desertificazione” del territorio e alla conseguente caduta del tono socio-culturale, oltre che di quello economico, dell’intera area.
Si tratta purtroppo di risorse irrimediabilmente perdute per il Sud e per giunta portate via sotto il vessillo della supremazia assoluta del mercato - in concomitanza con il piano di dismissione delle partecipazioni statali - proprio alla vigilia dell’inversione di rotta degli Stati più liberisti che, ai nostri giorni, non esitano ad immettere ingenti mezzi pubblici nei traballanti colossi privati della finanza e dell’industria, pur di salvarli.
E così gli zelanti, sommi sacerdoti nostrani della supremazia assoluta e dell’integrità del mercato, invece di razionalizzare quanto già c’era, si sono alacremente dedicati a smantellare l’originale modello tutto italiano delle partecipazioni statali e ci sono brillantemente riusciti, per giunta a netto vantaggio di ben individuati gruppi economici, proprio mentre a livello mondiale si sta assistendo – ironia della sorte - all’ingresso massiccio degli Stati nell’imprenditoria privata, sia pure con intenti dichiarati (ma tutti da verificare) di temporaneità.

Le vicende del Banco di Napoli sono emblematiche anche perché sono ricche di sfaccettature che l’uomo comune non riesce ancora a capire. Vogliamo ricordarne solo alcune che toccano l’operato del Ministero del Tesoro, del suo Advisor e della Vigilanza della Banca d’Italia…..
Sono soltanto alcuni dei punti oscuri di questa complessa vicenda, ma l’elenco potrebbe diventare lunghissimo. Ci fermiamo qui, con la speranza che almeno su di essi anche l’uomo comune, avendone peraltro il pieno diritto, possa finalmente capire qualcosa.










ESTRATTI dalle Presentazioni


dalla Presentazione di Guido TROMBETTI:

“Il lettore si ritrova tra le mani un lavoro molto istruttivo. Un libro che ci aiuta a comprendere perché il territorio meridionale non sia riuscito a percorrere sino in fondo la strada dello sviluppo economico e sociale.
Emilio Esposito e Antonio Falconio ripercorrono con precisione le vicende che negli anni ’90 portarono alla liquidazione del Banco di Napoli. Una vicenda intricata, che gli autori hanno saputo trattare con rigore metodologico, preferendo far parlare i fatti e i numeri che hanno contrassegnato lo svolgersi dell’intera operazione.”

“Il libro di Emilio Esposito e Antonio Falconio ci dice come sia stato possibile che una classe dirigente abbia consapevolmente scelto di eliminare dalla scena un soggetto economico di così enorme rilevanza per la crescita della società meridionale.”

“Senza il “vecchio”Banco di Napoli oggi il Sud si presenta più debole nei confronti della crisi. Le istituzioni meridionali sono più isolate. Le imprese meridionali hanno difficoltà a trovare un partner finanziario che possa ascoltarle.
Manca, infine, un soggetto che promuova grandi progetti di sviluppo culturale e sociale, come avviene nelle aree del Centro –Nord.”


dalla Presentazione di Adriano GIANNOLA:

“La vicenda del “Banco di Napoli” è qui analizzata in un crescendo di cinque capitoli con una sequenza che affronta premesse, conseguenze e vari aspetti delle drammatiche vicende del triennio 1994-1996.”

“L’esposizione che Esposito e Falconio propongono dell’intricata matassa, ha pregio della linearità e della chiarezza; il che deriva dalla analiticità di un metodo che opportunamente sceglie di stare il più possibile adente ai fatti. Fatti che si commentano da soli e dai quali discende una chiave di lettura che ha una indubbia robustezza e che augurabilmente potrà contribuire a dissipare molti luoghi comuni nei quali questa vicenda è tuttora avvolta.
“Completa il lavoro, una documentazione, soprattutto proveniente dall’attività parlamentare, che rivela le preoccupazioni, gli allarmi ed il disagio – ma implicitamente anche gli assordanti silenzi, per non dire delle mancate risposte – che si manifestarono in quel breve arco di tempo rispetto a quegli eventi, accuratamente incapsulati in un vuoto pneumatico tuttora duro a morire.”

“Il volume oltre a rappresentare un contributo che invita ad una quanto mai necessaria “operazione verità” sul Banco stimola qualche riflessione - in un provocatorio parallelo tra”locale e globale” – sul dramma del credito che si sta consumando oggi col “melting down” patrimoniale delle nostre banche più reputate.”

“Il disastro di oggi sembra solo più moderno di quello di allora e l’esperienza di allora ben si presta a qualche considerazione sul presente.”
“La meccanica della crisi fu allora ben chiara per chi voleva vederla;ma ciononostante tutto fu dominato e condizionato dalla litania della “mala gestio” recitata con una interessata ansia di circoscrivere la vicenda in questo rassicurante, pedestre recinto.
Oggi il liquefarsi di tanto reputati campioni nazionali, prospetta come reale il rischio che si replichi la meccanica devastazione, vissuta dal Banco a seguito del collasso nel quale fu precipitata nel 1992 l’economia del Sud. Era comodo nel 1994-1995 invocare la lotta all’inefficienza e al clientelismo per coprire gli effetti dell’irresponsabile conduzione della liquidazione dell’intervento straordinario. L’economia del Sud fu spinta nel baratro, senza paracadute,con arrogante incuranza del rispetto dei patti, contratti e delibere già prese e formalizzate;condannando a morte decine e decine di imprese e, con loro, molte banche meridionali e, soprattutto, il Banco. Quando, dalla sera alla mattina, l’Agenzia del Mezzogiorno chiuse, rimasero “appesi” 20.000 mld di investimenti ammessi a contributo e di norma prefinanziati in attesa delle erogazioni che non ci furono. Ecco un decisivo “fatto esogeno”(ben noto e documentato in letteratura) che spazza via molti pettegolezzi e rimette con i piedi per terra questa vicenda.”

“Se allora ci si accanì con azioni di responsabilità di ben scarso fondamento, ora per coerenza dovremmo deportare a Guantanamo un bel gruppo di banchieri non fosse altro per aver intossicato i nostri campioni con quelle “relazioni pericolose” delle quali andavano così fieri o – forse – per aver contabilizzato nella frenetica corsa al “consolidamento” immobilizzazioni immateriali per decine di miliardi di euro che oggi rappresentano una quota ben consistente del patrimonio utile ai fini di vigilanza. Se si applicasse, ora, meno della metà della severità “Bancocida” di ieri, per andare a “vedere” se esiste e di che consistenza sia un bluff patrimoniale, forse alcune banche dovrebbero ritrarsi a precipizio, lasciando a secco tante imprese, e destinandole ineluttabilmente all’incaglio e al naufragio.
Il disastro dell’economia, come insegna l’esperienza, a sua volta trascina le banche in una silenziosa o fragorosa discesa nel Maelstrom.
Una differenza non di poco conto è che “allora”, la slavina fu provocata esogenamente , “ora” la regia del magnifico epilogo è firmata, per così dire, dall’Unione Mondiale dei banchieri – imprenditori.”

