di A.C.Zini
L’emigrazione di massa, classica valvola di sfogo della sovrappopolazione (relativamente alla produzione) del Sud italiano, pare sostituita da fughe individuali. Per altro l’apporto (sussistenziale) delle rimesse, che caratterizzò le migrazioni di massa sta rivelandosi poco significativo. Oggi, nonostante il calo delle nascite, nel Sud italiano l’inoccupazione delle persone in età lavorativa appare paurosamente elevata. L’offerta di lavoro non riceve adeguata risposta. L’iniziativa privata, tutt’altro che debole ai bassi livelli d’impresa, non ha ricadute ad alti livelli, in quanto:
1) il comando centrale delle attività finanziarie è ubicato fuori dell’area economica,
2) nel Sud, il rischio d’impresa si connette, di regola, a una o più persone fisiche, per cui è percepito più fortemente che nell’area toscopadana, dove si diffonde tra la collettività degli azionisti, una pluralità di banche, lo stato e gli altri enti pubblici,
3) manca una capitale culturale che abbia assorbito la funzione della Napoli preunitaria.
Una spregiudicata valutazione della strana condizione economica del paese meridionale non può escludere che il diffuso ricorso alla violenza e all’associazionismo mafioso dipenda dalle difficoltà che l’ambiente economico frappone alla mobilità sociale. E’ comunque falso che al Sud non esista una borghesia attiva. Esiste il capitalismo “possibile”, quello dell’impresa minuscola, il più delle volte incastrata nel ruolo di nodo periferico delle aziende padane, sia nel settore della distribuzione sia nel comparto dell’artigianato delle riparazioni.
Il paese meridionale ha l’urgente e imprescindibile necessità di attivare la produzione manifatturiera, la produzione agricola (che non si esaurisce con l'olio) e le attività culturali a queste connesse. La proposizione, secondo cui le risorse occorrenti debbano emergere dal grembo dello stesso Sud, sorvola fin troppo semplicisticamente sui sensi unici che presiedono ai meccanismi di mercato.
Le difficoltà emergenti, connesse essenzialmente con il padanismo vigente a livello di Stato centrale, e le minacce insite nel federalismo fiscale, nonché un principio basilare del diritto secondo cui l'indebito arricchimento è un vulnus, ripropongono il tema del “compenso” all’emigrazione; tema che configura tanto il riconoscimento di un “diritto”, quanto un intervento politico volto a riequilibrare il sistema sbilanciato. Le popolazioni meridionali sono state indotte dalla retorica unitaria a giudicare l’esodo come un beneficio economico personale e famigliare, anche se accompagnato da una mortificazione degli affetti e dei sentimenti. Sfugge non solo alla gente ma anche alla tematica politica (ma qui ad arte), l’idea che andrebbe ripagato alla regione di origine il costo sopportato per formare una persona che poi è costretta a emigrare. L’opinione comune si è assuefatta all’idea che il fenomeno migratorio sia colpa dell’avversa natura e/o del ritardo storico che “gli odiati borboni” avrebbero imposto al Sud.
Forse è per questo che sui costi a perdere sopportati dalle regioni di origine, in connessione con il movimento migratorio, e sui gratuiti vantaggi, che simmetricamente conseguono i luoghi di immigrazione, esiste una magra letteratura. La tematica è stata affrontata con sistematicità – ma con scarsi echi - da Paolo Cinanni nel volume “Emigrazione e imperialismo”, pubblicato nel 1968.
Cinanni delinea la problematica in termini storici: “Con la sua emigrazione secolare, l’Italia ha contribuito largamente all’arricchimento e alla conquista di posizioni di dominio da parte delle economie più forti del mondo. […] utilizzando forze di lavoro supplementari, già formate da altri sistemi, l’economia dei paesi e delle regioni d’immigrazione si avvantaggia grandemente, in quanto risparmia le stesse spese di formazione di tali forze […].
In precedenza, Pasquale Saraceno aveva avvertito che: “L’unificazione economica della società italiana non è obiettivo che possa essere automaticamente raggiunto in virtù soltanto di una accumulazione di capitale intensa e prolungata; occorre anche che il capitale di nuova formazione si riparta fra le diverse regioni del paese in proporzioni che riflettano la disponibilità di forza-lavoro delle regioni stesse.”
Neanche questo avvertimento è stato recepito. L’attuale condizione del Sud non occorre spiegarla, purtroppo è una realtà scolpita dai fatti. Soltanto un’iniziativa di valenza politica potrebbe segnalare alle popolazioni meridionali che, forse, una rimonta è possibile anche senza un radicale sommovimento della struttura nazionale.
Invece che chiacchiere e lagrime di coccodrillo il prolisso governatore Loiero potrebbe mostrare i denti. Non si dice tutti i giorni, ma almeno una volta all'anno. Si metta d'accordo con altre quattro governatori e presentino una legge di iniziativa regionale:
che fissi il compenso dovuto da ciascuna delle regioni italiane di immigrazione a favore di ciascuna regione d’emigrazione, e inoltre che i fondi così ottenuti siano devoluti a istituti regionali d’investimento industriale e di credito artigianale e fondiario.
La nostrana classe politica immagina che l'unico meccanismo per sopravvivere sia il clientelismo, ma forse lavorare sul serio potrebbe portare a risultati più soddisfacenti.
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