“Spogliata, per le note vicende, del patrimonio essa [la Fondazione Banco di Napoli] non ha più modo di sostenere – come fanno le altre Fondazioni – il proprio territorio, cioè il Mezzogiorno. E questo è per sempre, con buona pace delle teorizzazioni sulla sussidiarietà e sulla missione del “privato sociale” che affida alle Fondazioni di matrice bancaria il ruolo di attive protagoniste. In realtà – quale che sia l’azione della banca – su questo versante si è da allora attivato un meccanismo di divaricazione Nord – Sud, ancora poco percepito, potente e socialmente insidioso.
Di questi tempi, con gli sconvolgimenti che si profilano all’orizzonte di domani, non di secoli a venire (che prospettano salvataggi imponenti sotto mentite spoglie), “capire” in tutte le articolazioni il problema, è una condizione indispensabile per riaprire ed aggiornare un discorso interrotto, importante per mezza Italia e sul quale finora si è messa una pesante pietra tombale.
Liberare il discorso del Banco dai consolidati luoghi comuni, potrà contribuire - e non è poco – a far scendere dal piedistallo l’equivoco monumento eretto alla “questione settentrionale”, un’ ossessione alla quale fa eco da Sud lo sciocco intento di “abolire il Mezzogiorno”: un obiettivo finora perseguito con un certo successo ed al quale la conduzione di questa vicenda ha dato un decisivo contributo.”



dalla Presentazione di Enzo GIUSTINO:


“…ho sempre considerato la vita del Banco di Napoli speculare a quella del Mezzogiorno ed alla sua economia. Con le sue luci e le sue ombre…..nelle congiunture positive come in quelle negative.”

“…credo sia importante anche ricordare perché le vicissitudini del nostro maggiore Istituto di credito siano state nel tempo sempre rappresentate con una letteratura più riconducibile ai luoghi comuni che ai fatti.
E tra i fatti va ricordata la eccezionale e positiva reazione sul mercato delle strutture del Banco quando, con il consolidamento dei debiti degli enti locali di cui al decreto Stammati, eravamo nel ’77, l’Istituto fu costretto a dover affrontare il mare aperto della concorrenza….recuperò rapidamente negli anni successivi, mostrando così di avere strutture e capacità per conquistarsi quote di mercato…”
“…la vitalità del Banco a si è potuta verificare anche successivamente. Cioè quando, venduto per sessanta miliardi,….è stato poi rivenduto per ben seimila miliardi. Per cui delle due l’una:…o era stato svenduto prima o è stato sopravvalutato dopo.”
“….uno dei motori che aveva indotto l’Istituto a finanziare quella iniziativa [la costituzione della partecipata “Innovare Spa”, nel 1986] era soprattutto quello di creare le condizioni affinché i protagonisti del ruolo della ricerca e quelli dell’industria , qui nel Mezzogiorno, si parlassero. Affinché gli sforzi degli uni e degli altri potessero sommarsi. La Banca avrebbe secondato questo processo…”



dalla Presentazione di Alfonso RUFFO:

“Ha un nome il killer del Banco di Napoli ed è il “principio della massima prudenza”. Quello che ha indotto gli amministratori di allora a contabilizzare perdite molto al di là del dovuto (come la cronaca si è poi incaricata di scrivere) e quello che, ancora, ha suggerito alle classi dirigenti del periodo di non inimicarsi una politica dominata dall’astro nascente della Lega e un apparato burocratico statale piegato alle ragioni del Tesoro e della Banca d’Italia.
“Per calcolo, paura o ignoranza……….. l’intero società napoletana e meridionale non volle o non seppe difendere il suo bene più prezioso, che da cinquecento anni fungeva da agente di sviluppo nell’area più povera del Paese, facendosi anche carico di problemi che il governo centrale non riusciva a risolvere….

L’intero sistema creditizio meridionale è ridotto ad un mucchietto di cenere….e all’attenzione dell’agenda politica torna la proposta di realizzare una nuova banca con il compito di fare proprio quello che al Banco di Napoli si è imputato di aver fatto. Ammesso che si riesca a ricostruire lo strumento, si troveranno anche uomini che ricordino che di “massima prudenza” si può anche morire?”

“Il volume di Emilio Esposito ed Antonio Falconio copre un vuoto d’informazione enorme e colpevole.”


Napoli, giugno 2009

mercoledì 1 luglio 2009

LA FUORVIANTE SEGNALETICA

Il mio amico, Maurizio, mi ha inviato una appassionata mail, con un link.
Maurizio mi sono permesso di ricopiare il tuo articolo/denuncia, perchè reputo quantomai inverosimile l'attenzione che gli amministratori regionali hanno nei confronti di Castellammare, tanto da non sapere neanche come si scrive;
Non voglio aprire nessuna polemica, ma immaginare che fra un anno siederà alla poltrona del primo cittadino una nuova persona, che qualunque sia il suo orientamento politico, dipenderà da una dirigenza regionale, i cui interessi sono rivolti a mantenere pulito il mare di sorrento e capri, è interessata a spendere milioni di euro per il waterfront napoletano, dimenticandosi del più grande parco naturale che comprende appunto anche Castellammare di Stabia.
E pensare che ci sono politici che sono stati artefici della vendita di una buona superficie di Monte Faito alla FINTECNA (società che possiede anche la finacantieri).
Continuando a SVENDERE il nostro territorio, o facendolo amministrare da persone che non conosco neanche il nome della nostra città, ed infine tendono a CANCELLARE LA NOSTRA STORIA, il popolo stabiese (come identità) è destinato all'estinzione!
Grazie Maurizio per quello che fai.


Facendo seguito ad una segnalazione del naturalista stabiese Ferdinando Fontanella, cogliamo l’occasione per condividere e commentare con tutti gli affezionati lettori, alcuni “strani” comportamenti di quella che dovrebbe essere la più importante istituzione di protezione della natura e promozione turistica del nostro territorio, ossia l’Ente Parco Regionale dei Monti Lattari.
A molti sarà noto che tra i comuni dell’Ente Parco, Castellammare con circa 65.000 abitanti, è quello più grande. Appurato ciò, vediamo però, qual è il livello di considerazione che i “Dirigenti” del Parco hanno per la celebre “Città delle Acque”.
La prima delle incongruenze/disattenzioni, è facilmente verificabile direttamente nel sito ufficiale: www.parcodeimontilattari.it, dove nella rubrica interna denominata “I Comuni del Parco”, la città di Castellammare di Stabia è annoverata con una sola “m” (Castellamare); qualcuno potrà pensare ad una banale distrazione, ed è esattamente ciò che gli autori del portale stabiese www.liberoricercatore.it (tra cui lo stesso Fontanella) pensarono prima di prendersi la briga di segnalare, a più riprese, il suddetto errore alla redazione del sito del “Parco”, ma tali missive e ogni qualsivoglia ulteriore tentativo di comunicazione fatto per amore di Castellammare e del giusto, purtroppo, ad oggi è rimasto tristemente inascoltato… che pensare quindi: “Noncuranza, mancata ottemperanza lavorativa o più semplicemente beata ignoranza?!”
Ma non è stata certamente questa “banale” distrazione ortografica, che ci ha spinto ad impaginare il presente articolo/denuncia, veniamo quindi alle nuove, strabilianti iniziative dell’Ente Parco che ci dimostrano quanto questa neonata Istituzione, sia presente, conosca e abbia veramente a cuore la tutela del vasto patrimonio storico/naturalistico di Castellammare. Ecco i fatti: da qualche giorno all’ingresso di via Quisisana (per intenderci la salita che conduce ai rinomati boschi di Quisisana e al viale degli Ippocastani del Palazzo Reale), campeggiano in bella mostra due nuovissimi cartelli stradali, appositamente studiati dal Parco Regionale dei Monti Lattari per segnalare due importanti realtà del territorio stabiese.
Il primo di questi cartelli segnala che da Castellammare è possibile prendere una strada per il Faito, e fin qui tutto bene (Castellammare è collegata al Faito), peccato solo che appena pochi tornanti più su, questa strada, che per anni ha deliziato gli amanti del "verde", oggi risulta essere pericolosissima per la mancanza di un costone franato, che ha ristretto o meglio dimezzato la carreggiata, particolare questo, assolutamente da non trascurare che ne pregiudica la normale percorribilità: facciamo notare che poco distante dalla frana è stata inopinatamente divelta e spostata sul ciglio della strada la transenna di sbarramento, sulla quale vi è un cartello che attesta che la strada dovrebbe essere chiusa al pubblico passaggio, così come disposto da ordinanza comunale. Immaginate quindi un povero turista o un qualsiasi altro sventurato che seguendo le indicazioni dell’Ente Parco tenta di salire al Faito da Castellammare e di punto in bianco, magari proprio in un momento di distrazione o di rilassamento, si trova a dover affrontare il tratto di strada franata…
Il secondo cartello invece indica che a Quisisana esiste un fantomatico “Albergo Reale”. Chi vive a Castellammare e conosce tutte le strutture ricettive, sa bene che questo albergo non esiste, e che il cartello verosimilmente fa riferimento al “Palazzo Reale di Quisisana” (peraltro ancora in ultimazione di restauro); con ogni probabilità, chi ha commissionato il cartello ha confuso, o meglio ha erroneamente messo in risalto l'aspetto meno importante della lunga e decorosa storia del Palazzo, prendendo a riferimento un aspetto marginale che ha caratterizzato per un breve periodo questa struttura, quando in un certo periodo del ‘900 il Palazzo Reale di Quisisana (originariamente residenza estiva dei regnanti di casa Borbone e polo attrattivo di tutta la nobiltà d'epoca), è divenuto sul calare della sua "Reale" esistenza, albergo Royal.
Mettetevi però, nei panni dell'ignaro turista ed immaginate l’effetto fuorviante che la suddetta cartellonistica può sortire, se il turista è interessato ad un pernottamento. Alla luce dei fatti esposti, le conclusioni risultano più che chiare: l’Ente Parco Regionale dei Monti Lattari ha impiantato i nuovi cartelli (ciò è lodevole), ma non si è affatto preoccupata di approfondire la conoscenza, le attuali problematiche e le esigenze del territorio stabiano.
La cartellonistica, che risulta essere inesatta o quanto meno inadeguata e non attendibile, potrebbe rivelarsi addirittura pericolosa per la pubblica incolumità, si fa pertanto appello ai responsabili dell’Ente Parco e agli Amministratori cittadini di rimuovere quanto prima i fuorvianti cartelli prima che si verifichi l’irreparabile. Si attende quindi con fiducia un pronto intervento risolutore.

martedì 30 giugno 2009

Perché il Re?

Ricevo e pubblico da Zitara

A quel che si sente dire, nella prossima settimana, si coagulerà un partito del Sud, espressione del personale politico siciliano e meridionale messo alle strette dalle restrizioni che il governo bossista va operando sulla spesa pubblica meridionale allo scopo di gonfiare quella settentrionale.
Se è questo il motivo della nascita di un partito del Sud, tanto valeva fondarlo negli anni Settanta, allorché ci si poté rendere conto che i governi italiani nella scelta tra industrializzare il Sud o portare avanti il grande capitalismo industriale e le centrali bancarie settentrionali, preferirono la seconda opzione.
Alimentato lo scempio del terremoto dell’Irpinia per motivi esclusivamente democristiani o socialisti, il festino si è chiuso, né ha prospettive di future edizioni.
Dal 1860 al 1971 il Sud ha pagato in denari contanti per lo sviluppo e l’occupazione del settentrione, allo scopo di innalzare il grado di partecipazione all’assetto statualistico delle nazioni europee. Non sono stati soldi spesi male, siamo felici di dirlo, ma vorremmo anche essere ringraziati, cosa che non avviene. Il Sud non ha bisogno del Nord e può crescere sulle proprie gambe (come avveniva prima dell’unità), sempre che sia messo in condizione di governare i propri surplus economici annuali, invece che conferirli alle centrali bancarie di Torino, Milano e Firenze.
Il partito che sta per nascere, e ci auguriamo che nasca, perché comunque innescherà uno scontro di opinioni. Il problema essenziale del Sud è costituito dal 25% della sua popolazione in età di lavoro – che non trova lavoro moderno- cioè circa 3 milioni di disoccupati veri ed occulti. Il compito della futura classe dirigente meridionale consiste nel colmare questa enorme frana, ma l’eredità che l’attuale classe dirigente porta dentro di sé, è delle peggiori, per dirla senza infingimenti di sorta, sono la corruzione e il menefreghismo di fronte all’interesse collettivo. Il meridione non ha bisogno di giochi di potere, ma di restaurare, dopo centocinquant’anni di corruzione cavurrista, la sacralità della legge e dello Stato, e ciò può discendere solo dal ritorno della monarchia legittima, sulla formazione di una aristocrazia politica, colta e onesta, che riprenda in mano il governo del paese meridionale. Di una rappresentanza popolare selezionata in modo nuovo, che faccia da setaccio all’autorità amministrativa.
Gli interessi divergenti tra Napoli e Palermo, che furono la causa della sconfitta dell’esercito borbonico del 1860, sono superati dall’evoluzione del quadro generale instauratosi nel Mediterraneo che si va ulteriormente assestando. E’ tuttavia un legittimo diritto dei siciliani decidere se stare con le popolazioni italiote del vecchio Regno o se creare uno stato proprio.
Nicola Zitara

martedì 16 giugno 2009

COLONIA DEI FERROVIERI

Promettere, cercando di non dimenticare nessuno che possa godere di un progetto, protrarre la discussione fino alla campagna elettorale ed iniziare i lavori solo dopo la rielezione a Sindaco di Castellammare di Stabia, Questa è politica!!!
Si tira in ballo nuovamente l’ex colonia dei ferrovieri, si propone di farla diventare o un centro per anziani (Voti!!!) o un ostello per la gioventù e centro per la cultura destinato ai giovani stabiesi (altri voti!!!) o un super albergo di lusso (guadagni sicuri per le casse comunali e buon merce di scambio per …voti!!!)
La politica, anzi il pensiero dei politici è volto solo ai consensi elettorali, ed a conferma di quello che dico si può constatare come negli ultimi periodi, alla luce dei risultati elettorali, si vedono le alleanze/riappacificazioni fra vari partiti stabiesi.
Poco importa se già è stato deciso cosa dovrà diventare l’ex colonia dei ferrovieri, (chissà forse vedremo fra 4-5 anni un bel HOTEL MARRIOT STABIAE, albergo superlussuoso, chissà forse il Sindaco ha già contattato qualche albergatore che nella nostra zona rappresenta qualche catena alberghiera per constatare la fattibilità del progetto) , l’importante è recuperare consensi elettorali aprendo un dibattito cittadino, e coinvolgendo il popolo in una discussione pilotata.
La ricerca di consensi politici con la realizzazione di opere pseudopubbliche, porta benefici fittizi ai cittadini, che vedono nuove strutture ma non possono trarne benefici diretti, magari anche passeggiando la dove prima c’era uno spazio aperto.
Per esempio con la delocalizzazione delle risorse turistiche, Marina di Stabia, si lascia nel centro cittadino il porto industriale, (tendenza opposta a tutte le realtà di riqualificazione del water front di diverse cittadine europee), quindi da una parte un oasi di ricchezza non fruibile vista la posizione infelice (stiamo parlando quasi di Torre Annunziata!!!) ed un'altra inaccessibile ora e dopo la ristrutturazione perché è, e sarà sempre, luogo di carico e scarico merce dalle navi (il porto ed i sottoservizi sono strutturati per questo), quindi non si può parlare di una riconversione turistica della città se prima non si creano i presupposti, anzi si distrugge quello che di buono c’era.
La “donazione” di parte del litoraneo pubblico “ex calce e cemento” a società con sede legale al nord per la realizzazione di altri spazi chiusi alla cittadinanza, anzi al popolo stabiese.
Palazzo Reale. Troppo lontano per poter promettere alla popolazione qualcosa di concreto, meglio scaricare le pene alla Regione Campania!!!
In ultimo con la realizzazione del futuro albergo superlusso “ex colonia dei ferrovieri” si occluderà un ulteriore spazio che forse andrebbe sfruttato diversamente.
Ma cosa farne allora dell’ex colonia dei Ferrovieri?
Vista la posizione e la struttura, creata per essere ricettiva, sarebbe difficile prevederne un utilizzo diverso, ma sicuramente qualcosa per la popolazione può essere fatto.
In diverse città Europee sono nate le residenze di sviluppo, studio e compagnia.
In effetti sono luoghi in cui gli anziani, ancora fisicamente autosufficienti vanno ad abitare, ed in cui trovano come coinquilini giovani non sposati ed in cerca di prima casa. I primi coltivano il proprio orto, insegnando ai secondi l’arte dell’agricoltura, o l’arte della professione da loro esercitata in passato, mentre i secondi ricambiano regalando il proprio tempo libero, per fare la spesa, per sbrigare una pratica burocratica, o magari per un po’ di compagnia per vedere una partita di calcio in televisione.
L’ente cittadino avrà il compito di controllare, stabilire le condizioni per accedere al servizio ed effettuare costantemente (in alcuni casi sono stati realizzati uffici in loco) il mantenimento di tali requisiti, e naturalmente la banca del tempo è un requisito a cui i giovani e gli anziani non possono sottrarsi per accedere alla residenza.
Certo questa è solo un idea, sono sicuro che a tanti potrebbe piacere, ma “i tanti” non sono la politica, sono semplicemente il popolo.
Nello Esposito

venerdì 12 giugno 2009

REDAZIONE DUE SICILIESaviano: ecco le storie disperate di un Sud sempre meno europeo

Ricevo e pubblico da redazione due sicilie



Saviano: ecco le storie disperate di un Sud sempre meno europeo
di Marco Alfieri


11 Giugno 2009
Roberto Saviano


«La questione meridionale, in fondo, continua a esistere». Siamo sempre lì, «al vecchio Giuseppe Mazzini, che ai nuovi militanti della Giovane Italia diceva: ricordatevi, l'Italia sarà soltanto quel che sarà il sud Italia…». Cos'altro è, dopotutto, «quella tragica diaspora di cervelli campani, pugliesi, calabresi o siciliani verso il nord che interrompe la speranza di migliorare il mezzogiorno, se non questione meridionale? Certo, la politica ha buon gioco a passarla sotto silenzio. Ma ci sono interi territori, paesi, che si stanno svuotando nel silenzio dell'opinione pubblica e dei media. Purtroppo sono rare le persone di talento che riescono a restare al sud. Il cinismo e l'apatia ti divorano. Che tu sia fabbro o musicista, quando tutto diventa impossibile, la quotidianità o anche solo una serata da passare in tranquillità, non puoi far altro che galleggiare, e appagarti di tutto…». L'altro ieri, per Mondadori, è uscito il nuovo libro di Roberto Saviano.

S'intitola La bellezza e l'inferno e raccoglie una serie di articoli e racconti brevi 2004-2009. Lo scrittore che ha svelato al mondo gli orrori e le miserie di Gomorra, ieri è venuto al Sole 24 Ore, e ha discusso con noi di politica, di economia, di criminalità, di bellezza, che è poter continuare a scrivere «ai miei lettori. A chi ha reso possibile che Gomorra divenisse un testo pericoloso», come sta scritto nel frontespizio di copertina del suo libro. Certo in una vita costretta. E di inferno, o almeno di un suo spicchio perverso: i brogli di Napoli, l'incendio siciliano a poche ore dal voto, e «l'astensionismo che ha paralizzato mezzo meridione, impedendo a molta gente di partecipare in modo pulito alla cosa pubblica».

Dice Saviano «che il sud continua ad essere un bacino enorme di voti facili, acquistati a poco». Una prassi consolidata, il voto di scambio, «ma ai tempi della Dc e del Psi era centrato su un baratto chiaro: un voto, un lavoro. Adesso lo scambio è costruito sui 50 euro. Sui 25 euro. Sul telefonino nuovo. Sul corso di formazione. Sono queste le nuove monete della politica meridionale. Tutto è svilito, svalutato».

Per Saviano l'astensionismo nasce da qui. «Lo dimostra come sia stato più alto alle Europee dove c'era meno da guadagnarci dal voto. Alle amministrative, invece, al seggio ci vai, perché in questo modo ti risparmi un mese di mutuo, o una spesa al supermercato pagata». Non sono esempi a caso quelli di Saviano, ma è la mappatura delle forze dell'ordine su questa terribile peste che è il voto di scambio. «Solo che c'è un salto di scala fortissimo rispetto ai tempi di Giovanni Falcone. Oggi i cartelli sanno che la politica va gestita con enorme cura. Non mettono più loro uomini direttamente, ma fanno al modo delle grandi corporation, in grado di fare pressioni sulla politica con il loro business economico. Le cosche hanno in mano il ciclo del cemento, dei trasporti, del petrolio». I punti nevralgici. «Ovvio che riescano ad indirizzare il consenso e i voti senza quasi sporcarsi le mani».

Ma così la politica diventa qualcosa di inutile, «che ti da un sollievo momentaneo, come quello dei pusher». Un placebo corruttivo. «E poi svaluta tutto. Chiunque vada su, poco cambia. Tanto rosso o nero che sia, sappiamo bene dietro chi comanda. Tanto più nella politica locale, dove la criminalità organizzata cerca la trasversalità. E non si salva nessuno». Nessuno.

Dice Saviano che lo stesso voto europeo «ha riacceso gli appetiti sulla grande fame di capitali pubblici per sostenere intere strutture di welfare che lo stato italiano non è più in grado di mantenere. Questa è oggi l'Europa vista dal meridione: una nuova grande Cassa del mezzogiorno. A Napoli, Reggio Calabria, Bari, Palermo, i fondi Ue servono per tenere insieme i corsi di formazione, la disoccupazione, le clientele e le attività sportive». Per questo il cambiamento elettorale alla provincia di Napoli fa pensare molto Saviano. «È difficile credere, dopo quel che è successo sui rifiuti e l'attenzione sui cartelli criminali, raccontata in mondovisione, che a Napoli si sia fatta una campagna elettorale senza citare mai una volta, la parola camorra. Mai, dico mai, un riferimento alle contraddizioni della criminalità organizzata. Mai un accenno al ciclo del cemento, o al fatto che molte persone coinvolte nella campagna hanno avuto problemi enormi con i cartelli criminali».

Purtroppo, invece, «prevale il cinismo che nasce dal quotidiano campare», dice Saviano. «L'idea che chi vuole che le cose cambino in realtà sta solo speculando sulle tue aspettative». A tutto questo contribuisce una politica ridotta a merce di scambio. «Un tremendo suk. E non è moralismo il mio, badate. La politica, lo insegnano gli anglosassoni, è anche affermazione delle proprie ambizioni e del proprio talento. Ma questo non significa rubare o saccheggiare, dovrebbe essere anzi uno stimolo a gestire meglio la cosa pubblica».

Com'è lontana l'America, per Saviano. «Democratici o Repubblicani, fa lo stesso. Piena di passione, di speranza. Da noi è ridotta ad un pantano. Lo diceva già Giustino Fortunato: al sud fa politica di solito il più brigone, il più furbo. Il figlio più di talento, fa l'imprenditore. O se ne va».

Invece l'ultima volta che Saviano ha sentito un tuffo al cuore è stata quella volta al Circo Massimo, ottobre 2003. «I tre milioni di Sergio Cofferati. Perché se non parla al cuore, se è a cuore freddo, la politica è finita. Spacciata». Per questo, «mi chiedo: ma davvero l'elettorato meridionale non si rende conto di quanto siano infettati molti suoi amministratori? Io non lo credo. Perché poi il 50 euro del voto di scambio ti torna indietro con interessi usurai quando ti intombano i rifiuti vicino a casa, o gli scarti tossici sotto le scuole dei tuoi figli, come in Calabria, o nelle discariche satolle in Campania, o quando sei costretto ad emigrare o a lavorare militarizzato nei cantieri».

Non solo sud, dice però Saviano. Perché il grande intreccio sale e sale come la linea della palma di Leonardo Sciascia. Ogni anno, si mangia un pezzetto di Stivale. «Il problema è proprio questo. Al nord cittadini e istituzioni non hanno cognizione vera della piaga. Al nord la mafia non è un problema sociale, come a Scampia, a Casal di Principe o a Locri, ma economico, perché ormai le mafie investono quasi solo qui. Al sud, non le conviene. Lo dicono i rapporti del Procuratore nazionale antimafia».

Siamo alla grande spartizione. «La ricostruzione dell'Abruzzo alla camorra, l'Expo di Milano alla n'drangheta». Come? «Una sola parolina magica: sub-appalto. La grande impresa pulita vince la gara, ma poi, dietro, chi fornisce il calcestruzzo? Chi le pale meccaniche? Chi i carpentieri? E chi ti fa il massimo ribasso del 40%?». Già il pool antimafia di Antonino Caponnetto lo diceva: «se l'unico criterio di aggiudicazione è sempre e solo il minor costo al minor tempo possibile di realizzazione, vinceranno sempre loro, le imprese colluse».

Ma dice Saviano che con la crisi salirà ancora la linea della Palma. «Gli studi dell'Onu ci dicono che la grande recessione sta spingendo il narcotraffico ad entrare nelle banche europee. La liquidità sta per finire lì dentro, con una certa perversa lungimiranza. Perché non entrano per impossessarsene. Ma per orientare e governare la ripresa economica, dirottando i flussi finanziari su quelle attività e quei settori d'impresa che decideranno le sorti del paese domani».
Nemmeno si può fermare questa peste solo con le belle parole. «Le associazioni, le denunce, i manifesti, gli appelli. No. Solo il business sano scaccerà i soldi marci. Solo se rendi conveniente fare i soldi puliti si riesce a sconfiggere Gomorra». Oggi pagare l'estorsione paradossalmente conviene. «In cambio hai sicurezza sul posto di lavoro, garanzia di consegna nei tempi dei Tir, le assicurazioni a sconto, uno sportello prestiti senza interessi usurai, i permessi per aprire i locali e i prodotti della spesa in offerta, come il latte, che i casalesi compravano da Parmalat al 30% in meno».

E poi l'inferno, come un pezzo di titolo del suo nuovo libro, per Saviano «è sempre più l'idiozia della classe dirigente meridionale, convinta che se si denuncia il marcio si allontanano gli investimenti. Parliamo del bene, non del male, dicono. Parliamo di turismo, non di camorra. Ma questa è una colossale bugia. Perché non puoi incentivare il turismo se distruggi le coste, o se il circuito viene alimentato con i soldi sporchi».

«È come se parlando del male tifassi per il male», s'immalinconisce Saviano. «Un'accusa che viene fatta a me e ai tanti maestri di strada che provano a cambiare le cose, ma che proprio non sopporto. Quasi fosse la missione di un fissato, di un mistico». Per questo, ripete, ci vuole la convenienza, anche utilitaristica, a fare business pulito.

«E' la Silicon valley che si deve fare nel sud. E questo lo possono fare solo grandi aziende illuminate. Chi ha uno spirito diverso, come Adriano Olivetti, che arrivò a Napoli e fece costuire piccole villette per i suoi dipendenti vista mare». Non un dettaglio romantico. «Già Eleonora Pimentel De Fonseca istituì il diritto di ogni napoletano a vedere il mare, che poi era il modo per fermare il futuro abusivismo». I rivoluzionari partenopei e Olivetti. «Ripartiamo da qui», dice Saviano. «Dal migliorare le piccole cose della vita quotidiana: i bus che arrivano in tempo, il laboratorio di analisi che funziona… Una quotidianità infernale ti peggiora solo, ti abbruttisce. Né basta per salvarsi il blasone della storia, o una cultura grandiosa alle spalle. Sarebbe solo un grande alibi…».

venerdì 29 maggio 2009

E' GIA' TEMPO DI COSRUIRE LA FLOTTA

Ricevo e pubblico da

Nicola Zitara


Nei rapporti commerciali, politici e culturali di uno Stato con l'estero non sempre esiste coincidenza d'interessi tra lo Stato e le singole regioni dello stesso. Ciò è particolarmente vero per il Mezzogiorno d'Italia. A riguardo occorre notare che con l'unità politica del 1861 tutte le relazione estere che il Regno delle Due Sicilie (cioè il paese meridionale) intratteneva furono cancellate. La cancellazione mortificò e negò alla radice anche gli interessi sottostanti. Al Mezzogiorno vennero interposti interessi non sempre suoi. La nuova classe al governo orientò le sue decisioni sulla base dalla domanda padana. Il Mezzogiorno si trovò trascinato a condividere la politica commerciale adottata da Cavour nella fase del Regno di Sardegna, la quale privilegiava gli scambi con la Francia (confinante con il Piemonte). In una fase in cui mancava ancora in Italia una industria moderna e la domanda di manufatti era soddisfatta con le importazioni dall'estero, la posizione frontaliera di Piemonte, Liguria e Lombardia portò alla concentrazione in queste regioni dei grandi distributori nazionali di manufatti esteri. Il crollo dei capitalisti meridionali fu altissimo, e altissimo fu l'interfacciale profitto dei capitalisti padani, tanto che s'ingenerò la favola di un Nord industrializzato, mentre in realtà si trattava soltanto di un capitalismo commerciale privilegiato dalla localizzazione sulla frontiera centroeuropea del nuovo Stato.

La sommatoria unitaria tra regioni propriamente continentali (la Padana) e regioni mediterranee, nonché la posizione dominante assunta dalle prime, è una delle cause profonde e meno note del disastro meridionale. Ieri come oggi la vicenda commerciale e le relazioni economiche con l'estero sono fondamentali per la storia di tutti i paesi. Prendiamo il caso di due grandi Repubbliche marinare italiane: Genova e Venezia, nei fatti due imperi economici. Entrambe decaddero in seguito all'inaugurazione di una rotta marittima verso l'Oriente, con la circumnavigazione dell'Africa, e con la scoperta dell'America. Merci rare e costose che, trasportate da carovane di cammelli attraverso le montagne e i deserti orientali, presero ad arrivare in Europa in grande quantità e a prezzi accettabili a un pubblico più numeroso di consumatori. Emersero le grandi potenze navali dell'Oceano Atlantico, l'Olanda, il Portogallo, la Spagna, la Francia, l'Inghilterra. Per i suoi rifornimenti l'Italia, da paese privilegiato, divenne un paese dipendente. Bisognò inaugurare nuove rotte d'alto mare e nuove rotte sotto costa. Sul finire del '600, i mercanti inglesi s'impiantarono a Livorno rifondando la fisionomia economica del luogo. A sua volta i livornesi svilupparono una rete d'intensi traffici intorno alla Penisola. L'attività della mercatura livornese ha grande rilevanza per la penetrazione di manufatti inglesi in Italia, specialmente nel Sud, e per l'adozione di consumi moderni. L'egemonia livornese si protrasse per tutto il Settecento e solo nella prima metà dell'Ottocento Napoli riuscì a mettere in piedi una sua marina competitiva, che praticò le coste del Sud ben oltre l'unità, integrando le produzioni di province fra loro lontane, e che si spense soltanto sulla soglia della Prima Guerra Mondiale.

Le ferrovie polarizzate su Milano, su Torino, sul Brennero hanno stravolto l'economia e la vita del Sud. Da centro del mondo ancora al tempo di Federico II, il Sud è passato a essere un lembo marginale, superfluo dell'Europa. Ma mentre noi piangiamo sulla nostra infelice vicenda collettiva, le rotte del commercio mondiale non sono più quelle di vent'anni fa. Ben prima di noi ne hanno preso coscienza le popolazioni padane, le quali si aggrappano sempre più pervicacemente all'economa del Centro Europa per non perire anch'esse di marginalità storica. Ma l'Europa non può più sopravvivere come un'area economica chiusa o quasi chiusa in se stessa. L'indipendenza dell'Egitto, l'allargamento del Canale di Suez, lo sviluppo economico dell'Asia stanno rimettendo in gioco le rotte del commercio mondiale. Senza questi fatti il successo del porto di Gioia Tauro sarebbe inspiegabile. Ma Gioia non può restare un gioiello solitario.

Il nostro sussiego di uomini bianchi ci indice a immaginare l'Africa settentrionale come un luogo abitato dagli ascari della Domenica del Corriere, truppe cammellate in divisa bianca, fez rosso e piedi nudi che combattono sotto il generale Graziani a fianco delle nostre truppe. A cinquant'anni dalla decolonizzione, dall'altra parte delle coste europee ci sono oggi importanti nazioni moderne, alcune delle quali hanno già imboccato la via dello sviluppo economico e dell'istruzione obbligatoria. Questi paesi hanno rapporti lontani, confinari con il resto del mondo. A essi, come al Sud italiano le rotte d'alto mare non bastano a integrare e sviluppare le economie interne. In verità queste rotte lontane non sono mai granché esaltanti. Nel secolo XVIII le rotte atlantiche non avrebbero giovato molto all'America del Nord se non si fosse sviluppata a fianco una rotta tutta americana con le Antille e l'America centrale per lo smercio di grano, di farina e di manufatti. Nell'Ottocento la rete ferroviaria messa in piedi nei vari paesi europei, compresa l'Italia toscopadana, sviluppò non tanto gli scambi internazionali quanto gli scambi interni, regionali e locali. Il progresso materiale fu grandioso. Al Sud, data la natura del territorio le ferrovie non prestavano a scambi facili e costosi. Ferdinando II spese una cifra colossale in porti, cantieri, navi per animare gli scambi. Le nostre amate Marine joniche non sarebbero nate senza quei traffici. Il veliero - una sorta di venditore ambulante sul mare - calata l'ancora in rada, sbarcava e imbarcava prodotti agricoli freschi e trasformati, e manufatti. Il naviglio più grande trasportava merci destinate al rifornimento delle due capitali, dei grossi centri urbani e per l'esportazione. I maggiori importatori ed esportatori avevano le loro aziende nelle città portuali e dovunque esistesse uno scaricatoio. Non di rado il dettagliante offriva le sue merci da una barca. Spesso a praticare il piccolo commercio era lo stesso capitano del veliero. Lo storico sidernese Mimmo Romeo, spulciando e compulsando atti notarili e documenti amministrativi nell'Archivio di Stato di Locri ha trovato ha trovato che nel 1868, nella rada di un paesino che non aveva diecimila abitanti, gettarono l'ancora 543 bastimenti, per una portata complessiva di 14.579 tonnellate e un movimento passeggeri di 895 persone; nove ogni 100 abitanti. Nel 1843, quando la popolazione insediata nella rada di Siderno aveva raggiunto appena le 6.483 unità, vennero imbarcati o sbarcati i seguenti prodotti: olio, legname di gelso, pelli, agrumi, fichi secchi (al tempo un alimento fondamentale per gli eserciti), legna di ulivo da ardere, canapa, scorza di faggio, ossa di bove, cacio, salame, vino, castagne, noci, seta grezza in matassa, carbon fossile, granatella. La marineria è stata la più grande eredità che Ferdinando II ci ha lasciato. Ancora nel 1920 i grossisti di Siderno importavano la farina via mare. Gli scambi locali, l'integrazione delle economie nascono così.

Oggi si ha un'idea sbagliata dell'Africa settentrionale. Si tratta invece di componenti essenziali della civiltà come oggi viene definita. Prima della Grecia e di Roma c'erano l'Egitto e i paesi delle sponde orientali del Mediterraneo. In età greca la Cirenaica fu la sponda navale per i commerci tra città greche e città magnogreche. In età romana, l'attuale Tunisia fu la provincia più ricca e colta dell'Impero; un primato che si prolungò all'età bizantina. L'Africa non è oggi così lontana come ai tempi di Mussolini. La decolonizzazione ha cambiato tutto. Costruiamo la flotta, come fece Ferdinando II, può farlo per esempio un consorzio fra le regioni meridionali. Sarà un mondo antico e nuovo. I traffici e lo sviluppo verranno.

martedì 19 maggio 2009

INDIPENDENZA CAPRESE


“…provo nostalgia per il piccolo mondo antico che si va spopolando … per far posto ad una industria ..” 
Con queste parole pronunciate in un discorso funebre Edwin Cerio Sindaco di Capri nel 1922 salutò il Manfredi Pagano, ed io le rispolvero per salutare una realtà che i giochi politici stanno ammazzando.
L’accanimento verso una persona, titolare di una grande azienda caprese, sta distruggendo quella sensazione di indipendenza che l’isola poteva fino ad ora vantare, se non quella politica ed economica, almeno quella elettrica.
C’è gente sull’isola che si sta battendo per la realizzazione di un elettrodotto tipo xtle, per collegare l’isola di Capri alla rete elettrica nazionale, e forse sono le stesse persone che gioivano quando il 28 settembre 2003 non si accorsero del blackout che colpì l’intera nazione, perché Capri grazie alla sua centrale termoelettrica potè vantare della sua autonomia.
La centrale elettrica è di proprietà S.I.P.P.I.C. ( Società per le imprese pubbliche e private per l’isola di Capri).
La SIPPIC, creata per volontà di alcune persone filonittiane nel 1905, per creare “l’impianto e l’esercizio di imprese elettriche e di qualunque altra impresa pubblica o privata, che potesse giovare allo sviluppo dell’isola di Capri”, la sede legale inizialmente era a Milano, come tutti i soci e fu creata proprio per volontà dei milanesi che avevano acquistato tramite la Società immobiliare alberghi, alcune strutture ricettive (quisisana ed albergo pagano) ed avevano bisogno di tanta energia elettrica per dare un servizio eccellente all’allora crescente turismo, e soprattutto per alimentare la nuova FUNICOLARE (stesso proprietario).
La SIPPIC è sopravvissuta alla nazionalizzazione delle imprese produttrici di energia elettrica del 1962, (che portò alla scomparsa tra l’altro dell’unica azienda produttrice di energia elettrica del mezzogiorno la SME).
Intanto è passata nelle mani di un proprietario del SUD Italia diventando a tutti gli effetti una società caprese a servizio dei capresi.
Ma questa è storia.
Ora che i capresi godono di una indipendenza elettrica(se non si considera l’acquisto del carburante) vogliono REGALARE i loro soldi nuovamente ai milanesi.
I cavi dell’elettrodotto a realizzarsi, saranno prodotti dalla Pirelli Cavi, per esempio, e sarà di proprietà Terna, e porterà energia elettrica prodotta dall’Enel. A queste società andranno i soldi dei capresi, che vedranno probabilmente anche deturpare anche la spiaggia retrostante il porto commerciale (uno dei probabili punti d’arrivo del cavidotto), ed è da coraggiosi o incoscienti sottoscrivere un progetto del genere, ora che l’italia sta diventando un paese economicamente federalista, significa privare i capresi di soldi provenienti da una attività locale, per finanziare, in virtù della legge federale, le casse delle regioni settentrionali che godranno, se pur di una piccola somma, di tasse provenienti dalla fatturazione dell’energia elettrica e dei sottoservizi installati sull’isola di Capri.
Naturalmente non è tutto oro quello che luccica, l’attuale centrale di produzione di energia elettrica sita nel bel mezzo dello skyline portuale caprese, reca un danno enorme alla vista dei turisti ed ai polmoni dei residenti, che sono costretti a respirare i fumi prodotti dalla combustione della centrale, ma la centrale è stata costruita ad inizio del secolo scorso da milanesi, quindi da persone che badavano al risultato immediato a discapito del gusto e di una visione futura di un paese.
Quindi se ci sono soldi da poter investire, è più ragionevole dirottarli sulla delocalizzazione e riconversione di una struttura che garantisca l’indipendenza dalle società settentrionali di produzione di energia elettrica, non lasciamo che la finanza milanese invada per la seconda volta l’isola di capri.
È incredibile poi che la lotta nei confronti della SIPPIC trovi come promotore uno che fino a qualche anno fa voleva trasformare l’isola in un Principato. Ma questi sono giochi politici non hanno un filo logico!
Nello Esposito



mercoledì 29 aprile 2009

Chi ha davvero a cuore le sorti dell’italia?

I momenti che più amo sono quelli che precedono le elezioni, qualsiasi esse siano; è in questi momenti che le forze politiche tirano fuori dai propri cilindri le più fantasiose cavolate per raggiungere il loro principale obbiettivo, i consensi elettorali, i voti!

È inutile parlare male del governo Berlusconi, il suo operato non raggiungerebbe la mia bravura nel criticarlo. Naturalmente non tutti la possono pensare come me, ma mi chiedo:

cosa ha fatto di concreto per il sud italia? quanti fondi sono stati dirottati dall’expò di milano al Sud italia? quali iniziative ha intrapreso per risollevare le sorti dei piccoli imprenditori meridionali? Quali leggi sono state varate per la salvaguardia dell’agricoltura nel meridione? Ha usato lo stesso metro di azione nella valutazione delle emergenze? (l’ultima domanda si riferisce alla prontezza nell’inviare l’esercito nel meridione quando nel nord italia ci sono cinesi che si ammazzano, folle di giovani che prendono a sassate i vigili urbani, o un giro spaventoso di droghe di ogni genere ed in ogni fascia sociale). In che modo ha favorito le regioni del sud con il varo del federalismo fiscale? …

quindi premesso che il mio voto non andrà certamente alla coalizione di centro destra, non mi resta che votare l’opposizione?

!!!

quale opposizione, quella senza leader e senza programma? Quella rappresentata da Franceschini? È da poco partita anche per loro la caccia ai voti, che hanno portato il leader(???) del PD su un treno in giro per l’italia, e ad Eboli, ha promesso (anche lui) di attivarsi per un assegno di mantenimento per i laureati disoccupati, dichiarando che il governo ha tradito il mezzogiorno.

Premesso che mezzogiorno è una parola usata solo dai politici per individuare una parte del paese in cui è sempre ora di mangiare (Troisi docet), io mi chiedo “e voi in questo tradimento che ruolo avete interpretato?” Non vi sprecate a fare i moralisti quando il vostro ruolo in questo tradimento è stato quello di RUFFIANI.

Dove eravate quando vi è stato mostrato il disegno di legge sul federalismo fiscale? Eravate nelle retrovie annuendo. Di chi era il compito di redarguire le incompetenze mostrate da Bassolino nel gestire per anni una città ed una regione nel peggior modo possibile, aprendo le porte ai facili arricchimenti delle aziende del nord che venivano a “mangiare” a casa nostra? E quale posizione avete preso negli anni mentre le compagnie petrolifere sfruttavano il territorio Lucano portando via vita e ricchezze? Cosa avete fatto per evitare che le ricchezze, umane ed economiche, prodotte nel mezzogiorno finissero nelle solite tasche di pochi imprenditori del nord italia? e nei vostri giri in barca, non avete mai notato la quantità di navi che con i loro veleni giacciono sol fondo a largo della costa ionica calabrese?…

La differenza fra Berlusconi e Franceschini, è che il primo si muove sulla base di un programma e con un obbiettivo, personale, ma presente, che gli garantiscono i voti di una parte del paese; il secondo è un piatto vuoto, il cui unico obbiettivo è parlare male del primo!

Vicino a questa corrente politica c’è quella di DI PIETRO… vabbè, ho detto tutto!

Altra alternativa UDC, si quella che ha per candidato EMANUELE FILIBERTO DI SAVOIA, l’erede delle belve che hanno massacrato un popolo e distrutto una nazione! Non vedo il motivo per cui dare il voto a loro.

L’ MPA ha un valido programma, raggiungere il 4%, per il resto, visto i programmi, le persone, e le iniziative, non vedo niente nè di MOVIMENTO tantomeno di AUTONOMIE.


Purtroppo non si può contare neanche sui movimenti partiti indipendentisti meridionali, che sono vittime degli atteggiamenti e le strategie politiche interne;

ATTENZIONE, non parlo di alleanze con partiti nazionali, ma di atteggiamenti e strategie degne di dei peggio partiti politici, con la differenza che una dichiarazione di un leader nazionale muove milioni di voti, una dichiarazione di un leader di un movimento o partito indipendentista, può interessare ad una decina di persone.


Il problema principale non è rappresentato dai politici, ma dagli elettori.

I parassiti prolificano in un corpo malato.

LA DEMOCRAZIA E’ PURE ESPRIMERE CON LA SCHEDA NULLA L’INESISTENZA DI UNA CLASSE POLITICA CHE HA A CUORE LE SORTI DEL SUD ITALIA!

Nello Esposito